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‘Ora basta’, Biden chiede divieto per le armi d’assalto

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“Adesso basta. Dopo Columbine, Sandy Hook, Orlando e Las Vegas nulla e’ stato fatto. Questa volta dobbiamo agire” sulle armi perche’ gli ospedali e le scuole sono diventati “campi di sterminio qui in America”. Elencando le maggiori stragi della storia americana Joe Biden chiede al Congresso un’azione forte alla luce delle 234 sparatorie di massa dall’inizio dell’anno. “Quante altre carneficine siamo disposti ad accettare? Il Senato deve fare qualcosa. E’ inaccettabile e immorale il rifiuto di alcuni repubblicani anche solo ad avviare il dibattito”, dice il presidente americano dalla Cross Hall della Casa Bianca dove sono state disposte candele in onore delle vittime di armi da fuoco. Parlando direttamente agli americani Biden illustra quella che a suo avviso sarebbe la strategia. “Dobbiamo vietare le armi d’assalto e i caricatori di alta capacita’”, dice, consapevole comunque che si tratta di misure con chance minime se non nulle di essere approvate in Congresso. “Se non possiamo vietarle” allora dovremmo “alzare l’eta’ da 18 a 21 anni e rafforzare i controlli all’acquisto”, aggiunge, chiedendo anche che vengano abolite le “oltraggiose” tutele esistenti per i produttori di armi. Biden racconta agli americani le ore trascorse con le famiglie delle vittime di Uvalde e Buffalo, le ultime due stragi condotte da due diciottenni armati con fucili d’assalto. Massacri che hanno portato alla ribalta le ‘Red Flag Laws’ che il presidente appoggia. Si tratta di leggi che consentono a polizia e famigliari di chiedere a un tribunale il ritiro delle armi a qualcuno ritenuto pericoloso per se stesso e per gli altri. Invitando a misure di “buon senso”, il presidente si sofferma anche sul Secondo Emendamento, da anni scudo dei sostenitori delle armi e dei repubblicani che lo ritengono sacro. “Non e’ assoluto. Non prevede diritti illimitati”, tuona il presidente precisando che “non si vogliono strappare diritti a nessuno. Quello che vogliamo e’ proteggere i nostri bambini, per i quali le armi sono la causa di morte numero uno. Vogliamo proteggere le comunita’”, spiega Biden ricordando come le “mitragliatrici sono regolate a livello federale da quasi 90 anni ma gli Stati Uniti sono ancora un Paese libero” e con diritti. Biden quindi assicura che non mollera’ sulle armi. “Se il Congresso dovesse fallire, penso che questa volta neanche la maggioranza degli americani mollera’”, dice chiedendo di fare delle armi un tema centrale delle prossime elezioni. L’impegno del presidente comunque si scontra con una realta’ in salita. I democratici non hanno i numeri in Senato per forzare la mano, la Casa Bianca ha un raggio d’azione limitato, e al voto di meta’ mandato i liberal si presentono deboli e divisi, senza contare che per tradizione le urne premiano i sostenitori del Secondo Emendamento. E mentre il dibattito a Washington si scalda, in America si continua a sparare. Dopo Buffalo, Uvalde e Tulsa, un nuova sparatoria e’ avvenuta nel corso di un funerale in Wisconsin causando cinque feriti.

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Attacco di Hezbollah in Libano, feriti quattro militari italiani della missione UNIFIL

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Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.

UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE  (FOTO IMAGOECONOMICA)

La dinamica dell’attacco

Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.

Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.

UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA

Le dichiarazioni del ministro Crosetto

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:

“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.

Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.


La solidarietà del Presidente Meloni

Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:

“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.


Unifil: una missione per la pace

La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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