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Economia

Pensioni, da gennaio aumenti fino a 130 euro

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Da gennaio pensioni un po’ più pesanti, anche se non allo stesso modo per tutti. Il governo ha fissato per il prossimo anno l’adeguamento all’inflazione al 5,4%. Ma in forza del meccanismo a fasce che garantisce la perequazione piena solo agli assegni fino a circa 2.200 euro, gli aumenti saranno diversificati, fino ad un massimo di 130 euro nelle fasce in cui si concentra la maggior parte dei pensionati. Un decreto firmato dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, di concerto con la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone, fissa la percentuale con cui verranno rivalutate le pensioni nel 2024.

Il nuovo schema introdotto lo scorso anno per indicizzare le pensioni garantisce l’adeguamento al 100% solo per le pensioni fino a 4 volte il minimo (il minimo è fissato per il 2023 al 563,74 euro, ma cui va aggiunto lo 0,8% di differenza tra l’inflazione recuperata quest’anno, 7,3%, e quella effettiva registrata nel 2022, 8,1%): per le altre l’adeguamento sarà solo parziale (dall’85% fino al 22% delle pensioni più ricche). La percentuale si riduce così al 4,59% per le pensioni tra 4 e 5 volte il minimo (2.200-2.800 euro), per incrementi fino a 130 euro; fino a ridursi all’1,18% per gli assegni più ricchi, quelli sopra i 5.600 euro, con aumenti a partire da 67 euro. Un aiuto che però non basta a placare le critiche sul tema delle pensioni.

Che sarà domani in cima alle priorità del confronto a Palazzo Chigi tra il governo e i sindacati sulla manovra. In attesa di capire la posizione dell’esecutivo, la Cisl torna a chiedere di ritirare il discusso articolo 33 che taglia i rendimenti delle pensioni di statali e medici: “Bisogna togliere le ombre sulle pensioni”, dice il segretario Luigi Sbarra. La manovra “è sbagliata” e da cambiare, torna a ripetere il segretario della Cgil Maurizio Landini. Che dalla tappa a Cagliari della mobilitazione indetta in tutta Italia insieme alla Uil, insiste nel difendere il diritto di sciopero: “Attaccarlo vuol dire limitare la libertà delle persone”, dice spiegando la scelta di impugnare insieme alla Uil il provvedimento di precettazione. E lo scontro tra il fronte sindacale e il governo resta infuocato, con il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, che si scaglia contro lo sciopero dei mezzi pubblici rinviato al 15 dicembre: “Farò tutto quello che la legge mi permette per ridurre al minimo i disagi”, assicura. Intanto il lavoro in Parlamento sul decreto anticipi registra qualche rallentamento, che rischia di ripercuotersi sulla manovra.

Le riunioni al Senato con il governo per fare il punto e iniziare a votare sugli emendamenti si arenano sull’annuncio di una decina di modifiche del governo in arrivo. Una dovrebbe essere sugli affitti brevi, con il Codice identificativo richiesto a più riprese da Fi. Altri 4 emendamenti sono attesi dai relatori e riguarderanno una serie di novità concordate nel centrodestra, che non sono potute entrare nel decreto proroghe, tra cui i concorsi nella Consob e la fattura elettronica. Sugli emendamenti del governo, però, secondo quanto riferisce l’opposizione, si sarebbe reso necessario anche un passaggio in consiglio dei ministri. Segnale delle divisioni dentro la maggioranza, sostengono Pd, M5s e Avs, che avvertono: così, senza un quadro chiaro non si procede.

La volontà nella maggioranza è di votare a partire da mercoledì e chiudere in commissione entro la settimana: il provvedimento è atteso in Aula al Senato dal 5 dicembre; mentre la legge di bilancio a partire dal 12. L’indicazione è procedere solo con le modifiche ordinamentali, anche se dalla maggioranza non si esclude che possa passare qualche piccolo ritocco che necessiti di finanziamento. Molti i temi caldi ancora in ballo, dalla soluzione sui mutui dei bancari al bonus psicologo, che però potrebbe rientrare attraverso la manovra. Esclusi invece interventi sul Superbonus: il governo, spiegano le opposizioni, ha confermato che non ci sarà nulla, né nel dl anticipi, né in manovra.

