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Politica

Paolo Savona in pole per la Consob, ma poi si apre subito la corsa al ministero degli affari europei

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Luigi Di Maio e Matteo Salvini provano a risolvere uno dei nodi sospesi sul governo giallo-verde: la Consob. Per la guida dell’autorità di vigilanza spunta un nome a sorpresa, Paolo Savona. Profilo “alto” e quindi – secondo M5S-Lega, adatto a placare possibili proteste per il veto a Marcello Minenna. Profilo scomodo, tuttavia, perchè il suo trasferimento in Consob scoprirebbe la casella del ministero per gli Affari Europei, aprendo una nuova partita tra M5S e Lega. Il rischio, ragionano fonti di maggioranza, è che se muovi una pedina si muove tutta l’impalcatura. E, infatti, a Palazzo Chigi si lavora alle possibili soluzioni. La casella del ministero per gli Affari Ue, con Savona fuori, è già nel mirino della Lega, che non a caso sponsorizza forse anche più del M5S, la nomina dell’economista sardo alla Consob.

Il premier Giuseppe Conte, sempre più calato nel ruolo di mediatore-decisore, potrebbe tenersi l’interim all’Ue, evitando così un nuovo scontro tra i vice. Ma la Lega frena. Con una motivazione molto precisa: il premier, nello schema di governo giallo-verde, è stato scelto dal M5S che, in tal modo, si “prenderebbe” anche un ministero piuttosto “appetitoso” in vista delle Europee. Anche per questo, nel governo, si ragiona su possibili piani B. Come quello di Luigi Zingales, il cui nome circola come possibile alternativa. Savona, che non smentisce l’ipotesi (“non so cosa accade alle mie spalle”), ha anche dei vantaggi. Sarebbe una “promozione” di un esponente di governo che, da tempo, manifesta più di un malumore sulla politica economica del M5S e della Lega. La sua figura avrebbe, al contrario di quella di Minenna, l’apertura a una valutazione del Quirinale, dove, secondo alcuni rumors pomeridiani, il premier Conte potrebbe essersi recato oggi per un incontro riservato con il presidente Mattarella. Non c’è alcuna conferma ufficiale del colloquio ma fonti qualificate, interpellate sulla questione, non smentiscono. Del resto dal caso Diciotti a quello Sea Watch fino alle contromisure della recessione tecnica, Conte ci in questi giorni ha piu’ volte messo la faccia, facendo quasi da scudo alla solidita’ di un governo che comincia a traballare sotto i colpi “elettorali”, in vista delle regionali abruzzesi, dei due vicepremier. Ultima tappa dello scontro M5S-Lega, e’ stata la Tav. A Salvini che si e’ recato al cantiere di Chiomonte per ribadire il suo si’, tutto il M5S ha risposto “picche” anche se l’idea del referendum, che piace molto alla Lega, comincia a trovare qualche “fan” anche nell’ala governista del M5S, la stessa che spinge per ingoiare il rospo del “no” all’autorizzazione a proceder nei confronti di Salvini. Conte si limita a controbilanciare il racconto leghista puntando sul “Patto sblocca cantieri” e preparando un dipartimento ad hoc.

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Emendamenti e tesoretto, parte l’assalto alla manovra

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Alzare ulteriormente le pensioni minime, abrogare la norma sui revisori del Mef negli enti che ricevono contributi pubblici, limitare il blocco parziale del turnover, ridurre la tassa sui bitcoin, modificare la web tax. Parte l’assalto dei partiti alla legge di bilancio. Le opposizioni si preparano a dare battaglia, mentre nella maggioranza c’è chi spinge per “migliorare” il testo e chi è più cauto. Su tutti pende la spada di Damocle del piano di aggiustamento dei conti, che rende la strada più stretta, vincolando qualsiasi modifica all’obbligo di avere la relativa copertura.

