Collegati con noi

Esteri

Mosca, la ‘linea rossa’ con Washington non è più in uso

Pubblicato

del

La linea rossa Washington-Mosca di telecomunicazione diretta tra le due potenze non è al momento in uso, ha detto all’agenzia di stampa Tass il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov. Alla domanda se questo ‘telefono’ creato sulla scia della crisi missilistica cubana del 1962 rimanesse attivo fino ad oggi, Peskov ha risposto: “No, ora abbiamo uno speciale canale di comunicazione protetto per i due presidenti” americano e russo, con “anche un formato videoconferenza”. Il funzionario del Cremlino ha specificato che ultimamente non ci sono stati contatti tramite questa nuova linea di comunicazione tra Stati Uniti e Russia.

Advertisement

Esteri

Zelensky, se gli Usa tagliano gli aiuti l’Ucraina perderà

Pubblicato

del

L’Ucraina “perderà” la sua guerra contro la Russia se gli Stati Uniti taglieranno i finanziamenti militari a Kiev, ha detto Volodymyr Zelensky a Fox News. “Se loro tagliano, penso che noi perderemo”, ha affermato il presidente ucraino in un’intervista alla rete tv americana.

“Combatteremo. Abbiamo la nostra produzione, ma non è sufficiente per prevalere. E penso che non sia sufficiente per sopravvivere”, ha continuato Zelensky. Il presidente Usa eletto Donald Trump è uno scettico dichiarato dei miliardi che l’amministrazione di Joe Biden ha dato all’Ucraina dall’inizio dell’invasione russa nel 2022. Il tycoon ha ripetutamente promesso di porre fine rapidamente alla guerra, ma non ha fornito dettagli su come lo farebbe. “L’unità” tra Ucraina e Stati Uniti è “la cosa più importante”, ha aggiunto Zelensky alla Fox.

Trump potrebbe influenzare Vladimir Putin a porre fine alla guerra “perché è molto più forte” del presidente russo, ha assicurato il leader ucraino. Lo zar “può essere disposto a porre fine a questa guerra, ma dipende ancor di più dagli Stati Uniti d’America: Putin è più debole” degli Usa, ha detto Zelensky.

Continua a leggere

Esteri

Arrestati agenti al G20, volevano avvelenare Lula

Pubblicato

del

La polizia federale brasiliana ha arrestato un generale dell’esercito, tre militari e un agente federale, accusati di aver preparato un piano, tra il novembre e il dicembre del 2022, per uccidere avvelenandoli il presidente Luiz Inacio Lula da Silva e il suo vice Geraldo Alckmin, prima del loro insediamento, avvenuto nel gennaio del 2023. Due di questi sono stati catturati a Rio de Janeiro, dove secondo gli inquirenti avrebbero addirittura fatto parte del servizio di sicurezza del G20. Notizia però smentita dall’esercito. Il generale arrestato è Mário Fernandes, ex segretario esecutivo della presidenza della Repubblica del governo dell’ultraconservatore Jair Bolsonaro.

Gli altri militari appartenevano al corpo dei cosiddetti ‘kids pretos’, le forze speciali, che contano solo 2500 membri, addestrate per fare attività di guerriglia e antiterrorismo. Il gruppo – secondo le indagini – avrebbe anche pianificato di uccidere il giudice della Corte suprema brasiliana, Alexandre de Moraes, il magistrato che più di ogni altro ha messo sulla graticola Bolsonaro e i suoi sostenitori. Un documento sequestrato durante l’operazione e intitolato “pugnale verde-giallo” rivela che per gli attentati, che sarebbero dovuti avvenire durante un evento pubblico, si sarebbero dovute usare armi, bombe e veleno. Inoltre, secondo il piano, con la morte di Lula e degli altri due obiettivi, i militari avrebbero creato un gabinetto di crisi guidato dai generali Augusto Heleno, allora a capo del gabinetto di sicurezza Istituzionale e Walter Braga Netto, ex ministro della Difesa. Secondo le ricostruzioni, il piano dell’attentato sarebbe stato anche fotocopiato dal generale Fernandes all’interno di un ufficio del palazzo presidenziale di Planalto, ma Bolsonaro – almeno per il momento – non è coinvolto.

Continua a leggere

Esteri

Gli Usa riconoscono Gonzalez presidente. Ira del Venezuela

Pubblicato

del

Gli Stati Uniti riconoscono Edmundo Gonzalez Urrutia presidente eletto del Venezuela. “Il popolo ha parlato il 28 luglio. La democrazia richiede il rispetto della volontà degli elettori”, ha detto il segretario di Stato Antony Blinken su X, poco dopo aver informato i partner del G20 della svolta americana. L’ira del Venezuela non si è fatta attendere, con il ministro degli Esteri di Caracas, Yvan Gil, che ha bollato il riconoscimento come “ridicolo”. La decisione degli Stati Uniti punta ad aumentare la pressione su Nicolas Maduro, che si è dichiarato vincitore delle elezioni senza fornire alcuna prova, mentre Gonzalez si è rifugiato in Spagna. Gil ha esortato gli Stati Uniti a “riflettere sui fallimenti passati” in riferimento al riconoscimento da parte di Washington, nel 2019, del presidente dell’Assemblea, Juan Guaidó, come presidente ‘ad interim’. Replicando a Washington il ministro di Maduro è tornato a definire infatti Edmundo Gonzalez come “un Guaidó 2.0 appoggiato da fascisti e terroristi sottomessi alla decadente politica Usa”.

Maduro giurerà il prossimo 10 gennaio e starà all’amministrazione Trump decidere come comportarsi in quel momento. Il presidente eletto degli Stati Uniti ha nominato segretario di stato Marco Rubio, che è molto critico nei confronti del Venezuela e del regime di Maduro: toccherà a lui dettare la linea e decidere se cercare o meno di avviare un dialogo con il Paese sudamericano. Gonzalez, 75 anni, è volato in Spagna lo scorso settembre insieme della moglie, Mercedes, e ha ottenuto l’asilo, promettendo tuttavia di giurare anche lui il prossimo gennaio. In Venezuela pendeva un mandato di arresto per diversi reati, tra cui “incitamento alla disobbedienza” e “cospirazione”. Sempre a settembre il parlamento europeo lo ha riconosciuto come presidente legittimo e gli ha poi conferito il Premio Sacharov, insieme alla leader dell’opposizione anti-Maduro Maria Corina Machado.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto