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Nordio va avanti sulla riforma, la maggioranza lo blinda

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La riforma della Giustizia non è neanche arrivata al Quirinale per la firma che già il braccio di ferro tra maggioranza e toghe si profila intenso e senza esclusioni di colpi. Il Governo mantiene il punto, con il ministro degli Esteri e coordinatore di FI, Antonio Tajani, che ribadisce l’importanza della separazione dei poteri. “Le leggi le scrive il Parlamento, non le scrivono i giudici”, rimarca. “I giudici”, la legge, la “devono applicare”, poi, possono anche esprimere “le loro opinioni”, ma un conto è il potere legislativo, un conto quello giudiziario. Una presa di posizione che conferma ‘l’altolà’ arrivato dal Guardasigilli Carlo Nordio nei giorni scorsi quando definì le critiche dell’Anm delle “interferenze”. Tajani assicura anche che sul testo, atteso alla Camera per i prossimi giorni, “non c’è nessuno scontro” perché “la questione dell’abuso di ufficio trova un consenso quasi unanime”. Anche nel Pd con la “stragrande maggioranza dei sindaci che è d’accordo con noi”.

Nordio continua a difendere la sua riforma, stavolta per la parte che riguarda le intercettazioni, assicurando che l’intenzione del governo è quella di intervenire “per attuare completamente l’articolo 15 della Costituzione che afferma la libertà e la segretezza delle conversazioni”. Per ora, si cerca di tutelare i terzi. “Ma poi – è il suo impegno – interverremo per tutelare la dignità e la libertà delle persone che devono parlare fra loro in totale riservatezza,che è l’altro lato della libertà”. “Certo – assicura – senza compromettere le indagini per i crimini della delinquenza organizzata”. Sul fronte dell’inappellabilità delle assoluzioni per i reati meno gravi da parte dei Pm, altra misura calda della riforma, il ministro sostiene che si è tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale che nel 2007 definì illegittima, perché in contrasto con il principio del giusto processo (art.111 della Costituzione) la ‘legge Pecorella’, dal nome del parlamentare di FI Gaetano Pecorella che la propose nel 2006. E che pertanto è inattaccabile. Quindi, punta il dito contro l'”incertezza delle norme”, nelle cui pieghe si “annida la corruzione”.

In difesa della riforma si schiera anche il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto che spiega come, con la stretta sulle intercettazioni, finirà “il Bronx nel cercare quelle più gossippare che solleticavano anziché informare”. “Si è cercato un equilibrio affidando la scelta delle intercettazioni più utili al giudice. E mi stupisce – incalza – che la magistratura si lamenti di questo”. Le toghe sembrano ormai pronte allo scontro. Il Csm fa sapere che se non sarà interpellato dal governo per avere un parere sul ddl, lo darà comunque. E duro è il tono di Magistratura Democratica.

La corrente delle toghe invisa alla maggioranza spiega come i dati del governo sull’abuso d’ufficio siano falsati e critica il ddl nel suo complesso. Il numero fatto anche da Nordio dei “5.000 procedimenti per l’abuso d’ ufficio”, “falsifica lo stato dell’arte” perché in realtà, grazie “alla scrematura operata dai magistrati (il 90%)” vanno a giudizio “solo 455 casi”. Sul fronte della politica, la maggioranza assicura di essere “compatta” sul ddl, visto che Nordio ne avrebbe parlato prima e a lungo con tutti gli alleati che ora assicurano di non voler presentare “emendamenti correttivi” alla riforma. L’opposizione, invece, si spacca. La Segretaria Pd Elly Schlein ribadisce il no all’abrogazione dell’abuso d’ufficio perché metterebbe l’Italia in contrasto con l’Ue che invece, dopo il Qatargate, sta rafforzando il reato. E contrari sono anche il M5S e AVS con Nicola Fratoianni che invita l’Esecutivo a “fare un passo indietro” e con Angelo Bonelli che definisce “gravissimo” il voler eliminare le intercettazioni per i reati contro la P.A perché questo “apre la strada alle mafie”. Il Terzo Polo con Carlo Calenda ribadisce, invece, la sua disponibilità a dire sì al’intero ddl.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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