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Cronache

Omicidio di Fabio Ravasio, l’uomo ucciso in bici: il piano della moglie per ucciderlo

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Un delitto ideato mesi prima e cinque complici, tra amici e familiari, convinti a partecipare con la promessa di un appartamento in regalo. E’ quanto emerge dalla confessione di uno dei fermati per l’omicidio di Fabio Ravasio, 52enne travolto da un’auto lo scorso 9 agosto mentre si trovava in bicicletta in via Vela a Parabiago, nel Milanese.

Il piano messo a punto dalla ex compagna Adilma Pereira Carneiro, brasiliana di 49 anni che sarebbe la mente dietro al delitto, era infatti quello di farlo passare per un incidente. L’obiettivo, intascarsi l’eredità dell’ex compagno, con il quale condivideva ancora la casa e due figli. A raccontare i dettagli dell’omicidio è stato uno dei due uomini incaricati di fare ‘da palo’.

Il 44enne Mirko Piazza, crollando dopo due settimane di indagini, ha spiegato ai carabinieri che il progetto risalirebbe a “circa tre mesi fa”. Sarebbe stato allora che Pereira gli ha detto che “non sopportava più il marito e che quindi lo voleva uccidere”. “Mi chiese di collaborare”, ha aggiunto. “Io inizialmente le dissi di no”. Circa una settimana prima dell’omicidio, “Adilma mi contattò nuovamente, chiedendomi di andare a casa sua insieme a Massimo Ferretti e Marcello Trifone”, rispettivamente nuovo amante ed ex marito della donna.

“Aveva bisogno del nostro aiuto. Lei ci propose, in cambio della nostra partecipazione all’omicidio, di regalarci un appartamento per ciascuno in una cascina”. Dal racconto del complice, che ha confessato tutto insieme all’altro ‘palo’ Fabio Lavezzo, fidanzato di una delle figlie di Pereira, emerge un’organizzazione “approssimativa”, nella quale però erano stati stabiliti dei ruoli ben precisi, discussi durante “altri due incontri operativi” e i sopralluoghi.

A bordo della Opel Corsa di Adilma, alla quale era stata modificata la targa e che è stata usata per travolgere Ravasio, ci sarebbero stati Trifone, lato passeggero, e Igor Benedito, figlio di Pereira, alla guida. A incastrare gli esecutori materiali anche l’intercettazione di una telefonata tra la donna e Trifone: “Non dici che sei stato tu, non dici niente”, si era raccomandata Pereira.

E ancora: “Tu avevi i guanti?” “Guidava Igor e i guanti li aveva lui”. La macchina, rinvenuta in un box di Parabiago con il parabrezza sfondato, presentava ancora i segni evidenti dell’investimento. Il pm di Busto Arsizio Ciro Caramore, che ha firmato il provvedimento di fermo nei confronti dei sei, osserva che si tratta di un “delitto di eccezionale gravità” e che “l’assoluta (per certi versi incredibile) facilità e spregiudicatezza dimostrata dagli indagati nel commettere il reato costituisce indizio evidente e tangibile della pericolosità dei medesimi”.

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Duro colpo al clan Fabbrocino: misura cautelare per 13 persone e sequestro di due società

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Un’importante operazione dei Carabinieri ha inferto un colpo significativo al clan Fabbrocino, organizzazione criminale attiva a Palma Campania e nelle zone limitrofe. Su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Castello di Cisterna hanno eseguito un’ordinanza cautelare, emessa dal GIP del Tribunale di Napoli, nei confronti di 13 persone, gravemente indiziate di reati legati ad associazione mafiosa, estorsione, tentata estorsione, detenzione e porto di armi, oltre al trasferimento fraudolento di valori.

Di queste, 12 persone sono state sottoposte a custodia cautelare in carcere, mentre una è stata posta sotto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Gli indagati sono accusati di aver agevolato e favorito gli interessi del clan Fabbrocino, utilizzando la forza intimidatoria tipica della metodologia mafiosa per estorcere denaro da diversi imprenditori della zona. Tali attività estorsive, infatti, avrebbero consentito agli imprenditori di continuare a svolgere le loro attività commerciali.

Durante l’operazione, sono state inoltre sequestrate due società, riconducibili secondo gli inquirenti al clan Fabbrocino. Il sequestro preventivo rientra nelle misure cautelari disposte in sede di indagini preliminari.