Il lavoro degli uffici legislativi andrà avanti per tutto il fine settimana per mettere a punto gli emendamenti, che entro lunedì vanno presentati in commissione Bilancio alla Camera. I parlamentari hanno a disposizione un ‘tesoretto’ di 120 milioni per il 2025, ma non sarebbe ancora stato definito come dividerlo tra maggioranza e opposizione. Sul fronte delle risorse aggiuntive si attende poi l’esito definitivo del concordato biennale per le partite Iva.

Alla scadenza del 31 ottobre sono stati raccolti circa 1,3 miliardi (non abbastanza per procedere l’ulteriore step sull’Irpef), ma il governo è al lavoro per una riapertura dei termini: un decreto legge ad hoc, atteso in cdm forse già martedì, dovrebbe fissare il nuovo termine al 10 dicembre (ma circola anche l’ipotesi del 15). Nella maggioranza sono ore cruciali e non si escludono possibili incontri,forse a valle della consegna degli emendamenti. Le modifiche di Forza Italia si concentrano su alcuni macro-temi: alzare ulteriormente le pensioni minime, escludere le forze dell’ordine dal blocco parziale del turnover nella Pa, rimodulazione dell’Irpef (con il taglio della seconda aliquota dal 35 al 33% e l’estensione dello scaglione fino a 60mila euro), sgravi fiscali per chi reinveste gli utili in azienda, abrogazione della norma sui revisori del Mef negli enti che ricevono contributi pubblici, anche rinvio della sugar tax e modifica della web tax (reintroducendo la soglia dei 750 milioni di fatturato globale).

Un tema, quest’ultimo, su cui gli azzurri aumentano il pressing: Basta “asimmetria fiscale”, dice il responsabile Dipartimenti Alessandro Cattaneo; “Bisogna far pagare le tasse ai colossi del web”, rincara il capogruppo in Senato Maurizio Gasparri. Dentro Fratelli d’Italia, invece, bocche cucite sugli emendamenti: prima di lunedì, è la linea, non si parla. Gli interventi, comunque, saranno limitati. “Sappiamo bene che per il 97/98% la manovra è quella, e non si tocca. Qualcosa si può modificare o migliorare. Ma ci diamo un limite”, spiegava nei giorni scorsi il capogruppo Tommaso Foti. Anche nella Lega si attende lunedì e si lavora con l’obiettivo di presentare solo modifiche che verranno approvate. Tra le proposte del partito di via Bellerio è atteso l’intervento per ridurre la tassa sui bitcoin.

Un altro cavallo di battaglia la Lega l’ha già sfoderato nel dl Fisco, con l’emendamento per tagliare anche nel 2025 il canone Rai: una proposta che agita la maggioranza, con FI che ha già promesso che non lo voterà. Dalle opposizioni intanto filtra l’intenzione di replicare quanto fatto l’anno scorso concentrando i soldi del tesoretto su una proposta comune per finanziare i centri anti-violenza. Su come potrà cambiare la manovra qualche indicazione è arrivata direttamente dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha già aperto su diversi temi: dai revisori del Mef nelle società con contributi pubblici, purché sia mantenuto il principio che chi riceve soldi dello Stato risponde di come li usa; ai bonus edilizi, ma la distinzione tra prima e seconda casa è “inderogabile”. Disponibilità poi a ragionare anche sul blocco del turnover, a partire dall’esclusione del comparto sicurezza. Ok anche a valutare modifiche sulle criptovalute.

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Politica

Mattarella: Cina si adoperi per fermare Putin

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Con Xi Jinping c’è “piena sintonia e convergenza di valutazioni per quanto riguarda la volontà di pace, il multilateralismo, e l’apertura nelle relazioni economiche”. Ora Pechino prenda atto di essere una potenza globale e si adoperi per far pesare la sua influenza su Vladimir Putin aiutando a porre fine all’aggressione russa in Ucraina. Sergio Mattarella chiude il cerchio dei suoi colloqui chiedendo alla Cina un’assunzione di responsabilità proprio in nome di quel multilateralismo – Pechino lo declina come necessità di un nuovo ordine mondiale – che ha dominato gli incontri politici di questa sua seconda visita di Stato nel Paese del dragone. Una missione di successo nonostante i delicatissimi temi affrontati e molto apprezzata dalle autorità cinesi che hanno assicurato che da oggi si apre una nuova “storica” fase di relazioni bilaterali.

