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Cronache

Per l’assassino di Giulia Tramontano solo 2 testi in aula: psicologo e psichiatra

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Ha deciso di affrontare il processo, che prenderà il via tra una settimana, portando in aula solo due testimoni-consulenti indicati dalla sua difesa, uno psicologo e uno psichiatra, Alessandro Impagnatiello, l’ex barman 30enne accusato di omicidio volontario aggravato, anche dalla premeditazione, per aver ucciso con 37 coltellate la fidanzata Giulia Tramontano, incinta al settimo mese, nella loro abitazione a Senago, nel Milanese, il 27 maggio. Sono state depositate, infatti, le liste testi in vista della prima udienza davanti alla Corte d’Assise di Milano (giudici togati Antonella Bertoja e Sofia Fioretta e sei popolari).

La scelta della difesa, coi legali Giulia Geradini e Samanta Barbaglia, di citare psicologo e psichiatra come consulenti di parte (la loro relazione non è ancora stata depositata) e nessun altro teste, va nel senso, come molto probabile, di un’istanza di perizia psichiatrica alla Corte per valutare la capacità di intendere e volere al momento dei fatti. L’aggiunto Letizia Mannella e il pm Alessia Menegazzo, titolari dell’inchiesta condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo, hanno indicato come testimoni gli investigatori, i consulenti tecnici che hanno effettuato gli accertamenti scientifici, e i familiari della vittima, tra cui i genitori, la sorella e il fratello. Inoltre, tra i testi principali dell’accusa c’è l’altra donna con cui il 30enne aveva contemporaneamente una relazione. La 23enne italo-inglese, dopo aver conosciuto proprio quel 27 maggio Giulia con la quale era nato un legame di “solidarietà”, quella stessa sera non lo fece entrare in casa per “paura”, come raccontò a verbale.

Il 30enne, che aveva una doppia vita, stando alle indagini, avrebbe potuto uccidere anche lei, oltre a Giulia, il cui corpo fu trovato dopo quattro giorni, “avvolto in buste di plastica” in un “anfratto posto dietro” ad un box. Il giovane aveva tentato di bruciarlo e poi disseminò bugie anche negli unici due verbali resi nelle indagini, tra cui quella di aver colpito la compagna con solo “due-tre coltellate”. L’udienza del 18 gennaio dovrebbe servire solo per le questioni preliminari, come le richieste di costituzione delle parti civili (oltre ai familiari anche il Comune di Senago con l’avvocato ed ex pm Antonio Ingroia), e per la calendarizzazione delle udienze.

La Corte deciderà se ammettere i testi richiesti dalle parti e la difesa potrà depositare la propria consulenza psichiatrica (almeno una settimana prima dell’esame in aula di psicologo e psichiatra) e chiedere ai giudici di disporre una perizia per accertare eventuali vizi di mente. Se fosse riconosciuto capace di intendere e volere e condannato per le imputazioni formulate dai pm, il 30enne rischierebbe l’ergastolo. E’ accusato di omicidio volontario aggravato da premeditazione (avrebbe fatto ingerire per mesi alla fidanzata del veleno per topi), crudeltà, futili motivi e rapporto di convivenza, di interruzione di gravidanza non consensuale e occultamento di cadavere. Nei giorni scorsi la sorella e gli altri familiari di Giulia hanno lanciato un appello per chiedere “giustizia”, ossia “l’ergastolo per l’essere inumano che ci ha privato di una sorella, una figlia, un’amica, un nipote ed una grande donna. Le famiglie – hanno scritto – che vivono l’ergastolo del dolore hanno diritto a giustizia e pena esemplare”.

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Non solo sciolti per mafia, ipotesi tutor per i Comuni

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Un delicato equilibrio tra il rispetto del voto dei cittadini e la gravità dell’infiltrazione criminale. Questo il tema che oggi il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha portato all’attenzione dell’Anci, lanciando la proposta di rimodulare l’articolo del testo unico sugli enti locali sullo scioglimento delle amministrazioni ‘sospette’. L’idea del titolare del Viminale è quella di creare una nuova figura, una sorta di tutor, che possa intervenire nelle situazioni meno gravi e complesse evitando quindi lo scioglimento del Comune, provvedimento “lacerante e doloroso”, come ha spiegato lui stesso all’assemblea dei sindaci riunita a Torino. Ma non solo, Piantedosi ha anche confermato l’intenzione del governo di voler ripristinare le Province, con l’elezione diretta e la rimodulazione delle competenze. “La cosiddetta abolizione si è rivelata fallimentare – ha detto – pensiamo ad un un passo indietro”. Il focus dell’intervista che oggi ha visto protagonista il ministro dell’Interno è stato quello della riforma del Tuel, un testo che – ha detto lo stesso Piantedosi – “ha ormai un quarto di secolo di vita”.

“Credo – ha ribadito – che ci sia un unanime convincimento che la riforma sia indispensabile e necessaria”. Tra le “questioni da limare” ci sarebbe proprio quella delle province, un tema che già dal suo insediamento anche il ministro per l’Autonomia, Roberto Calderoli, aveva fortemente rilanciato. “Noi – le parole di Piantedosi – cercheremo di condividere questa ipotesi di riforma con tutte le parti politiche, compresa l’attuale opposizione”. La revisione del testo, inoltre, potrebbe prevedere anche novità sullo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose, previsto dall’articolo 143. “L’esperienza pratica ci ha insegnato” che è meglio mettere “nel sistema qualcosa in mezzo tra scioglimento e non scioglimento, come misure di affiancamento, una sorta di commissariamento”.

