Cultura
Musica, scultura, fotografia, pittura, gli artisti ci accompagneranno nella fase 2 chiudendo il sipario sulla quarantena.
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5 anni fadel
E’ il 4 Maggio, da oggi si allentano le misure di quarantena, anzi, finisce la quarantena, non sentiremo più’ parlare di zone rosse, certo ancora e giustamente delle limitazioni ci sono, ma pare che ci si debba avviare ad una normalità che speriamo non sia la stessa che ci ha portati a questa emergenza. Ci raccomandano, ma lo sappiamo bene, molta attenzione, non è un liberi tutti, almeno cosi non dovrebbe essere, il CoVid19 ancora circola e ancora può’ riaccompagnarci nel buio. Abbiamo attraversato questo tempo con un diario della quarantena scritto da tutti quelli che hanno voluto condividere con noi i loro pensieri più intimi e che voglio ringraziare ora, tutti, per la spontaneità’ , la forza e l’entusiasmo con il quale hanno accettato il mio invito. E’ stato un diario dei pensieri che ci ha accompagnato nei giorni pieni dell’emergenza. Oggi con Marisa Albanese, Francesco Cito, Umberto Manzo, Daniele Sepe e Raffaello Eroico, queste pagine e questa esperienza hanno termine. Nelle loro parole troverete le sensazioni dei giorni passati e la forza per riprenderci, ma forse è meglio dire prenderci, la nostra nuova vita. Ringrazio loro e tutti gli autori coinvolti, che troverete elencati a pie di pagina.
Francesco Cito
il mio pensiero é che questo parlare di essere in guerra sia solo dovuta al fatto che le nostre generazioni fortunate fino ad oggi non hanno mai vissuto veramente cosa significhi il dramma di una guerra vera. Quella vera, in cui si è costretti a fuggire, più che doversi rintanare in casa come accade oggi, essa è stata sempre vissuta solo attraverso le immagini di repertorio, o nelle finzioni cinematografiche. È vero che questa epidemia ormai a livello mondiale la si combatte contro un nemico, il quale al contrario della guerra vera, è invisibile, ma di cui gli unici ideali da difendere, sono prettamente dovuti agli aspetti economici, e al nostro come spendere il tempo libero. Questa contro il Coronavirus, o se vogliamo definirlo Covid 19, ci incute solo la paura del contagio, e di non poter vivere come si viveva prima, ma poi quando tutto sarà passato, perché come tutte le pandemie sarà debellata dalla scienza medica, non lascerà dietro di se città distrutte, fame e miserie. Non ci saranno profughi, ne campi dove poterli accogliere, verrà solo aperto l’uscio di casa e si potrà tornare al bar con gli amici, nei parchi a giocare, allo stadio a guardare la partita di calcio. Una guerra vera, non è quella di starsene comodamente in poltrona a guardare la trasmissione televisiva, anche se per la maggior parte, esse sono programmi in cui si parla solo di Covid 19. Ci si lamenta per una reclusione forzata, ma pur sempre comoda, e non mi sembra che fino ad oggi sia mancato il cibo, e mangiar quello che ci pare, come avviene quando si è assediati da un nemico in armi, e un tozzo di pane secco, è pari al caviale e lo champagne. Non si è costretti a fuggire senza saper dove, mentre intorno cadono i colpi di cannone, le bombe che spaccano i timpani, o il sibilo dei proiettili, anche loro invisibili, proprio come lo è il virus che si insinua nel nostro corpo, ma di cui possiamo difenderci con le dovute precauzioni. Se veramente non vogliamo affrontare questo nemico, il virus che tanto incute paura, questo nemico invisibile, basta non uscire di casa, e lasciare le nostre comodità, mentre coloro che veramente alla fine sono in trincea, sono i medici e tutto il personale paramedico negli ospedali, i quali contano le loro vittime, non perché è una guerra, ma per il dissennato progetto della politica che in passato ha pensato bene di smantellare il servizio sanitario, in nome del risparmio e incentivare le privatizzazioni, distruggendo quello che di meglio avevamo. Questo non ha nulla a che fare con la guerra, quella vera. Quello che però mi lascia più perplesso, è vedere i tanti palloni gonfiati, che invece di stare negli ospedali a dividere la sorte dei vari colleghi, impegnati in prima linea, e molti dei quali pagando con la vita il loro impegno, pontificano attraverso i programmi di regime, dei vari Bruno Vespa, Fabio Fazio e altri, le loro tesi da esperti, in contrasto fra loro, rendendo l’opinione pubblica, ancora più spaventata del dovuto. Se costoro avessero veramente la giusta conoscenza, di cosa rappresenti realmente questo virus, forse avremmo già superato tutte le fasi a cui siamo indotti e costretti.