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Economia

Economia della Ue con il fiato corto, euro ai minimi

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L’economia europea ha il fiato corto e a risentirne è l’euro che scivola ai minimi da due anni rispetto al dollaro di fronte alla doccia fredda degli indici Pmi, una misura del grado di fiducia dei responsabili agli acquisti delle imprese. Il biglietto verde, da parte sua, continua ad avanzare, e non solo rispetto alla moneta unica, sull’onda della vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. E lo stesso fa il Bitcoin, che prosegue il rally e supera i 99.300 dollari, ormai diretto verso la soglia dei 100.000 grazie alla sostegno del nuovo presidente americano alle criptovalute e all’idea di un regolamentazione più benevola. Il pmi composito dell’eurozona, finito a novembre a 48,1 (contro le attese che lo davano a 50), complice il calo inaspettato nei servizi più ancora che nell’industria manifatturiera, ha frenato le Borse del Vecchio Continente nella prima parte della giornata.

Non ha aiutato la revisione al ribasso del Pil della Germania, cresciuto nel terzo trimestre solo dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti. A far scattare le vendite sull’azionario hanno contribuito le scommesse del mercato su un taglio deciso dei tassi, di 50 punti base, alla prossima riunione Bce per dare ossigeno alle economie della zona euro in una scenario ormai di stagnazione: bassa crescita e inflazione non ancora sotto controllo. La prospettiva di tassi di interesse più bassi ha avuto l’effetto di far calare i rendimenti dei titoli di Stato a partire dal Bund tedesco, sceso al 2,23%. Quello dell’Oat francese è diminuito al 3% e del Btp italiano al 3,5%. Lo spread si è allargato intanto sopra i 126 punti base.

Le Borse europee hanno invece rialzato la testa nell’ultima parte della seduta sulla scia di Wall Street, spinto dal Pmi composito negli Stati Uniti, arrivato a 55,3 meglio delle stime a conferma di un’economia in crescita. A fine giornata il maggior rialzo lo ha messo a segno Londra (+1,38%) indifferente agli indici Pmi del Regno Unito, anch’essi in flessione. Ha fatto tutto sommato bene anche la Borsa di Francoforte (+0,92%) malgrado i brutti dati Pmi e il Pil deludente. Parigi ha registrato un guadagno finale dello 0,52% malgrado anche nella seconda maggiore economia dell’eurozona gli indici Pmi siano stati sotto le attese. Meglio intonata Piazza Affari (+0,6%) malgrado abbiamo perso terreno le banche, in sintonia con i big del credito spagnoli Santander e Bbva penalizzati dalla decisione del governo di Madrid di aumentare la tassa sugli extraprofitti. Con l’effetto di far segnare alla Borsa del Paese solo un timido +0,39%.

L’euro in serata si è confermato debole col cambio sul dollaro a 1,042, ai minimi da novembre 2022. Che la Bce si prepari a nuovi tagli dei tassi d’interesse nei prossimi mesi, di fronte a un target d’inflazione al 2% che dovrebbe essere raggiunto a metà 2025, lo ha detto anche il presidente della Bundesbank Joachim Nagel, spiegando che i dati Pmi di oggi confermano lo scenario di stagnazione dell’economia tedesca. Nel complesso, visti i Pmi, difficilmente la situazione avrebbe potuto rivelarsi peggiore, è l’opinione condivisa dagli analisti secondo cui il settore manifatturiero dell’eurozona sta affondando sempre più nella recessione. Dopo due mesi in lieve crescita anche il settore dei servizi inizia poi a essere in difficoltà. E non c’è troppo da stupirsi considerato la confusione politica delle maggiori economie dell’area: il governo francese si muove su un terreno instabile e la Germania è alle prese con le elezioni anticipate. A tutto questo si aggiunge Donald Trump e la minaccia concreta di nuovi dazi sulle importazioni. Alle aziende europee non resta che navigare a vista.

