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Mosca brucia 10 milioni di dollari di gas al giorno mentre l’Europa arranca per i costi record

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Dieci milioni di dollari di gas in fumo ogni giorno. Mentre l’Europa arranca per i costi record dell’energia, la Russia brucia quotidianamente circa 4,34 milioni di metri cubi di Gnl nel suo impianto di Portovaya, vicino al confine con la Finlandia. Il dato, emerso da un’analisi della societa’ norvegese Rystad Energy e condivisa dalla Bbc assieme ad un’immagine del satellite Copernicus in cui si evidenzia la radiazione infrarossa dalla combustione, conferma le immagini della Nasa gia’ circolate all’inizio di agosto, dopo che Gazprom aveva ridotto al 20% la portata totale dei flussi verso la Germania attraverso il Nord Stream 1. La conferma del ricatto di Mosca, secondo vari analisti. Ovvero la risposta del Cremlino alle sanzioni europee per l’invasione dell’Ucraina, con Vladimir Putin che brucia il gas godendosi lo spettacolo dei leader Ue in affanno a causa del costo dell’energia schizzato alle stelle. Una guerra ibrida che costringe i leader dei 27 ad una nuova riunione d’urgenza per varare misure contro i rincari delle bollette e allontanare l’abisso della recessione. Ma c’e’ anche chi guarda al bicchiere mezzo pieno, come Miguel Berger, l’ambasciatore tedesco nel Regno Unito, che interpreta il fenomeno come un effetto della riduzione della dipendenza europea dal gas del Cremlino, suggerendo che Mosca “non ha altri posti dove poter vendere il gas, e percio’ lo brucia”. Il combustibile in fiamme era probabilmente destinato all’export verso la Germania, non a caso Portovaya si trova vicino a una stazione di compressione che alimenta il Nord Stream 1. A giugno Gazprom aveva gia’ ridotto al 40% la portata del gasdotto sottomarino prima di alcuni giorni di chiusura e poi una ripresa del 20% della sua capacita’, ufficialmente per manutenzione e poi per problemi tecnici. E gia’ da giugno, dopo un primo allarme di Helsinki, i team di ricerca avevano osservato un aumento significativo del calore emanato dallo stabilimento, che sorge a nord-ovest di San Pietroburgo . Sebbene la combustione di gas negli impianti di trattamento venga eseguita di solito per motivi tecnici o di sicurezza, in questo caso gli esperti hanno notato qualcosa di anomalo. “Non ho mai visto un impianto di GNL bruciare cosi’ a lungo. A partire da giugno abbiamo osservato questo enorme picco, che non e’ mai scomparso”, ha affermato Jessica McCarty, dell’Universita’ di Miami, specializzata in analisi di dati satellitari. Per Mark Davis, amministratore delegato della societa’ attiva nel settore del gas, Capterio, quanto sta avvenendo non puo’ essere casuale. “Gli operatori sono generalmente riluttanti a chiudere un impianto – ha spiegato – perche’ il riavvio puo’ essere costoso o tecnicamente complicato”, e per questo bruciano il gas che non riescono a gestire piuttosto che fermare le attivita’. Ma ad essere preoccupati per le circa 9.000 tonnellate di Co2 rilasciate quotidianamente dalla combustione sono anche gli scienziati. Le conseguenze sui cambiamenti climatici potrebbero essere gravi, specialmente in questa regione prossima all’Artico, dove le particelle nere di fuliggine si depositano sul ghiaccio e sulla neve, accelerandone lo scioglimento. Putin insomma starebbe giocando non solo con i termosifoni degli odiati europei ma con qualcosa di molto piu’ pericoloso.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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