Umberto Manzo
Come sempre accade, di fronte alle grandi catastrofi naturali, ci sentiamo impotenti, ci rendiamo conto della nostra piccolezza rispetto alla grandezza e alla forza della natura. Oggi invece, sembra paradossale ma quello che ci spaventa e che sta mietendo centinaia di migliaia di morti in tutto il mondo è qualcosa di infinitamente piccolo e silenzioso, talmente piccolo che lo chiamiamo il nemico invisibile. Mi capita spesso in questo periodo, di ripensare a quella tragica sera del 23 novembre del 1980, quando la terra cominciò a tremare con tanta forza, la gente terrorizzata scappava dalle proprie abitazioni, per strada si sentivano grida, si avvertiva forte la tragedia che era in atto. Imparammo, in quella triste occasione, che si poteva rispondere ad un tragico evento con qualcosa di bello e di creativo. Molti artisti di fama internazionale, su invito del gallerista napoletano Lucio Amelio, realizzarono opere per quella che sarebbe diventata una delle più̀ importanti collezioni al mondo, rispondendo alla catastrofe del terremoto, con opere di notevole forza espressiva, si avvertiva in esse tutto l’impeto che c’era stato nel realizzarle, come se gli artisti avessero trasformato l’energia distruttiva del terremoto in energia creativa. Oggi invece lo scenario è diverso, la tragedia si consuma in silenzio, non ci sono boati, la terra non trema, dappertutto regna un grande silenzio, le grandi metropoli sono deserte, l’atmosfera è surreale, e noi tutti costretti all’isolamento per una maggiore sicurezza, aumentando così le distanzi sociali ed il senso di solitudine, mai come adesso gli artisti sentono il bisogno, di concentrarsi in una ricerca più intimista. In questo clima di calma apparente, in questo tempo sospeso che stiamo vivendo, c’è la necessità di una ricerca interiore condotta in silenziosa meditazione in compagnia della nostra cara solitudine per poter inventare opere nuove che somigliano a parole sussurrate e mai gridate.
Incontrando la Bianchezza
Marisa Albanese
In questi giorni di confinamento, non so più quanti ne sono passati e quanti ancora ce ne saranno, ho capito che la quarantena è il mio stile di vita. Ma con la differenza che amo restare confinata nel mio studio, è lì che amo stare. Tante le lotte fatte dalle donne della mia generazione, tante quelle che ancora combattiamo e altre ancora ne verranno, sempre nel nome della nostra autonomia, libertà e parità. Mi viene da urlare quando finiscono i materiali per lavorare e non posso procurarmeli, mi sento cupa quando resto nella mia affollata solitudine e il mio sorriso abituato ad essere solare, svanisce, lasciando il posto a una buia aggressività che non mi appartiene. Preferisco una lotta silenziosa ed efficace, senza alcun urlo narcisista; siamo circondati da urla vuote, che non servono mai a nessuno se non, forse, a chi le emette per provare a mettere in luce se stesso, farsi lodare e ammirare, per dare prova del proprio esistere. E, quindi “iorestoacasa”, immersa nel silenzio operativo del mio lavoro. L’unica “arma” che al momento possediamo per combattere il nostro nemico Covid19 sembra essere il distanziamento sociale. Corona, Covid, Sars2… ho voluto dargli una forma e dei colori, isolati nel bianco, senza ossa dure, ma sottile e trasparente a questo virus. Un esserino che, come direbbe una vera napoletana come me, si chiama infame! Un infame che mi costringe nella ristrettezza dello spazio di casa, privata della tanto sudata libertà. Nella prima fase di questa strana crisi, come molti, ho iniziato a giocare riprendendo le ricette della nonna, pizze, dolci e altri