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Economia

Moody’s, Pil Italia sotto 1%, impegnativa spesa Pnrr

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La crescita dell’Italia si mantiene moderata e quest’anno sarà sotto l’1%, con un deficit in calo al 4,6% e un debito che invece sale. L’analisi di Moody’s (nella foto Imagoeconomica in evidenza) mostra come i fondi del Pnrr continuano a sostenere le prospettive dell’Italia. Ma per il Belpaese sarà “impegnativo” spendere tutte le risorse disponibili dal programma entro il 2026 anche perché la spesa è stata finora inferiore al previsto. “Tassi di interessi elevati e un potenziale di crescita di circa lo 0,8% richiederanno un ampio aggiustamento fiscale per raggiungere e mantenere avanzi primari in grado di stabilizzare il debito”, afferma Moody’s annunciando il completamente della revisione del rating dell’Italia che, precisa, “non è un’azione sul rating e non è un’indicazione” sulle future decisioni sul rating. L’Italia ha al momento un rating Baa3 con outlook stabile.

“In un contesto di tassi di interesse più elevati, l’aumento del potenziale di crescita e gli avanzi primari saranno fondamentali per evitare un significativo aumento del debito”, aggiunge Moody’s spiegando come la riduzione del deficit – al 3,5% nel 2025 e al 3% nel 2026 – “non sarà sufficiente” per un calo del rapporto debito-pil in seguito agli effetti del Superbonus. L’agenzia prevede che il debito italiano salirà al 139,7% del pil nel 2024 dal 134,8% del 2023 e continuerà a salire fino al 2027 a oltre il 143%. I risultati ottenuti dall’Italia nell’attuazione del Pnrr sono “contrastanti”: l’Italia è stato il primo paese dell’Ue a chiedere le ultime tranche di finaziamento e “prevediamo che la settima tranche sarà richiesta entro la fine del 2024. Tuttavia la spesa di queste risorse è stata inferiore al previsto e la spesa totale dei fondi disponibili entro la fine del 2026 sarà impegnativa”, mette in evidenza ancora Moody’s. L’agenzia potrebbe alzare il rating nel caso di fossero prove di una crescita sostanzialmente più forte: “un miglioramento del potenziale di crescita contribuirebbe a mettere il debito su una chiara traiettoria discendente”. Il rating invece potrebbe essere rivisto al ribasso se “anticipassimo un significativo indebolimento della forza economica e di bilancio dell’Italia”.

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Economia

Campagna pomodoro chiude in calo del -2,5% rispetto al 2023

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La campagna di trasformazione del pomodoro 2024 in Italia si è chiusa con una produzione di 5,3 milioni di tonnellate, in leggera riduzione (-2,5%) rispetto al 2023 ma con una sostanziale flessione rispetto alle programmazioni fatte, in particolare nel bacino Nord, nonostante un maggiore investimento in ettari a livello nazionale (+11% sul 2023). Lo comunica Anicav. L’Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali sottolinea che è stata “una campagna molto complessa con siccità a Sud e sovrabbondanza di piogge al Nord che hanno causato frequenti fermi fabbrica e allungato il periodo di lavorazione fino ad inizio novembre”.

Il report di produzione registra che al Centro Sud sono state trasformate 2,87 milioni di tonnellate (+10% rispetto al 2023) mentre nel bacino Nord il trasformato finale è stato di 2,4 milioni di tonnellate (-14% rispetto allo scorso anno), “tutto ciò nonostante – fa presente Anicav – l’incremento delle aree trapiantate rispetto alla scorsa campagna di trasformazione”. L’associazione segnala che l’Italia si conferma il terzo Paese trasformatore di pomodoro a livello mondiale, dopo la Cina (che registra un incremento del 31% rispetto al 2023 e del 68% sul 2022) e gli Usa (in calo del 14% sulla scorsa campagna).

“Quella appena conclusa è stata – afferma Marco Serafini, presidente di Anicav – una campagna molto complicata. Le problematiche legate alla gestione delle risorse idriche, in particolare, hanno avuto un importante impatto sull’andamento della campagna e, se non si correrà ai ripari, la situazione sia al Nord che al Sud potrebbe, nei prossimi anni, diventare insostenibile. C’è bisogno, quindi, di interventi infrastrutturali finalizzati all’efficientamento della filiera e a scongiurare i rischi legati all’emergenza idrica, la costruzione della diga di Vetto nel bacino Nord e la creazione di un’opera infrastrutturale di collegamento tra la diga di Occhito, in provincia di Foggia, e quella del Liscione, in provincia di Campobasso, rappresenterebbero una prima importante risposta per il nostro settore.”

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