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Esteri

Mosca avanza nel Donetsk, l’Ucraina perde un F-16

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Le forze di Mosca continuano l’avanzata nell’est dell’Ucraina, rivendicando la conquista di altri due villaggi, mentre gli stessi ucraini hanno ammesso che buona parte della strategica cittadina di Chasiv Yar è ormai sotto il controllo dei russi. La stessa Kiev ha fatto sapere di aver perso uno dei sei caccia F-16 forniti da Paesi occidentali in quello che ha definito “un incidente”. E’ stato un funzionario statunitense ad anticipare al Wall Street Journal che il jet di fabbricazione americana è precipitato lunedì durante i massicci raid russi su una quindicina di regioni ucraine.

Secondo la stessa fonte, le indagini preliminari indicano che non è stato abbattuto dal fuoco nemico e l’incidente potrebbe essere stato causato dall’errore del pilota. Quello stesso giorno fonti non ufficiali citate da agenzie di Mosca avevano detto che i bombardamenti avevano preso di mira anche un aeroporto nella regione occidentale ucraina di Ivano-Frankivsk, dove in un hangar si trovavano due degli F-16 forniti a Kiev. In serata è arrivata la conferma dello stato maggiore ucraino sul fatto che il jet si è schiantato mentre respingeva l’attacco russo: secondo le autorità ucraine, durante la battaglia aerea gli F-16 “hanno dimostrato la loro elevata efficienza e quattro missili da crociera nemici sono stati abbattuti”. Tuttavia, durante l’avvicinamento al bersaglio successivo, la comunicazione con uno degli aerei si è interrotta. Più tardi si è scoperto che l’aereo si era schiantato e il pilota era morto. Il ministero della Difesa di Mosca ha riferito intanto che nelle ultime ore sono cadute nelle mani delle truppe russe i villaggi di Nikolaevka, nella regione di Donetsk, e di Stelmakhovka, nel Lugansk.

Ma la notizia più allarmante per Kiev è stata diffusa dagli stessi ucraini. Andriy Polukhin, portavoce della 24a Brigata meccanizzata, citato da Rbc-Ucraina, ha infatti detto che ormai le forze di Mosca controllano il 40 per cento di Chasiv Yar, una cittadina situata nello stesso Donetsk che prima della guerra contava oltre 12.000 abitanti e che oggi è in gran parte in rovina e spopolata. Se riusciranno ad occuparla completamente, i russi otterranno anche il controllo di alture strategiche in direzione di Kostiantynivka, situata una quindicina di chilometri a sud-ovest su un’arteria che porta a nord verso le città di Kramatorsk e Sloviansk, gli obiettivi più ambiti dai russi.

L’avanzata russa verso nord prosegue anche una settantina di chilometri più a ovest, in direzione della città di Pokrovsk, da dove stanno fuggendo molti civili e fin dal 19 agosto le autorità hanno ordinato l’evacuazione delle famiglie con bambini. Il presidente Volodymyr Zelensky ha riconosciuto ieri che qui la situazione è “estremamente difficile” per le truppe ucraine, perché in quest’area sono concentrate “la maggior parte” delle forze russe. Anche se, ha aggiunto, “tutta la tensione trasferita in Russia” con l’offensiva di Kiev nella regione di Kursk ha impedito a Mosca di esercitare “una maggiore pressione”, obbligandola a spostare parte delle truppe sul proprio territorio. Proprio nella regione di Kursk la situazione rimane difficile da decifrare, nella nebbia informativa generata dalle contrapposte propagande.

Il comandante delle forze armate ucraine, Oleksandr Syrskyi, ha rivendicato l’occupazione di un centinaio di insediamenti su circa 1.300 chilometri quadrati di territorio e la cattura di quasi 600 militari russi. Mentre il ministero della Difesa russo afferma che ogni giorno vengono respinti i tentativi dei soldati di Kiev di spingersi più in profondità, in particolare verso Korenevo, e che dall’inizio dell’operazione gli ucraini hanno perso quasi 7.500 uomini. Ma a confermare l’insicurezza che regna nei territori russi confinanti con l’Ucraina sono i continui bombardamenti sulla regione di Belgorod, vicina a quella di Kursk. Il governatore, Vyacheslav Gladkov, ha detto che un civile è stato ucciso e due sono rimasti feriti in un attacco sulla cittadina di Shebekino.

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Esteri

Hezbollah attacca in Galilea, Sinwar ringrazia Nasrallah

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Il centro del conflitto mediorientale, mentre a Gaza continua un’emergenza umanitaria senza precedenti, si sposta verso nord, con Israele che allarga sempre più il fronte verso Cisgiordania, Libano e Siria, e gli Hezbollah libanesi sono sempre più coinvolti nello scontro. L’aeronautica militare israeliana ha colpito oggi in modo massiccio vari obiettivi attribuiti agli Hezbollah in Libano (con almeno un morto e 7 feriti, tra cui 4 bambini secondo Beirut) e altri nel sud della Siria dove, secondo il New York Times, domenica scorsa Israele avrebbe usato anche forze speciali per distruggere un impianto per la produzione di missili di Hezbollah vicino al confine libanese, facendo vittime.