Giudizi lusinghieri che hanno permesso al presidente della Repubblica una franchezza di linguaggio che ad altri non sarebbe stata concessa e che Mattarella si è presa tutta. In rapida successione il capo dello Stato ha chiesto a Pechino di aumentare gli investimenti cinesi in Italia, di promuovere con maggiore decisione la volontà di pace in Ucraina e in Medio Oriente, di comprendere che “l’amicizia” – è stata la parola chiave di questi giorni a Pechino – tra due popoli deve permettere anche qualche critica, ad esempio sui diritti umani, senza che queste siano considerate “interferenze”. Ed ancora che è giunta l’ora che la Cina rimuova le “barriere che ostacolano l’accesso al mercato cinese di prodotti italiani di eccellenza”. Tema, quest’ultimo, scottante per il governo che si trova in una situazione di grave squilibrio commerciale.

Basti pensare che nel 2022 l’interscambio è stato pari a 73,9 miliardi di euro ma le esportazioni italiane in Cina hanno raggiunto solo i 16,4 miliardi mentre le importazioni sono state oltre il triplo (57,5 miliardi di euro). “C’è l’esigenza – ha infatti detto Mattarella al premier Li Qiang – di un riequilibrio nello sviluppo dei rapporti commerciali di importazione-esportazione. Gli investimenti italiani in Cina sono cresciuti molto. Auspichiamo che anche quelli cinesi possano crescere velocemente”. Poi nel pomeriggio il capo dello Stato si sposta all’università di Pechino e affronta la parte più politica della sua agenda davanti a studenti attentissimi. In sala, per l’inaugurazione della cattedra Agnelli dedicata alla cultura italiana, un parterre particolare: uno accanto all’altro Romano Prodi, primo titolare della cattedra, Pier Ferdinando Casini nuovo presidente onorario del forum filantropico Cina-Italia e il presidente di Exxor John Elkann.

“Italia e Cina sono unite da un rapporto solido e maturo, capace di superare le increspature”, ha premesso quasi a scusarsi della schiettezza delle sue parole. “Nessuno in Europa vuole una nuova stagione di protezionismo”, ha assicurato nel bel mezzo di complesse trattative sui dazi in corso tra Cina ed Unione europea. Per poi chiedere che la battaglia sulle auto elettriche non esondi su altri settori: “non deve ripercuotersi sulle pratiche commerciali di altri comparti”. Quindi la politica estera ed anche qui una premessa: “la Cina è uno dei protagonisti fondamentali della vita internazionale”. Per questo motivo deve “far uso della sua grande autorevolezza adoperandosi per porre termine alla brutale aggressione russa all’Ucraina”. E la stessa autorevolezza Pechino dovrebbe mostrare aggiungendo “la sua voce per fermare la spirale di violenza in Medio Oriente”.

Si tratta di una chiamata forte alla Cina ad entrare in gioco ma sempre giocando con le regole del diritto internazionale. E se tra “amici” le critiche possono essere solo costruttive, il presidente, garbatamente, parla anche di diritti umani: “ci sono questioni complesse che riguardano tutti noi. Tra queste non è in secondo piano la tutela e la promozione della dignità di ogni persona. Ribadire principi che rappresentano un presidio di civiltà non esprime interferenza nei confronti di alcuno. È, piuttosto, un invito – di valore universale – per comportamenti coerenti con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che impegna l’intera Comunità internazionale”. Insomma, la Cina entri veramente in partita e inizi a dare corpo quel nuovo ordine mondiale del quale tanto si parla. Ma con le regole chiare del multilateralismo e non con l’assenza di regole di chi aggredisce i più deboli come la Russia.

