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P2, 40 anni fa la scoperta della loggia segreta

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Cercavano la famosa lista dei ‘500’, gli esportatori di valuta che sarebbero stati aiutati da Michele Sindona. Trovarono l’elenco di 962 iscritti a Propaganda 2, la P2, loggia massonica nata coperta e divenuta segreta. La scoperta 40 anni fa, il 17 marzo 1981, quando la guardia di finanza, su ordine dei giudici milanesi Gherardo Colombo e Giuliano Turone che indagavano su Sindona, fecero perquisire casa e ufficio di Licio Gelli – il gran maestro della P2 che da piccolo sognava di fare il burattinaio -, ovvero Villa Wanda ad Arezzo e la Gio.le, fabbrica di confezioni a Castiglion Fibocchi. La lista fu rinvenuta in azienda: “Quello che trovammo fu al di la’ di qualsiasi aspettativa” il commento anni dopo di Colombo. La pubblicazione dell’elenco il 21 maggio, per decisione dell’allora premier Arnaldo Forlani che l’aveva ricevuto dai magistrati il 25 marzo, provoco’ un terremoto: il governo cadde nel giro di cinque giorni. Tra gli affiliati figuravano i nomi di ministri, finanzieri, editori, giornalisti, militari, capi ed ex capi dei servizi segreti, prefetti, questori, magistrati, imprenditori. Elenchi “autentici e attendibili”, semmai incompleti per la commissione parlamentare di inchiesta sulla P2: Tina Anselmi, che la presiedeva, spiego’ che sarebbero stati dai 1500 ai 2000. La loggia fu poi sciolta nel 1982 dalla legge che vietava le associazioni segrete presentata dal governo di Giovanni Spadolini, succeduto a Forlani, primo premier non democristiano della storia repubblicana. La P2 venne sospettata di essere collegata direttamente o indirettamente ai maggiori scandali e vicende tragiche e oscure degli ultimi 30 anni di storia italiana all’epoca della sua scoperta: il tentato golpe Borghese, la strategia della tensione, il crac Sindona, il caso Calvi, la scalata ai grandi gruppi editoriali, il sequestro Moro. Fu “un’organizzazione che ha cercato, all’ interno delle istituzioni, di controllare, di condizionare la vita politica del Paese”: cosi’ Anselmi sintetizzo’ il giudizio della commissione. Nella relazione di maggioranza si affermava anche che era “entrata in contatto con ambienti protagonisti di vicende che hanno segnato in modo tragico momenti determinanti della storia del Paese”. Il verdetto giudiziario fu un altro: nessuna cospirazione politica. Gelli fu condannato per il procacciamento di documenti contenenti notizie riservate, sentenza pero’ mai eseguita: il reato non rientrava tra quelli per i quali la Svizzera aveva concesso l’estradizione del venerabile che, ricercato dal maggio 1981, a Ginevra fu arrestato nel 1982, evase l’anno dopo, si costitui’ nel 1987. Sul suo ruolo effettivo la commissione parlamentare giudico’ comunque una sproporzione riportare il disegno sotteso al fenomeno P2 e la sua attuazione “a una sola mente”. Fu usata la metafora delle due piramidi, una inferiore e una superiore rovesciata. Gelli sarebbe stato al vertice della prima, “figura punto di collegamento tra le forze e i gruppi che nella piramide superiore identificano le finalita’ ultime, e quella inferiore dove esse trovano pratica attuazione”. “Un abile direttore generale”, lo defini’ Anselmi. Gelli racconto’ che obiettivo della sua P2 era quello di “governare senza essere al governo”. Disse anche: “La rifarei. Anche se tanto del mio Piano di rinascita democratica”, il programma della loggia, “e’ stato realizzato. Mi sarebbero bastati altri quattro mesi. E avrei cambiato il sistema politico senza colpo ferire”. Il venerabile e’ morto il 15 dicembre 2015, a 96 anni. L’anno scorso la procura generale bolognese ha chiuso un nuovo filone di indagine sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980: Gelli, gia’ condannato per depistaggio e assolto dall’accusa di associazione eversiva, e’ stato chiamato in causa come un mandante-finanziatore.