Venerdì mattina, in risposta all’attacco israeliano di ieri su Kfar Joz, nel sud del Libano e nel quale sono stati uccisi due combattenti di Hezbollah e un bambino, il movimento filoiraniano ha attaccato una base israeliana in Galilea. In una nota ha affermato di aver lanciato uno “sciame di droni” sulla base Filon a sud-est di Safed, che a loro dire ospita “il quartier generale della 210/a divisione” dell’esercito israeliano. Sostenendo peraltro di aver “causato vittime”, circostanza negata da Israele. Il capo di Hamas, Yahya Sinwar, ricercato numero uno di Israele, avrebbe inviato nei giorni scorsi al leader degli Hezbollah, Hassan Nasrallah, una lettera di ringraziamento e di apprezzamento per il sostegno dato dall’organizzazione filoiraniana libanese dall’inizio della guerra contro Israele.

“La beata processione dei martiri – si legge nella missiva secondo i media israeliani, che citano l’emittente libanese filo-Hezbollah al-Mayadeen – crescerà in forza e in potenza nella lotta contro l’occupazione nazi-sionista”, avrebbe scritto il leader di Hamas, e s’impegna a combattere il “progetto sionista” insieme al resto del cosiddetto asse della resistenza anti-Israele “fino a quando l’occupazione non sarà sconfitta e spazzata via dalla nostra terra e il nostro Stato indipendente con piena sovranità non sarà stabilito con Gerusalemme come capitale”. Non si placano intanto gli attacchi israeliani in Cisgiordania, dove un cecchino avrebbe colpito un membro dello staff dell’Urwa, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi da tempo nel mirino di Israele che accusa la presenza tra le sue fila di affiliati di Hamas.

La Cisgiordania – ha denunciato l’agenzia, che intanto ha completato con grande fatica la prima fase di un programma antipolio tra i bambini di Gaza – “sta vivendo livelli di violenza senza precedenti, mettendo a rischio le comunità”. A Gaza, secondo l’agenzia palestinese Wafa, oggi sono morti almeno 6 civili in raid israeliani su Rafah e Nuseirat. Mentre a Istanbul è arrivata la salma dell’attivista turca-americana uccisa durante una protesta in Cisgiordania e domani si terranno i funerali.

A Tel Aviv intanto i parenti degli ostaggi continuano a reclamare un cessate il fuoco e la restituzione dei loro cari, mentre anche la Cina, con il ministro della Difesa Dong Jun, ha affermato che “i colloqui di pace e la soluzione politica sono l’unica soluzione” in Palestina come in Ucraina. Il premier spagnolo Pedro Sanchez ha invece riunito alla Moncloa i ministri del Gruppo di contatto arabo-islamico per Gaza alla quale ha partecipato anche l’Alto rappresentante per la politica estera della Ue uscente, Josep Borrell. “La comunità internazionale deve fare un passo decisivo verso una pace giusta e duratura in Medio Oriente”, ha detto Sanchez, basata sulla soluzione a due Stati. Il Cile infine si è associato all’iniziativa promossa dal Sud Africa contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia per presunto genocidio.

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Esteri

Usa, uccisi quattro leader dell’Isis in Iraq

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Gli Stati Uniti hanno ucciso quattro leader dell’Isis in Iraq alla fine di agosto. Lo afferma il Centcom. “Restiamo impegnati a una sconfitta duratura dell’Isis, che continua a minacciare gli Stati Uniti, i nostri alleati e partner e la stabilità regionale”, ha detto il generale Michael Erik Kurilla, capo del Centcom.

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Cronache

Messico, 15 morti per la guerra interna del cartello di Sinaloa

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Un totale di 14 fascicoli d’inchiesta aperti e 15 morti. È questo l’ultimo bilancio della violenta guerra iniziata lunedì tra i Chapitos e i Mayos, le due fazioni in cui si è spaccato il cartello di Sinaloa e facenti capo, rispettivamente, al “Chapo” Guzmán e al “Mayo” Zambada, entrambi detenuti negli Stati Uniti. A confermarlo ai media locali è stata la Procuratrice della Repubblica, Claudia Zulema Sánchez. “Da lunedì ad oggi sono stati registrati 15 omicidi”, ha dichiarato. Lo scorso 9 settembre, il governatore di Sinaloa Rocha Moya era stato costretto a sospendere le lezioni in tutte le scuole e università della capitale Culiacán e aveva chiesto rinforzi militari a Città del Messico per garantire la sicurezza dei cittadini. Oggi sono stati recuperati due cadaveri, uno dei quali decapitato e con segni di tortura in diverse parti del corpo nei pressi del Parco 87, una nota zona verde di Culiacán dotata di attrazioni tra cui scivoli, piscine e un ‘giardino della pace’.

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