manicaretti, un “passatempo” che all’inizio dell’isolamento tutti hanno tentato di fare, cercando di ritrovare quei gesti delle mani nostre mamme e nonne, che avevano visto i nostri sguardi bambini. E tutti a dire che meraviglia! stiamo recuperando vecchi valori! E, il nostro pianeta dopo tanti giorni di fermo è migliorato, finalmente respira, l’aria è più pulita, gli animali si mostrano e provano a riconquistare gli spazi perduti. Quando tutto sarà finito si ricomincerà cercando di cambiare le cose e rispettare l’ambiente. È falso! È un sogno che tutti lasceranno sul cuscino dimenticandolo velocemente. Resteremo tutti come prima, e si ricomincerà a vivere come e peggio di prima per recuperare “denaro”! Ora, nella seconda fase della mia quarantena, disegno e cerco di leggere libri che ancora non ho letto e rileggere quelli particolarmente significativi per me letti negli anni passati. Il mio vecchio progetto di rileggere Moby Dick, sembra stia prendendo forma, un viaggio per rintracciare in questa rilettura l’origine della scelta dell’uso del bianco nel mio lavoro. Il romanzo Moby Dick di Herman Melville, (1850), è un classico della letteratura americana, tradotto per la prima volta in italiano da Cesare Pavese. La lotta contro il Leviatano, Mostro degli abissi. Quel che mi interessa verificare, e che spero di ritrovare, è quello stupore che mi fece vedere il bianco e oltre il bianco. Il capitolo 42 è dedicato alla “bianchezza”, che è portatrice sia di caratteri sublimi sia di quelli orribili, risvegliando immagini di bellezza e di terrore. Qui ritrovo l’origine del mio bianco. Potrei aver, negli anni, stravolto il messaggio di Melville, creduto di ricordare che anche per lui il bianco è sempre e solo paradisiaco per chi osserva la superficie e orrorifico per chi ne percorre la profondità. Ho portato per molto tempo, dentro di me, il desiderio di trovare del tempo per poter riflettere ancora su questi stimoli che Moby Dick mi ha lasciato, ed eccomi finalmente pronta a ripercorrere il mio viaggio nella “bianchezza”. Leggiamo: “Ci sono casi in cui la bianchezza perde completamente quella strana aggiunta di sublimità che l’informa nel cavallo bianco e nell’albatro. […] Come spiegarlo? […] È questa qualità inafferrabile che rende l’idea della bianchezza […] capace di accrescere quel terrore fino all’estremo. Ne sono prova l’orso bianco polare e lo squalo bianco dei tropici: cos’altro se non la loro bianchezza soffice e fioccosa li rende quegli orrori ultraterreni che sono? […] Forse, con la sua indefinitezza, la bianchezza adombra i vuoti e le immensità crudeli dell’universo, e così ci pugnala alle spalle col pensiero dell’annientamento mentre contempliamo gli abissi bianchi della via lattea? Oppure la ragione è che nella sua essenza la bianchezza non è tanto un colore, quanto l’assenza visibile di ogni colore e nello stesso tempo l’amalgama di tutti i colori, ed è per questo motivo che c’è una vacuità muta, piena di significato, in un gran paesaggio di nevi, un omnicolore incolore di ateismo che ci ripugna? […] E, andando ancora oltre, ricordiamo che il cosmetico misterioso che produce tutte le tinte del mondo, il gran principio della luce, rimane sempre in se stesso bianco e incolore, e se operasse sulla materia senza mediazione, darebbe a ogni oggetto, anche ai tulipani e alle rose, la sua tinta vuota. […] E di tutte queste cose, la balena albina era il simbolo.” Ho bisogno di tempo, del mio tempo libero e di ritirarmi nella mia personale pratica quotidiana di isolamento e attraversare ancora questa meraviglia che è la mia quotidiana scelta di quarantena.
