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Cronache

Pegasus, ecco il sistema col quale governi e mafiosi spiano migliaia di cittadini

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Per primi furono i giornalisti del New York Times a raccontare che da anni le agenzie di intelligence messicane spiavano illegalmente migliaia di cittadini. Non cittadini a caso. No, si spiavano oppositori politici, attivisti di organizzazioni sociali che si occupavano di diritti umani. Ora c’è una inchiesta internazionale condotta da un gruppo di giornali consorziati che hanno analizzato dati raccolti da Amnesty International e dal gruppo francese “Forbidden Stories”. Ci sono le storie decine di persone vicine al presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador (anche sua moglie, i figli, gli assistenti e il medico) tra gli spiati  dell’azienda israeliana NSO, proprietaria del software di spionaggio Pegasus. Chiunque era un possibile target di spionaggio:  giornalisti, avvocati, attivisti, diplomatici, magistrati, politici, medici. In tutto il mondo ci sarebbero stati 15.000 messicani nella rete degli spiati. Per finire nella rete degli spiati bastava aprire un semplice sms. Un avviso della banca, un messaggio pubblicitario, tutta roba innocua. Bastava aprire il file, appariva una scritta. Manco il tempo di leggerla e il software si era già installato. Pegasus ha le caratteristiche di restare in silenzio, si nasconde nel tuo chip, si trasforma nel Grande Fratello. E Grande Orecchio. Con questo sistema l’azienda israeliana leggeva messaggi,  mail,  agenda degli appuntamenti. Ed è capace persino di accedere al microfono per ascoltare le tue conversazioni, seguire in diretta tutto quello che fai e chiunque vedi. Per anni nessuno si è accorto di nulla, poi qualcuno ha lanciato l’allarme poi raccolto dal New York Times. I primi a farlo sono stati i componenti del Centro Prodh. Facevano parte della Commissione internazionale invocata da numerose organizzazioni per i diritti umani in Messico. Indagava sulla scomparsa dei 43 studenti di Ayotzinapa, la cittadina dello Stato di Guerrero sui quali non si era saputo più nulla. Il capo della Commissione scoprì un giorno di avere il cellulare invaso dallo spyware. Ad una verifica tecnica, tutti i cellulari dei commissari risultarono infettati da Pegasus. La cosa fece scalpore perché molti erano giuristi e forensi stranieri impegnati in un giallo che coinvolgeva fino alle più alte autorità messicane. Gli studenti dell’istituto normalista erano caduti in una vera trappola tesa dalle diverse polizie e soldati che agivano per conto dei Cartelli. Furono bloccati, fermati, portati da qualche parte mentre si dirigevano a Città del Messico: poi uccisi e poi dati alle fiamme. Non si è mai scoperto perché. Ma la tesi più accreditata è che a bordo di uno dei mezzi c’era nascosto un carico di eroina diretto a Chicago.
Gli studenti lo ignoravano; quelli del Cartello di Sinaloa, all’epoca guidato dal Chapo Guzmán, lo sapevano e non erano disposti a perderlo. L’allora presidente Enrique Peña Nieto si impegnò a svolgere un’accurata indagine che non approdò a nulla. L’attuale presidente Andrés Manuel López Obrador ha dichiarato che lo spyware era stato eliminato. Ma ora il sospetto è che sia finito nelle mani dei cartelli della droga: la serie impressionante di omicidi eccellenti degli ultimi anni infatti fa invece ritenere che sia ancora in circolazione. Il gruppo Nso spiega che è impossibile capire nelle mani di chi sia finito. Ecco nessuno può escludere che questo sistema israeliano non sia in uso anche in altri paesi o che non sia in uso in Italia. Al momento, secondo quanto emerso, potrebbe farne uso l’Ungheria. Ma l’Unione europea ha chiesto una indagine. Pegasus , lo spyware militare concesso in licenza dall’israeliana NSO ai governi per rintracciare terroristi e criminali è stato utilizzato in alcuni tentativi di hacking di 37 smartphone appartenenti a giornalisti, attivisti per i diritti umani, dirigenti aziendali e a due donne vicine al giornalista saudita assassinato Jamal Khashoggi. Lo rivela un’indagine del Washington Post e di altri 16 media partner. Secondo quanto racconta l’inchiesta il software è stato utilizzato anche dal governo dell’Ungheria guidato da Viktor Orbán. Al centro della storia c’è NSO Group, un’azienda israeliana leader mondiale nella sorveglianza informatica. Sotto controllo, secondo le fonti dell’inchiesta, sono finiti 50 mila numeri di telefoni cellulari in più di 50 Paesi in tutto il mondo.

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Cronache

Non solo sciolti per mafia, ipotesi tutor per i Comuni

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Un delicato equilibrio tra il rispetto del voto dei cittadini e la gravità dell’infiltrazione criminale. Questo il tema che oggi il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha portato all’attenzione dell’Anci, lanciando la proposta di rimodulare l’articolo del testo unico sugli enti locali sullo scioglimento delle amministrazioni ‘sospette’. L’idea del titolare del Viminale è quella di creare una nuova figura, una sorta di tutor, che possa intervenire nelle situazioni meno gravi e complesse evitando quindi lo scioglimento del Comune, provvedimento “lacerante e doloroso”, come ha spiegato lui stesso all’assemblea dei sindaci riunita a Torino. Ma non solo, Piantedosi ha anche confermato l’intenzione del governo di voler ripristinare le Province, con l’elezione diretta e la rimodulazione delle competenze. “La cosiddetta abolizione si è rivelata fallimentare – ha detto – pensiamo ad un un passo indietro”. Il focus dell’intervista che oggi ha visto protagonista il ministro dell’Interno è stato quello della riforma del Tuel, un testo che – ha detto lo stesso Piantedosi – “ha ormai un quarto di secolo di vita”.

“Credo – ha ribadito – che ci sia un unanime convincimento che la riforma sia indispensabile e necessaria”. Tra le “questioni da limare” ci sarebbe proprio quella delle province, un tema che già dal suo insediamento anche il ministro per l’Autonomia, Roberto Calderoli, aveva fortemente rilanciato. “Noi – le parole di Piantedosi – cercheremo di condividere questa ipotesi di riforma con tutte le parti politiche, compresa l’attuale opposizione”. La revisione del testo, inoltre, potrebbe prevedere anche novità sullo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose, previsto dall’articolo 143. “L’esperienza pratica ci ha insegnato” che è meglio mettere “nel sistema qualcosa in mezzo tra scioglimento e non scioglimento, come misure di affiancamento, una sorta di commissariamento”.

“Nessuno – ha sottolineato il titolare del Viminale – immagina di poter arretrare rispetto ai presidi di legalità. Ma è sempre lacerante e doloroso il fatto che ci siano misure molto forti che incidono sui principi democratici. Bisogna cercare una ulteriore forma di equilibrio tra mantenimento dell’esito dei circuiti democratici e il presidio di legalità”. Prima di lasciare il palco, il ministro è tornato a ribadire la volontà del governo di spingere sulla videosorveglianza nella città. “Vorremmo creare un paniere di risorse economiche per implementare e aggiornare i sistemi – ha concluso -. Non è che ci piace il Grande Fratello, ma i dati ci dicono che più del 50% dei reati che viene scoperto si avvale di strumenti di indagine legati alla videosorveglianza. Andiamo incontro all’intelligenza artificiale, è illusorio pensare che la privacy possa frenare le enormi potenzialità che questi sistemi danno. Credo che la soluzione sia nell’avere fiducia nelle istituzioni”.

