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Neonati morti, i pm chiedono ancora il carcere per Chiara

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Per la Procura di Parma Chiara Petrolini deve andare in carcere, altre misure cautelari non sono sufficienti. Ecco perché i magistrati hanno presentato appello al Tribunale del Riesame di Bologna contro l’ordinanza del 19 settembre con cui il Gip di Parma ha disposto i domiciliari per la 21enne studentessa di Scienze dell’Educazione di Traversetolo (Parma), indagata per omicidio premeditato e soppressione di cadavere nella vicenda dei due neonati morti e sepolti nel giardino della sua villetta e ha chiesto che la ragazza, ai domiciliari dal 20 settembre, sia mandata in carcere. Il Gip aveva infatti respinto la richiesta fatta dalla Procura per soppressione di cadavere, per quanto riguarda il neonato partorito il 7 agosto e ritrovato due giorni dopo, ritenendo sussistente il reato meno grave di occultamento di cadavere.

A motivare la decisione è stato lo stesso procuratore capo Alfonso D’Avino, con una nota che ripercorre la vicenda e tira in ballo anche il ruolo dei genitori. Nel suo provvedimento, infatti, il Gip aveva ritenuto sufficienti gli arresti domiciliari, con il divieto di comunicare con persone diverse da coloro che vivono con l’indagata (i genitori e il fratello minore), anche in ragione del controllo che sarebbe stato fatto dai familiari conviventi. Una conclusione però non condivisa dalla Procura, “non potendosi affidare a terzi – dice il procuratore – nella specie, peraltro, a quegli stessi genitori che mai di nulla si erano accorti di ciò che avveniva in casa propria, il buon esito e l’efficacia degli arresti domiciliari”. Secondo la stessa ricostruzione degli inquirenti, infatti, la 21enne avrebbe nascosto a tutti (genitori, fidanzato e amici) le gravidanze dello scorso agosto e del maggio 2023, partorendo in solitudine. Inizialmente anche i genitori furono indagati, per poter svolgere gli esami medico legali, poi la loro posizione è stata stralciata.

La Procura ha quindi fatto appello per Chiara, chiedendo che il seppellimento del secondo neonato venga classificato come soppressione di cadavere e che per tutti i reati ipotizzati (omicidio volontario aggravato per il neonato morto ad agosto e per soppressione di cadavere dei due neonati) sia applicata la custodia cautelare in carcere. Per la morte del neonato partorito a maggio 2023 non era stata fatta richiesta di misura cautelare, dal momento che non sono completati gli esami medico legali. Ora bisognerà attendere la decisione del Tribunale del Riesame. Nel frattempo l’oramai ex fidanzato di Chiara Petrolini, ha parlato per la prima volta della vicenda in un’intervista alle Iene, spiegando di non aver mai sospettato di nulla.

“Dal giorno che ci siamo fidanzati fino all’ultimo non l’ho mai vista cambiata, mai vista star male. Non si notava nulla, né il seno, né la pancia, né il corpo. Neanche nei suoi atteggiamenti”. Il giovane, che conosce la 21enne fin da quando sono piccoli, ha sottolineato di non riuscire a spiegarsi come sia successo. E ancora: “Il giorno che hanno trovato il primo bambino mi ha mandato un messaggio: ‘Hanno trovato un bambino in casa mia. Siamo scioccati’. Per me era tutto strano, non lo collegavo a lei”. Poi è arrivata la chiamata dei carabinieri. “Non abbiamo mai parlato di bambini. Non era nemmeno tra i miei piani – ha detto infine – ma se fosse successo me lo sarei tenuto. Secondo me perché l’ha fatto? Per il giudizio degli altri. Se lei li avesse voluti tenere io non mi sarei tirato indietro”.

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In 3 anni a Milano circa 1,4 milioni di multe con Eagle Eye, la telecamera sulle auto della polizia locale

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Sono circa 1,4 milioni le multe effettuate in tre anni dal Comune di Milano attraverso l’Eagle Eye, la telecamera che si trova sul tetto delle vetture delle Polizia locale che legge in tempo reale la targa delle auto e verifica se ci sono delle irregolarità. Nel 2022 sono state effettuate 216.720 multe con questo strumento come ha spiegato in Consiglio comunale l’assessore alla Sicurezza Marco Granelli rispondendo al consigliere di Fratelli d’Italia Enrico Marcora . Nel 2023 le multe sono quasi triplicate arrivando a 601.984, nel 2024 la tendenza è simile, con 641.002 multe con Eagle Eye al 31 agosto.

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Resta in carcere il diciassettenne accusato dell’omicidio della 42enne Maria Campai

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Ha risposto a tutte le domande che il giudice gli ha fatto durante l’ora e mezzo di interrogatorio a cui è stato sottoposto. Il 17enne accusato di aver ucciso Maria Campai, 42 anni di nazionalità romena, nel suo garage dopo un rapporto intimo, ha confermato quanto aveva già detto agli investigatori al momento del fermo, venerdì scorso, dopo la scoperta, su sua indicazione, del luogo in cui aveva nascosto il corpo della donna, uccisa una settimana prima e per la cui scomparsa si erano mobilitati in tanti con ricerche sul campo e appelli televisivi. In che stato d’animo si sia trovato il ragazzo, sempre apparso molto sicuro di sé, con un fisico muscoloso scolpito con ore e ore di palestra, di fronte al magistrato che gli chiedeva conto del suo gesto, non è possibile saperlo.

