A Gaza la guerra prosegue senza soste con i raid israeliani concentrati a sud. Ed un importante bersaglio colpito: uno dei nascondigli della primula rossa di Hamas, Yahya Sinwar, con una ben strutturata rete di tunnel. In Egitto invece si muove la diplomazia, pur tra mille difficoltà, alla ricerca di una soluzione che garantisca almeno una tregua. Occhi puntati sul Cairo per un confronto tra i mediatori locali ed emissari di Hamas. Le operazioni militari israeliane sono proseguite su tutta la Striscia. Nel Nord le forze armate hanno reso noto di aver ucciso decine di terroristi armati, e soprattutto hanno annunciato di aver individuato e demolito un appartamento appartenente a Sinwar, alla periferia di Gaza City. Secondo l’Idf c’erano molti “reperti” che indicavano che l’alloggio venisse utilizzato dal leader di Hamas come nascondiglio.
Nel blitz è stato distrutto anche un pozzo profondo 20 metri che conduceva a un tunnel lungo 218 metri con diverse diramazioni. Dotate di elettricità, sistemi di filtraggio dell’aria, impianti idraulici, sale di riposo e di preghiera e altre attrezzature per consentire ai membri anziani di Hamas di rimanere nascosti per lunghi periodi. Di Sinwar non c’era traccia, ma la caccia continua, così come al capo militare Mohammed Deif, di cui è stata trovata un’immagine recente. Recuperata in una delle sue basi, potrebbe servire per una sua migliore identificazione: l’ultima foto dell’uomo che avrebbe pianificato l’attacco del 7 ottobre risaliva a 30 anni fa.
Il cuore dell’offensiva israeliana in questa fase resta il sud intorno a Khan Yunis, ma nel centro della Striscia è stato preso di mira il campo profughi di Nuseirat, provocando almeno 20 morti e numerosi dispersi, secondo fonti mediche palestinesi. Appena qualche giorno fa in un raid nel campo di Al-Maghazi si erano contati altre 70 vittime. Attorno a queste zone Israele denuncia la presenza di roccaforti militari del nemico, ma con questi attacchi massicci si moltiplica il rischio di colpire civili e mezzi umanitari. L’agenzia Onu per i rifugiati ha denunciato che l’esercito ha sparato contro un convoglio di aiuti, mentre fonti sanitarie locali hanno riferito che i morti dall’inizio della guerra sono oltre 21.500. La tensione resta altissima anche fuori da Gaza. In Cisgiordania un’auto guidata da un palestinese ha travolto e ferito quattro israeliani vicino Hebron, e l’assalitore è stato ucciso sul posto dai soldati. Sul fronte del Libano, sono stati identificati diversi lanci di razzi da nord e l’Idf ha risposto con fuoco di artiglieria contro una “infrastruttura di Hezbollah”.
Per indebolire il fronte sciita filo-iraniano Israele ha ripreso a colpire l’area dell’aeroporto di Damasco, da cui si presume arrivino le forniture militari per Hamas. Undici membri della Guardia rivoluzionaria di Teheran sarebbero rimasti uccisi. Nel pieno dei combattimenti i mediatori regionali non lesinano gli sforzi alla ricerca di una svolta. In Egitto è stata invitata una delegazione di alto livello dell’ufficio politico di Hamas (basata in Qatar) per discutere un piano di pace elaborato dal Cairo.
Secondo fonti vicine al movimento palestinese la strategia di al Sisi prevede delle tregue rinnovabili, un rilascio scaglionato di ostaggi da Hamas in cambio di prigionieri palestinesi in Israele e, infine, un cessate il fuoco duraturo. Al termine delle ostilità, si immagina un governo tecnico palestinese frutto di un accordo tra tutte le fazioni dei Territori, a cui affidare la gestione e la ricostruzione di Gaza. Israele non ha ancora commentato formalmente il piano del Cairo, ma nei giorni scorsi il premier Benjamin Netanyahu ha detto alle famiglie degli ostaggi che proseguono i contatti con gli egiziani, ed ha promesso di “lavorare per riportarli tutti indietro”. Ma il sentiero resta strettissimo, anche perché lo stesso Netanyahu ha ribadito più volte che la guerra continuerà per mesi. A complicare le cose c’è un caso alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja, perché il Sudafrica ha denunciato Israele al tribunale dell’Onu per “azioni genocide contro la popolazione palestinese a Gaza”. Un’accusa “senza basi” respinta “con disgusto” dallo Stato ebraico, secondo cui il governo di Pretoria “collabora con un gruppo terroristico che vuole distruggerci”.