Va sottolineato che i destinatari del provvedimento sono attualmente indagati e considerati innocenti fino a una sentenza definitiva. Le indagini proseguono, e sarà compito della magistratura accertare le responsabilità dei coinvolti.

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Cronache

Ancora morti in carcere, due suicidi ad Avellino e Roma

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Ancora suicidi in cella, stavolta due nell’arco di poche ore. Si allunga la lista di persone che si sono tolte la vita in carcere: sono 72 dall’inizio dell’anno secondo i sindacati di polizia penitenziaria. Gli ultimi casi riguardano quello di un detenuto nigeriano di 32 anni, John Ogais, morto nell’istituto di Ariano Irpino, in provincia di Avellino: l’uomo era stato arrestato nel 2017 a Crotone sulla base delle testimonianze dei migranti che lo incolpavano tra l’altro, di essere un torturatore. Ogais, detto Rambo, già domenica scorsa dopo aver aggredito e mandato in ospedale quattro agenti della penitenziaria, aveva tentato di impiccarsi alla grata della cella facendo un cappio con le lenzuola: era stato salvato in extremis da un poliziotto. Nel carcere irpino era giunto il mese scorso e per tutta la giornata di ieri era stato sottoposto a sorveglianza attiva ma in serata è riuscito a mettere in atto i suoi propositi. È il nono episodio in un carcere campano da gennaio. Poche ore dopo nell’istituto romano di Regina Coeli è stato trovato impiccato all’alba un cinquantenne, arrestato il 25 agosto scorso per maltrattamenti in famiglia.

“A queste morti, vanno aggiunte quelle dei sette agenti della polizia penitenziaria che si sono tolti la vita nel 2024. Una strage senza fine e senza precedenti che certifica, ancora una volta, il fallimento più totale del sistema carcerario”, sostiene il segretario generale della Uilpa, polizia penitenziaria, Gennarino De Fazio. A segnalare “l’emergenza rispetto alla presenza di detenuti psichiatrici e l’assenza di personale specializzato che non può più essere negata” è il garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà Samuele Ciambriello, che al di là dei decessi, riferisce di “moltissimi atti di autolesionismo e manifestazioni di gesti estremi”. Intanto il ministero continua a lavorare per mettere a punto i nuovi provvedimenti previsti dal decreto carcere approvato nel luglio scorso.

“In un paio di mesi sarà pronto l’elenco del’albo delle comunità”, annuncia il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, parlando delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale dei detenuti che hanno i requisiti per accedere alla detenzione domiciliare e alle misure penali di comunità, ma che non sono in possesso di un domicilio. Ostellari ha ricordato che sono settemila i detenuti che non escono dal carcere solo perché non hanno un domicilio. In Parlamento la Camera ha invece approvato l’articolo 26 del ddl sicurezza, emendato dal governo, che introduce nel codice penale anche la “resistenza passiva” in carcere. Chi “partecipa ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti, commessi in tre o più persone riunite, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni”. In tale contesto “costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva”.

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Abusi su due amiche moglie, condannato a 9 anni a Lodi

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Un trentenne di Lodi è stato condannato, oggi, a 9 anni di reclusione per due episodi di violenza sessale che, secondo l’accusa, avrebbe commesso nella stessa notte ai danni di due 25enni amiche di sua moglie. Gli abusi si sarebbero verificati nella primavera del 2022 al termine di una serata che aveva visto riunirsi alcune famiglie di connazionali sudamericani per festeggiamenti. Entrambe le giovani donne avrebbero bevuto birre e superalcolici per diverse ore.

Parte del gruppo, compresi il 30enne e le due donne, si era poi spostato in un altro appartamento, sempre a Lodi per riposarsi. Qui, l’uomo avrebbe primo molestato sessualmente una delle due donne e, poi, sarebbe andato nella camera dell’altra consumando una violenza confermata dal test del Dna. Secondo la difesa, nel primo caso il trentenne si sarebbe fermato non appena la giovane si era sottratta dall’andare oltre e, nel secondo caso, le modalità descritte renderebbero impossibile la mancanza di consenso da parte della donna. Il Tribunale ha disposto risarcimenti provvisionali di 10 e di 50mila euro a favore delle due persone offese costituitesi parte civile dopo aver chiesto supporto a un centro antiviolenza.

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