“Nessuno – ha sottolineato il titolare del Viminale – immagina di poter arretrare rispetto ai presidi di legalità. Ma è sempre lacerante e doloroso il fatto che ci siano misure molto forti che incidono sui principi democratici. Bisogna cercare una ulteriore forma di equilibrio tra mantenimento dell’esito dei circuiti democratici e il presidio di legalità”. Prima di lasciare il palco, il ministro è tornato a ribadire la volontà del governo di spingere sulla videosorveglianza nella città. “Vorremmo creare un paniere di risorse economiche per implementare e aggiornare i sistemi – ha concluso -. Non è che ci piace il Grande Fratello, ma i dati ci dicono che più del 50% dei reati che viene scoperto si avvale di strumenti di indagine legati alla videosorveglianza. Andiamo incontro all’intelligenza artificiale, è illusorio pensare che la privacy possa frenare le enormi potenzialità che questi sistemi danno. Credo che la soluzione sia nell’avere fiducia nelle istituzioni”.

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Porno attore italo-egiziano arrestato in Egitto, la preoccuoazione della mamma in Italia

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Del figlio non sa più nulla dal 10 novembre scorso, dal giorno dopo un arresto al Cairo dai contorni tutti da chiarire. E’ la vicenda che riguarda Elanain Sharif, 44enne nato in Egitto ma cittadino italiano, di cui la madre dice di avere perso le tracce dopo che è stato fermato dalle autorità egiziane al suo arrivo dall’Italia. Un caso seguito con la “massima attenzione” dalla Farnesina dopo la denuncia della donna che era col figlio al momento del fermo. L’uomo si troverebbe, comunque, in una struttura nota anche alle autorità italiane. La madre avrebbe appurato che si trova nel carcere di Alessandria d’Egitto.

Sharif e la madre erano atterrati al Cairo provenienti dall’Umbria. L’uomo vive, infatti, da alcuni anni a Terni mentre la madre è residente a Foligno ed è sposata con un italiano. “E’ una vicenda che inevitabilmente ci riporta ai casi di Regeni e Zaky – afferma l’avvocato Alessandro Russo, legale della famiglia -. Sono andati al Cairo dove hanno un appartamento, erano lì per commissioni come avevano fatto tante altre volte ma appena arrivato è stato bloccato e gli hanno sequestrato il passaporto italiano”. Su punto a quanto si apprende, essendo anche cittadino italiano, Sharif aveva scelto di rientrare in Egitto col passaporto egiziano, e anche per questo è stata più lenta la procedura per una visita consolare. Sui motivi dell’arresto gli elementi sono al momento pochi. “Ciò che ha portato all’arresto non è chiaro, si tratterebbe di qualcosa legato a contenuti su Facebook ma non abbiamo capo di imputazione”, dice l’avvocato. Sharif lavora nell’industria del porno (è noto come Sheri Taliani) e questo potrebbe essere il motivo dell’arresto e in particolare l’avere diffuso immagini vietate dalle leggi egiziane.

“In aeroporto è stato tenuto a lungo negli uffici della polizia e poi la madre lo ha visto uscire con le manette ai polsi – aggiunge – Le procedure di arresto sono state effettuate utilizzando solo il passaporto egiziano, quello dell’Italia gli è stato restituito alcuni giorni dopo”. Sharif è stato, quindi, trasferito nel carcere della Capitale. “E’ stato lì per alcuni giorni, in condizioni inumane: senza potere dormire, poteva stendersi solo per mezzora, per sedersi su una sedia, anche per pochi minuti, doveva pagare. La madre l’ha visto per pochi istanti, il 10 novembre poi più nulla”, aggiunge il legale.

Russo ha immediatamente allertato la Farnesina e l’ambasciata italiana. La sede diplomatica al Cairo, in stretto coordinamento con il Ministero degli Esteri, sta seguendo “con la massima attenzione il caso” e l’ambasciata sta avendo costanti contatti con la madre dell’uomo. La donna, non senza difficoltà, è riuscita ad appurare che Sharif è stato trasferito nel carcere di Alessandria d’Egitto. “Lei ora è lì, assieme al fratello che lavora nella polizia egiziana e spera di avere notizie di un suo rilascio ma è preoccupatissima”, aggiunge Russo.

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Imprenditore campano arrestato in Gallura per frode fiscale

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Avrebbe occultato beni mobili e somme di denaro per oltre 450mila euro e trasferito la sua attività commerciale da Cava De’ Tirreni a Santa Teresa di Gallura per sottrarre i suoi averi al recupero forzoso: un affermato imprenditore campano di 60 anni, è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta, frode fiscale e reati tributari. Firmato anche un decreto di sequestro preventivo dei beni finalizzato alla confisca. Le indagini che hanno portato all’applicazione della misura cautelare nei confronti dell’industriale, molto conosciuto nella provincia di Salerno, sono partite dalla Procura di Tempio Pausania e affidate alla tenenza della Guardia di Finanza di Palau e altri reparti. E’ stato così possibile ricostruire la vicenda fiscale dell’imprenditore attivo nel settore del commercio di abiti da cerimonia. A Santa Teresa di Gallura, attraverso il figlio, gestiva un bar ristorante, dichiarato poi fallito nel luglio del 2021.

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