Daniele Sepe
Da domani mi chiudo in casa e studio per davvero quest’infame strumento. L’avrò detto migliaia di volte dopo un concerto in cui non ne ingranavo una buona. Poi arriva all’improvviso una catastrofe come questa e vedi le bacheche dei tuoi amici rifiorire di un “adesso studio, sentite qua, sto leggendo questo, ho scritto sei fughe e una sinfonia” e io niente. Apatia totale. Divano, computer, divano, cucina. E tanta evasione clandestina. Con annessa multa. Perché? Per me la musica, ho scoperto, è rapporto sociale, vicinanza virale, col pubblico, ma soprattutto con gli altri musicisti. Non è ginnastica. Anzi no, per essere più precisi, visto che sono uno che alterna grande socialità a lunghe giornate solitarie in barca, non è neanche quello, neanche la questione dei tuoi simili, è proprio la mancanza di un rapporto libero con la natura. Il mare la montagna e anche la strada. Non ho mai sentito di una canzone composta in una navicella spaziale. E non penso perché nessun astronauta non avesse il pallino del poeta dilettante. Niente di buono viene dall’isolamento a meno che non è una libera e ponderata scelta individuale. E qua di libero non c’è stato proprio nulla. Nel balletto di cifre e nella nebbia, lombarda, tra informazione e disinformazione di 60 giorni da incubo, sentirsi una specie di conte di Montecristo quando uscivi in una città completamente deserta, affascinante come ogni film horror che si rispetti. E che vuoi crescere? Non siamo tutti Gramsci. Studiare il sassofono? Comporre? E si, ma perché se ti dicono che potrai suonare in pubblico forse nel 2021? Eppure al supermercato, quasi distanziate, le persone ci stanno assieme, al bancone del salumiere 2 persone alla volta ci entrano. Embè per quale strana ragione in una piazza Dante non si possono mettere un centinaio e più di sedie distanziate un metro e più, persone che accompagnano il pubblico a sedere, e programmare una estate e un autunno di concerti? Non mi pare impossibile. Il concerto in streaming da casa? E tutti gli amici tecnici che ho che fanno? No non è per me. La musica è condivisione, o come diceva Gaber partecipazione. Ma nella irrazionalità completa dei timonieri di palazzo Chigi, con 450 esperti ben pagati, sembra che a nessuno sia balenata in mente questa idea, a cominciare dal ministro della cultura. Che posso dire? Il pesce fete dalla capa. Chioso con uno scrittore che amo, e che non ho riletto in quarantena, me lo conservo per il mare: “Torno a casa. Me la sono proprio spassata. State a sentire: siamo sulla terra per cazzeggiare. Non credete a quelli che vi dicono che non è così.” Anzi no, questa è più calzante:
“I fascisti sono persone inferiori che ci credono quando qualcuno dice loro che sono superiori.”
Raffaello Eroico
Colonna sonora : “No One Knows” (Queens of the Stone Age)
Citazione colta : “era tanta nella città la moltitudine di quegli che di dì e di notte morieno, che uno stupore era a udir dire, non che a riguardarlo” (Boccaccio)
E adesso?
Stupore. Rara sensazione quella di ritrovarsi in una comunità mondiale stravolta da un seicentesimo di capello, a prescindere se pipistrello o grande fratello. Non una guerra (ho memoria della guerra fredda e della bomba atomica prevista a giorni), non il terrore di bombardamenti esotici visti solo in tv, non un terremoto (che pure spazzò via la mia infantile certezza della tana sicura), non un’eruzione (con la cui catastrofica minaccia ho convissuto filosoficamente nei miei anni vesuviani), bensì, pusillanimemente, “tutti a casa”, tutti nell’adorata zona di conforto (i più fortunati). Una guerra in pigiama, per civismo obbligatorio (almeno pare). Fine. Stop. Basta. Fermi tutti. Ci sta. Volenti o nolenti sapevamo che così non poteva continuare, epperò fin che la barca va… Ecco, adesso non va più. Ma anche stupore di sentire e vedere nell’aria, sotto i piedi, il vigore naturale riprendere il suo spazio, e riscoprire quanto sia il più bel patrimonio, la più meravigliosa delle opere d’arte, avvolgente e multisensoriale. Cosa che il vivente non-umano ha conservato nei bagordi di delfini riemersi, nella divertita curiosità di caprioli tra Barberino del Mugello e Roncobilaccio sulla A1, nell’integra originaria maestosità di lupi in piazze, che fanno delle cattedrali sullo sfondo caduchi templi di antiche civiltà, che non si sa nemmeno se ci riguardino ancora, o come. Una festa di primordialità. Una festa di essenzialità. Ho spesso creduto di poter sopravvivere a una eventuale prigionia: mi bastano poche umili cose per sentirmi libero: il vino, la musica, il tabacco e possibilmente Venere. Ma soprattutto quei pochi attrezzi e sostanze semplici che mi occorrono per lavorare. Pennelli, colori, mica maxischermi e prosecco. Tele, fogli, matite, mica gru con squadre di operatori a favore di telecamera. Ho l’essenziale e lo festeggio. C’è forse da inventarsi un immaginario e dovrà essere biologico, diversamente intelligente, emotivo. Je suis un animal qui pegne. Come interagiranno con esso i fantasmi, spiriti e pregiate menti, più o meno stravolte dal crollo di dogmi improvvisamente desueti? Meglio testimoniare questo tempo senza cedere alla banale citazione dei suoi simboli iconografici (mascherine, strade vuote), oppure bellamente infischiarsene e riprendere a vagabondare anarchicamente tra segno e cromia? Intanto duole la restrizione primaverile che mi priva dei non meno essenziali placidi peripli in bicicletta, tra zirli di rondini nelle strade antiche della mia città, e mi manca lo scivolare poi nel suo umano teatro, quello che trovavo nei bar, e che temo distanziato per un tempo troppo lungo per potermi ancora riguardare poi.