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Porno attore italo-egiziano arrestato in Egitto, la preoccuoazione della mamma in Italia

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Del figlio non sa più nulla dal 10 novembre scorso, dal giorno dopo un arresto al Cairo dai contorni tutti da chiarire. E’ la vicenda che riguarda Elanain Sharif, 44enne nato in Egitto ma cittadino italiano, di cui la madre dice di avere perso le tracce dopo che è stato fermato dalle autorità egiziane al suo arrivo dall’Italia. Un caso seguito con la “massima attenzione” dalla Farnesina dopo la denuncia della donna che era col figlio al momento del fermo. L’uomo si troverebbe, comunque, in una struttura nota anche alle autorità italiane. La madre avrebbe appurato che si trova nel carcere di Alessandria d’Egitto.

Sharif e la madre erano atterrati al Cairo provenienti dall’Umbria. L’uomo vive, infatti, da alcuni anni a Terni mentre la madre è residente a Foligno ed è sposata con un italiano. “E’ una vicenda che inevitabilmente ci riporta ai casi di Regeni e Zaky – afferma l’avvocato Alessandro Russo, legale della famiglia -. Sono andati al Cairo dove hanno un appartamento, erano lì per commissioni come avevano fatto tante altre volte ma appena arrivato è stato bloccato e gli hanno sequestrato il passaporto italiano”. Su punto a quanto si apprende, essendo anche cittadino italiano, Sharif aveva scelto di rientrare in Egitto col passaporto egiziano, e anche per questo è stata più lenta la procedura per una visita consolare. Sui motivi dell’arresto gli elementi sono al momento pochi. “Ciò che ha portato all’arresto non è chiaro, si tratterebbe di qualcosa legato a contenuti su Facebook ma non abbiamo capo di imputazione”, dice l’avvocato. Sharif lavora nell’industria del porno (è noto come Sheri Taliani) e questo potrebbe essere il motivo dell’arresto e in particolare l’avere diffuso immagini vietate dalle leggi egiziane.

“In aeroporto è stato tenuto a lungo negli uffici della polizia e poi la madre lo ha visto uscire con le manette ai polsi – aggiunge – Le procedure di arresto sono state effettuate utilizzando solo il passaporto egiziano, quello dell’Italia gli è stato restituito alcuni giorni dopo”. Sharif è stato, quindi, trasferito nel carcere della Capitale. “E’ stato lì per alcuni giorni, in condizioni inumane: senza potere dormire, poteva stendersi solo per mezzora, per sedersi su una sedia, anche per pochi minuti, doveva pagare. La madre l’ha visto per pochi istanti, il 10 novembre poi più nulla”, aggiunge il legale.

Russo ha immediatamente allertato la Farnesina e l’ambasciata italiana. La sede diplomatica al Cairo, in stretto coordinamento con il Ministero degli Esteri, sta seguendo “con la massima attenzione il caso” e l’ambasciata sta avendo costanti contatti con la madre dell’uomo. La donna, non senza difficoltà, è riuscita ad appurare che Sharif è stato trasferito nel carcere di Alessandria d’Egitto. “Lei ora è lì, assieme al fratello che lavora nella polizia egiziana e spera di avere notizie di un suo rilascio ma è preoccupatissima”, aggiunge Russo.

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Imprenditore campano arrestato in Gallura per frode fiscale

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Avrebbe occultato beni mobili e somme di denaro per oltre 450mila euro e trasferito la sua attività commerciale da Cava De’ Tirreni a Santa Teresa di Gallura per sottrarre i suoi averi al recupero forzoso: un affermato imprenditore campano di 60 anni, è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta, frode fiscale e reati tributari. Firmato anche un decreto di sequestro preventivo dei beni finalizzato alla confisca. Le indagini che hanno portato all’applicazione della misura cautelare nei confronti dell’industriale, molto conosciuto nella provincia di Salerno, sono partite dalla Procura di Tempio Pausania e affidate alla tenenza della Guardia di Finanza di Palau e altri reparti. E’ stato così possibile ricostruire la vicenda fiscale dell’imprenditore attivo nel settore del commercio di abiti da cerimonia. A Santa Teresa di Gallura, attraverso il figlio, gestiva un bar ristorante, dichiarato poi fallito nel luglio del 2021.

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