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Campania, scoppia il caso Patriarca in FI: la segretaria provinciale lascia in polemica con Martusciello

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La situazione all’interno di Forza Italia in Campania è tesa e complicata. Se il centrosinistra vive già una fase di scontro tra il Partito Democratico e Vincenzo De Luca riguardo al terzo mandato per le regionali del prossimo anno, anche nel centrodestra ci sono segnali di disaccordo. In particolare, le recenti dimissioni di Annarita Patriarca da segretario provinciale di Napoli hanno generato un’ondata di discussioni e tensioni.

Le dimissioni di Patriarca: una scelta dolorosa per la deputata

La deputata Annarita Patriarca ha presentato le sue dimissioni il 5 novembre con una lettera indirizzata ad Antonio Tajani, leader di Forza Italia, e a Fulvio Martusciello, coordinatore regionale campano. Nella sua missiva, Patriarca spiega le motivazioni della sua scelta, specificando che non si tratta di una rottura con il partito, al quale si sente ancora legata per ideali e valori. “Le ragioni sottese a tale dolorosa scelta – spiega Patriarca – non riguardano assolutamente la nostra adesione al partito, piuttosto un’impossibilità oggettiva di svolgere il nostro ruolo con serenità e condivisione”.

Secondo Patriarca, il clima all’interno del partito sarebbe segnato da posizioni preconcette e fughe in avanti non condivise, situazioni che avrebbero minato la credibilità del partito stesso e dei suoi quadri dirigenti. “Il partito non ragiona al plurale confrontandosi, ma crea microsistemi,” denuncia la deputata, evidenziando come questo atteggiamento limiti la crescita e l’inclusività del partito.

Fulvio Martusciello. Europarlamentare e coordinatore regionale campano di Forza Italia (foto Imagoeconomica)

 

Le dimissioni di massa: un segnale forte al partito

Con Patriarca, hanno lasciato anche sette membri della dirigenza provinciale: i tre vicesegretari Raffale Barone, Francesco Pinto e Luigi Renzi, insieme ai responsabili Gaetano Cimmino (Enti Locali), Katia Iorio (Formazione), Gennaro Giustino (Organizzazione) e Angela Procida (Politiche Giovanili, Sport e Politiche Sociali).

Nella lettera di dimissioni, gli esponenti forzisti ribadiscono che “in queste condizioni non potremo svolgere il ruolo a cui siamo chiamati dai nostri elettori”. Tuttavia, chiariscono di non voler dare risonanza mediatica alla vicenda, definendola una questione interna finalizzata a determinare un’inversione di marcia per la crescita di Forza Italia nei territori.

La gestione di Martusciello e l’intervento di Tajani

Le dimissioni sembrano essere una forma di protesta contro la gestione di Fulvio Martusciello, europarlamentare e coordinatore regionale di Forza Italia in Campania. Il malcontento sembra essere esploso con la nomina del senatore Francesco Silvestro, vicino a Martusciello, come commissario di Forza Italia nella provincia di Napoli, una risposta immediata alle dimissioni di massa.

Da settimane, Martusciello ha manifestato interesse per la candidatura a governatore della Campania. Tuttavia, all’interno del centrodestra, altri nomi sono stati discussi per la presidenza della Regione, come il deputato di Fratelli d’Italia Edmondo Cirielli, viceministro degli Affari esteri, e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (quota Lega). Inoltre, è emerso anche il nome di Antonio D’Amato, ex presidente di Confindustria, preferito da alcuni esponenti di Forza Italia nel caso di una scelta civica.

Forza Italia in Campania: un futuro incerto

Queste dimissioni sono un chiaro segnale delle difficoltà interne di Forza Italia in Campania. Patriarca e i suoi colleghi, pur rimanendo nel partito, chiedono un cambiamento di rotta e attendono l’intervento di Tajani per affrontare la situazione. Il futuro del partito nella regione dipenderà da come la leadership gestirà queste tensioni e se riuscirà a ricostruire l’unità in vista delle prossime sfide elettorali.

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