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Le dash cam per vendere informazioni a Mosca, 2 indagati

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Avrebbero collaborato con “i servizi di intelligence russi” per un’attività inquietante di “spionaggio”, prestandosi a fornire, in cambio di criptovalute, “dati sensibili”, documentazione “classificata”, fotografie di installazioni militari e informazioni su tecnici specializzati nel campo dei droni e della sicurezza elettronica. E pure la “mappatura” dei sistemi di video sorveglianza di Milano e Roma, “mostrando particolare” attenzione alle “zone grigie”, ossia a quelle aree cittadine non coperte da telecamere. E’ quanto contesta la Procura di Milano a due imprenditori italiani di 34 e 60 anni, titolari di una società in Brianza, esperti nel campo delle tecnologie e “filo-russi”. Ai due è stato recapitato oggi l’avviso di conclusione delle indagini per il reato di “corruzione del cittadino da parte dello straniero”, aggravato “dall’art. 270 bis”, in quanto commesso per “finalità di terrorismo ed eversione”.

I rapporti tra i due indagati e persone ritenute legate agli 007 di Mosca sarebbero nati prima sul deep web e poi proseguiti su Telegram, dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina. E gli imprenditori avrebbero agito, oltre che per alcune migliaia di euro, a volte 2mila a volte 10mila in criptovalute, anche per finalità prettamente “ideologiche”, perché dalla parte della Russia nel conflitto e contro “le politiche occidentali”. L’inchiesta, coordinata dal pm Alessandro Gobbis del pool antiterrorismo, guidato dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco, iniziata a partire dall’aprile scorso, scaturisce dagli esiti di una complessa attività investigativa condotta dal Ros di Milano, in collaborazione con la Sezione Criptovalute del Comando Carabinieri Antifalsificazione Monetaria di Roma.

Indagine, a cui ha collaborato anche l’Aise, nella quale sono stati “riscontrati a partire dal 2023 l’adescamento, da parte di cittadini russi, e la successiva corrispondenza sul canale telegram” tra loro e i due indagati. Questi ultimi si sarebbero messi a disposizione per acquisire informazioni, dalle più banali come ricerche sul web anche da fonti aperte, come le Camere di Commercio, fino a fotografie anche del Duomo di Milano, fino ad immagini di caserme ed obiettivi militari, alcune anche tecnicamente impossibili da realizzare. Ma pure per una raccolta più ampia di dati, simile ad operazioni di dossieraggio, in particolare su imprenditori. La richiesta degli apparati di intelligence sarebbe stata, poi, quella di arrivare a ‘vedere’ dove non ci sono telecamere, anche se non c’è prova nelle indagini che avessero possibilità di entrare nei sistemi di videosorveglianza pubblici o privati.

Le perquisizioni eseguite nei confronti dei due prima dell’estate, infatti, hanno fatto emergere interessi per la “mappatura” dei sistemi di videosorveglianza di Milano e Roma, con particolare attenzione alle “zone grigie”, ossia a quelle aree cittadine non coperte da telecamere. E proprio la volontà di avere il “controllo” su certe zone delle città o su aree militari è ciò che ha destato maggiore “allarme” tra gli inquirenti della Procura guidata da Marcello Viola. Infine, è venuto a galla anche una sorta di piano per trasferire informazioni a Mosca: i due, destinatari dell’atto di chiusura delle indagini, avrebbero pure proposto a cooperative di taxi di Milano un “business plan” che prevedeva l’installazione a titolo gratuito di “dash cam”, piccole videocamere da cruscotto in genere di sicurezza. E ciò nella prospettiva di affidare, all’insaputa dei tassisti, la gestione delle immagini di intere aree cittadine all’intelligence russa e per “molteplici finalità”. Tra queste quella più concreta, per gli inquirenti, è una attività di “spionaggio” ad ampio spettro.

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Modi, l’amicizia con l’Italia aiuta a rendere il mondo migliore

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“Felice di aver incontrato il primo ministro Giorgia Meloni a margine del Summit G20 di Rio de Janeiro. I nostri colloqui si sono incentrati sull’intensificazione dei rapporti in ambiti come difesa, sicurezza, commercio e tecnologia. Abbiamo anche parlato di come incrementare la cooperazione in settori come cultura, istruzione e altri ambiti simili. L’amicizia tra l’India e l’Italia può contribuire enormemente a rendere il pianeta migliore”. Lo scrive il primo ministro indiano Narendra Modi su X dopo l’incontro con la premier italiana a margine del G20 di Rio de Janeiro.