Antonio Maiorino Marrazzo, Maria Savarese, Valentina Rippa, Ludovica Caniparoli, Stefania Milano, Valeria Pitterà, Nicola Fittipaldi, Veronica Rossi, Donatella Spaziani, Dino Izzo, Antonella Raio, Eugenio Giliberti, Pier Paolo Patti, Giovanni Frangi, Viola Amarelli, Eugenio Lucrezi, Fernando Tricarico, Laura Angiulli, Marcella Granito, Antonello Cossia, Raffaele Di Florio, Lucia Scalise, Donatella Pandolfi, Enzo Rando, Floriana Tursi, Stefania Tarantino, Gianni Fiorito, Lisa Sicignano, Giovanbattista Alfano, Lisa Sallusto, Rosalba Catronuovo, Lino Fiorito, Alfredo Cozza, Emanuela Martolò, Paola Areni, Francesco Basile, Cristina Benadduce, Roberta Basile, Anna Patierno, Patrizia Iorio, Melina De Luca, Amelia patierno, Tina Esposito, Ida Pollice, Flora Faliti, Tatiana Travaglini, Maria Chianese, Mario Colella, Orfeo Soldati, un grazie speciale e un forte augurio ad Annalisa e Paola che sono ritornate a casa e poi un ringraziamento speciale ai giovanissimi Francesca, Antonia, Simona, Flavia, MariaSole, Alberto, che sono stati insieme ai loro coetanei l’altra schiera di eroi oltre ai medici e tutti gli operatori sanitari che in prima linea hanno salvato tutti noi.
Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse, Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES. Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli. Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli. Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International. Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.
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Cultura
Un tycoon delle cripto acquista all’asta e fa sapere che mangerà la banana di Cattelan
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6 ore fadel
21 Novembre 2024Un tycoon delle criptovalute sta per mangiare la banana appiccicata alla parete di Maurizio Cattelan. Pagando 6,2 milioni di dollari da Sotheby’s, il collezionista Justin Sun, fondatore della piattaforma Tron, ha battuto altri sei concorrenti per una di tre edizioni dell’opera concettuale Comedian creata nel 2019 dall’artista padovano celebre in tutto il mondo per le sue provocazioni. Sun, che nella sua raccolta ha un Giacometti da 78 milioni comprato nel 2021, ha seguito l’asta da Hong Kong e pagato in criptovalute. Dopo aver messo le mani su Comedian ha fatto sapere che “nei prossimi giorni mangerà la banana come parte di questa unica esperienza artistica, onorandone il ruolo sia nella storia dell’arte che nella cultura pop”.
La banana in questione era stata acquistata poche ore prima dell’asta per 35 centesimi da un banchetto di frutta e verdura dell’Upper East Side: assieme al nastro adesivo grigio che l’attacca alla parete, deve essere sostituita regolarmente e questo fa parte del progetto di Cattelan che aveva inteso Comedian come una satira delle speculazioni del mercato: “Su che base un oggetto acquista valore nel sistema dell’arte?”, si era chiesto l’artista famoso per America, il water d’oro massiccio installato nel 2016 al Guggenheim. Piu’ di recente lo stesso Cattelan aveva aggiunto che “l’asta sara’ l’apice della carriera di Comedian. Sono ansioso di vedere quali saranno le risposte”.