All’uscita del Tribunale dei minori di Brescia dove si è svolto l’interrogatorio di garanzia, i suoi legali si sono trincerati dietro il più stretto riserbo: “Adesso la valutazione di quanto dichiarato spetta al giudice – ha detto uno di loro, Paolo Antonini – Abbiamo valutato di non rilasciare dichiarazioni a tutela del minorenne sufficientemente massacrato dal circuito mediatico in cui è finito”. Il Gip ha deciso e, dopo aver ascoltato la versione dei fatti resa dal giovane, non ha avuto dubbi: ha confermato le ipotesi accusatorie iniziali, e cioè l’omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e l’occultamento di cadavere.

E ne ha convalidato il fermo disponendo la misura cautelare della custodia in carcere all’istituto Beccaria di Milano dove si trova già da venerdì scorso. Il fatto che le ipotesi di reato non siano cambiate in quattro giorni di intensa attività investigativa, significa che il quadro accusatorio sta reggendo, supportato anche dai tanti elementi che gli investigatori stanno raccogliendo nel garage dove si è consumato il delitto, e nei dintorni (ancora non sarebbe passato sotto osservazione l’appartamento della famiglia del giovane, composta da padre, madre e due sorelle).

Tecnicamente, però, forse anche per la giovane età dell’accusato, non si parla di confessione, ma di collaborazione del ragazzo. Le indagini, coordinate dalla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Brescia, vanno avanti senza sosta. Anche oggi il personale del reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri di Parma ha effettuato accertamenti tecnico-scientifici nei luoghi dove si è consumato il femminicidio e ha raccolto tracce ematiche e altri reperti. Si sta ancora cercando il telefonino della vittima che sembra sparito nel nulla e da cui potrebbero uscire elementi decisivi circa il modo usato dal 17enne per contattare Maria su una chat di incontri a pagamento. Intanto, domani pomeriggio alle 15.30, all’ospedale Carlo Poma di Mantova, si svolgerà l’autopsia sul corpo della 42enne. L’incarico è stato affidato oggi e nelle prossime settimane si avranno i risultati sulle cause della morte e sulle modalità usate dal 17enne per uccidere Maria, colpita alla testa e poi strangolata, secondo i primi accertamenti, con ferocia e violenza. “Volevo vedere che effetto faceva…” aveva detto agli investigatori subito dopo il fermo. Un movente agghiacciante che, evidentemente, il magistrato nel faccia a faccia di oggi, ha ritenuto di tenere ancora in conto.

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Capolavoro di Picasso scoperto a Pompei: “Buste de Femme Dora Maar” confermato autentico

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Una storia incredibile che ha il sapore di una favola moderna: un quadro di Pablo Picasso, “Buste de Femme Dora Maar”, scoperto per caso in una villa di Capri da un rigattiere e appeso per oltre 50 anni nel salotto di una casa a Pompei, è stato ora ufficialmente riconosciuto come autentico.

La tela, che misura 53×39 cm e oggi ha un valore stimato di 6 milioni di euro, è stata al centro di una lunga e appassionata ricerca da parte della famiglia Lo Rosso, eredi del rigattiere che, ignaro del tesoro che aveva tra le mani, l’aveva portata a casa. Andrea Lo Rosso, uno dei figli del rigattiere, ha condiviso la gioia per la conferma ufficiale dell’autenticità dell’opera, attribuita a Picasso grazie a una perizia condotta da Cinzia Altiero, grafologa forense e dell’arte, nominata dal Tribunale di Milano.

Una scoperta casuale e una lunga battaglia per l’autenticità

La storia ha inizio quando Luigi Lo Rosso, padre di Andrea, trovò il quadro mentre lavorava come rigattiere a Capri. Per anni, il “Buste de Femme Dora Maar” è stato appeso alla parete del salotto di famiglia, senza che nessuno ne comprendesse appieno il valore. Solo dopo una lunga serie di ricerche e ostacoli incontrati lungo il cammino, la famiglia ha ottenuto l’attestazione che conferma l’autenticità dell’opera.

Andrea Lo Rosso ha raccontato di aver ricevuto numerosi consigli, tra cui quello di Vittorio Sgarbi, che lo spronò a non arrendersi. “In questo mondo ci si muove solo con i giusti contatti”, spiegava Sgarbi, suggerendo di chiedere sempre prove scritte qualora qualcuno avesse messo in dubbio l’autenticità dell’opera. La dedizione della famiglia alla ricerca della verità è stata finalmente premiata, con l’opera riconosciuta come un autentico Picasso.

Un pezzo della famiglia Lo Rosso: “Non lo vendiamo”

Nonostante il valore elevatissimo dell’opera, la famiglia Lo Rosso ha deciso di non venderla. “Questo quadro è un pezzo della nostra famiglia, non si vende”, ha affermato Andrea Lo Rosso, rispettando così la volontà del padre Luigi. La famiglia cerca solo una valutazione, ma ribadisce che l’opera non verrà messa sul mercato.

Il riconoscimento ufficiale del Tribunale di Milano

La grafologa forense Cinzia Altiero ha scritto che “la sottoscrizione dicente Picasso sul fronte del dipinto originale Buste de Femme ritratto di Dora Maar è autografa e riconducibile alla mano del maestro”, eliminando qualsiasi dubbio sulla sua autenticità. Adesso, la Fondazione Picasso dovrà rispondere ufficialmente alla perizia del Tribunale di Milano.

Un’opera contesa

La storia del “Buste de Femme Dora Maar” ha anche un lato oscuro. Secondo quanto dichiarato da Lo Rosso, vi sarebbero stati tentativi di impedire che l’opera entrasse nel catalogo ufficiale di Picasso, per proteggere il valore delle altre opere simili. Una battaglia che, finalmente, sembra aver trovato una conclusione positiva, a vantaggio della famiglia e del loro prezioso capolavoro.

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