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Fitto al test finale, ultime riserve nei Socialisti

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Martedì, all’ora di pranzo, l’Italia potrebbe aver ufficialmente conquistato la vice presidenza esecutiva della Commissione Ue. Il traguardo è ben visibile, la strada per arrivarci tuttavia non è del tutto sgombra. Raffaele Fitto, il candidato di Giorgia Meloni che piace a Ursula von der Leyen, non ha convinto i Socialisti. O, almeno, l’intero gruppo di S&D. Tedeschi e francesi non hanno abbassato la loro trincea.

Il nodo resta quello dell’assegnazione di una vice presidenza esecutiva a un rappresentante di un partito che non è nella maggioranza europeista e che non ha votato, nel luglio scorso, il bis di von der Leyen. La numero uno dell’esecutivo europeo si sta occupando in prima persona del dossier. La settimana scorsa, quando le candidate Hadja Lahbib e Jessika Roswall erano state momentaneamente rimandate dalle commissioni del Pe competenti, von der Leyen si è recata all’Eurocamera e ha parlato a lungo con loro.

Per la presidente ulteriori ritardi non sono ammissibili: il primo dicembre la nuova Commissione deve entrare in carica e cominciare a pianificare la strategia europea per affrontare gli Usa di Donald Trump. Il sudoku delle votazioni sui candidati, inoltre, sembra blindare il destino di Fitto. Il candidato italiano sarà esaminato martedì con gli altri 5 vice presidenti in pectore. L’audizione è prevista alle 9.30, in contemporanea a quella di Kaja Kallas. Subito dopo toccherà a Stephane Sejourné e Roxana Minzatu.

Chiuderanno la giornata Teresa Ribera e Henna Virkkunen. Un blitz anti-Fitto dei Socialisti avrebbe un effetto immediato: una rappresaglia di Ecr e Ppe su Minzatu e soprattutto su Ribera, entrambe di S&D. A ciò vanno aggiunti due dati. Fitto è trasversalmente considerato un uomo del dialogo, non certo un estremista anti-Ue. Il gruppo Ecr, nelle audizioni dei 20 candidati commissari finora esaminati al Pe, è stato tra quelli più ligi nel votare la loro promozione, a prescindere dal partito di appartenenza.

Il tema, come si dice da settimane è però politico. L’apertura alle destre di Manfred Weber – non solo a Ecr, ma anche ai Patrioti – ha fatto scattare l’allarme nei Socialisti, nei Verdi e nei Liberali. Il pericolo di una ‘maggioranza Venezuela’ (dal nome della risoluzione su cui si è formata per la prima volta) alternativa a quella Ursula, è diventato concreto. A complicare il quadro ci sono le tensioni interne ai singoli Paesi, a partire dal pressing del leader della Cdu Friedrich Merz sul cancelliere Olaf Scholz affinché la Germania torni alle urne. “Fitto non può essere vicepresidente, e la posizione del mio gruppo a riguardo non è cambiata”; ha avvertito dal canto suo giovedì scorso il francese Raphael Glucksmann. In linea teorica, il candidato italiano potrebbe passare senza il sì di S&D e con il voto favorevole dei Patrioti, arrivando così al quorum dei 2/3 necessario. Ma per von der Leyen si porrebbe un problema politico non da poco: i sovranisti di Viktor Orban, che hanno Donald Trump come stella polare, risulterebbero decisivi.

Per questo, dalla Commissione è partita una silenziosa moral suasion nei riguardi di Weber, con l’obiettivo di frenare qualsiasi sua tentazione di apertura ai sovranisti, restando invece nell’alveo di una maggioranza “di centro, e pro-europeista”. Il Parlamento, tuttavia in queste occasioni è solito rivendicare un suo ruolo. Che Fitto sia costretto al supplemento di esame con le domande scritte non è escluso, come è accaduto per il candidato commissario ungherese. La decisione sulle risposte di Oliver Varhelyi alle domande scritte è attesa per lunedì pomeriggio. E anche da qui si capirà se, martedì, l’Eurocamera, sarà il teatro di normali tensioni politiche o l’anticamera del caos.

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