Comedian aveva debuttato ad Art Basel Miami dove la galleria Perrotin ne aveva venduto le tre edizioni, due per 120 mila dollari e la terza per 150 mila, pagati da un anonimo acquirente che l’aveva poi donata al Guggenheim. Durante la fiera, l’artista delle performance David Datuna ne aveva mangiata una, costringendo Perrotin a chiudere lo stand prima del tempo. Un’altra banana era stata mangiata l’anno scorso da uno studente d’arte sudcoreano nel museo della fondazione Samsung a Seul: il giovane si era giustificato dicendo che “aveva fame”. Uno dei concetti alla base dell’installazione e’ che le sue parti devono essere continuamente rigenerate.
“Non è solo un’opera d’arte,” ha dichiarato Sun a Sotheby’s: “Comedian è un fenomeno culturale che collega i mondi dell’arte, dei meme e della comunità delle criptovalute e che ispirerà ulteriori discussioni in futuro”. Fatto sta che gia’ prima di essere messa all’asta, la banana è stata oggetto di attenzione quando, all’inizio di novembre, l’executive di Sotheby’s Michael Bouhanna ha lanciato anonimamente una criptovaluta ispirata a Cattelan e denominata $Ban.
Immediatamente accusato di aver usato informazioni riservate per guadagnare sull’aumento del prezzo del token, l’executive ha negato, dichiarando di aver “scelto di lanciarlo per hobby in modo anonimo”, senza associazioni quindi con il suo profilo personale. Due rivali di Sun all’asta di Sotheby’s avevano investito nella cripto di Bouhanna. Uno dei due, Theodore Bi, voleva comprare Comedian come dono per Elon Musk ma si era fermato alla soglia dei 2,5 milioni di dollari.
Cultura
Pompei, riapre la Casa della Fontana Piccola: un gioiello dell’architettura pompeiana
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3 giorni fadel
19 Novembre 2024Dopo sei anni di chiusura, la Casa della Fontana Piccola di Pompei riapre al pubblico, rivelando nuovamente tutta la sua bellezza. Questo straordinario esempio di architettura pompeiana torna a incantare i visitatori con i suoi affreschi, i colori vividi e una fontana unica, simbolo dell’arte e della cultura dell’antica città.
Un esempio di eleganza pompeiana
La Casa della Fontana Piccola è un autentico capolavoro. I suoi affreschi murari, con il celebre rosso pompeiano, e le decorazioni ricche di dettagli, raccontano la vita e i costumi dell’epoca. Ma ciò che rende davvero speciale questa dimora è la fontana visibile già dall’ingresso. Si tratta di un’opera d’arte decorata con tessere di pasta vitrea e valve di mollusco, con un sistema che faceva sgorgare acqua dalla bocca di una maschera tragica in marmo e dal becco di un’oca tenuta da un amorino in bronzo.
Storia e particolarità della domus
Costruita unendo due abitazioni precedenti, la casa aveva due ingressi su via di Mercurio, simbolo dello stato sociale elevato dei proprietari. Danneggiata dal terremoto del 62 d.C., fu quasi completamente affrescata in IV stile pompeiano, pochi anni prima dell’eruzione del Vesuvio. Le pareti laterali del peristilio presentano paesaggi mozzafiato, tra cui una veduta di città marittima, un tema molto in voga nella decorazione di giardini.
Esplorata tra il 1826 e il 1827 dall’architetto Antonio Bonucci, direttore degli scavi, la casa sarebbe appartenuta a Helvius Vestalis, un pomarius (mercante di frutta), secondo un’iscrizione elettorale trovata sulla facciata.
I restauri e gli interventi strutturali
La casa è stata oggetto di importanti lavori di restauro per preservarne la struttura e garantirne la sicurezza. Tra gli interventi principali:
- Rinforzo strutturale delle travi in calcestruzzo dell’atrio principale, utilizzando materiali innovativi come il fibrorinforzo (FRP).
- Impermeabilizzazione dei solai per prevenire infiltrazioni.
- Revisione delle coperture, inclusa quella del peristilio, per proteggere la casa dagli agenti atmosferici.
Le coperture, già restaurate nel 1971, sono state riportate all’altezza originaria per restituire l’antica volumetria della dimora.
L’iniziativa “Raccontare i cantieri”
Con la riapertura della Casa della Fontana Piccola, prende il via una nuova stagione di “Raccontare i cantieri”, giunta alla sua quarta edizione. Ogni giovedì, fino al 17 aprile 2025, i possessori della MyPompeii Card potranno visitare i cantieri di restauro in corso nel Parco Archeologico, iniziando proprio dalla Casa della Fontana Piccola.
Conclusione
La riapertura della Casa della Fontana Piccola rappresenta non solo un recupero storico di grande valore, ma anche un’occasione per riflettere sulla continua necessità di valorizzare e preservare il nostro patrimonio culturale. Un appuntamento imperdibile per tutti gli amanti della storia e dell’archeologia.
Cultura
Marino Niola premiato dal Gruppo del Gusto della Stampa Estera come divulgatore dell’autenticità agroalimentare italiana
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3 giorni fadel
18 Novembre 2024Il Gruppo del Gusto della Stampa Estera ha scelto L’Aquila per celebrare il 20° Premio dedicato all’eccellenza agroalimentare italiana, un traguardo prestigioso che quest’anno rende omaggio a Marino Niola, antropologo e divulgatore scientifico, nella categoria “Divulgatore dell’autenticità agroalimentare italiana”.
Il contributo di Marino Niola all’antropologia della gastronomia
Marino Niola (nella foto Imagoconomica in evidenza) , nato a Napoli nel 1953, è un antropologo della contemporaneità, noto per i suoi studi sulle pratiche devozionali, le trasformazioni culturali legate alla globalizzazione e, soprattutto, per il suo contributo alla comprensione dei riti e simboli della gastronomia contemporanea.
Docente all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Niola insegna discipline come Antropologia dei Simboli, Antropologia delle arti e della performance e Miti e riti della gastronomia contemporanea. È inoltre editorialista de La Repubblica, dove cura la rubrica “Miti d’oggi” sul Venerdì, e collabora con testate nazionali e internazionali come Il Mattino e Le Nouvel Observateur.
Tra i suoi numerosi saggi, si ricordano titoli come:
- Si fa presto a dire cotto. Un antropologo in cucina (2009)
- Homo dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari (2015)
- Andare per i luoghi della dieta mediterranea (2017)
- Mangiare come Dio comanda (2023).
Queste opere riflettono il suo impegno nel valorizzare la cultura alimentare italiana, esplorando le radici antropologiche e culturali che legano il cibo alle identità locali e nazionali.
Il Premio del Gruppo del Gusto
Il Premio del Gruppo del Gusto, giunto alla sua 20ª edizione, si propone di valorizzare e promuovere l’agroalimentare italiano a livello internazionale, grazie alla partecipazione di giornalisti esteri provenienti da 34 Paesi e 5 continenti. Marino Niola è stato selezionato per la sua capacità di divulgare l’autenticità e la tradizione agroalimentare italiana, combinando rigore scientifico e passione narrativa.
La cerimonia a L’Aquila
La premiazione si terrà sabato 23 novembre, alle ore 18, nella Sala ipogea del Consiglio Regionale d’Abruzzo, a L’Aquila. Durante l’evento, verranno premiate altre eccellenze del settore, tra cui:
- Pasquale Imperato, azienda agricola “Sapori Vesuviani” (categoria “Produzione”);
- Tenuta Vannulo (categoria “Esercizio legato all’alimentare da almeno 100 anni della stessa famiglia”);
- Cooperativa Altopiano di Navelli (categoria “Consorzio/cooperative a difesa dei valori agroalimentari italiani”);
- Associazione PIZZAUT (Premio speciale della giuria per l’inclusione lavorativa di giovani autistici).
L’importanza del riconoscimento
Il premio a Marino Niola sottolinea l’importanza di valorizzare le eccellenze italiane, non solo nella produzione agroalimentare, ma anche nella capacità di raccontare il legame profondo tra cibo, cultura e identità. L’impegno di Niola nel promuovere la dieta mediterranea e nel raccontare le tradizioni culinarie italiane lo rende una figura chiave nella diffusione internazionale del patrimonio enogastronomico italiano.
Grazie al suo lavoro, il professor Niola contribuisce a consolidare l’immagine dell’Italia come culla di tradizioni culinarie uniche e radicate nella storia. Questo premio rappresenta un ulteriore riconoscimento del suo ruolo cruciale come ponte tra antropologia, cultura e divulgazione enogastronomica.
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