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Cronache

Morti da eternit a Torino, l’imprenditore svizzero Schmdheiny condannato a 4 anni di carcere

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Il tribunale di Torino ha condannato a 4 anni di reclusione l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny in uno dei diversi filoni del processo Eternit bis. L’accusa era di omicidio colposo in relazione al decesso di due ex lavoratori di Cavagnolo (Torino), dove la multinazionale dell’amianto aveva una filiale. La sentenza e’ del giudice Cristiano Trevisan.

Schmidheiny dovra’ versare una provvisionale di 15 mila euro alle parti civili, tra cui la Regione Piemonte, sindacati e varie associazioni. Il processo terminato oggi e’ stato celebrato a Torino dopo lo “spezzettamento” del fascicolo disposto all’udienza preliminare per ragioni di competenza territoriale. A Napoli e’ in corso un dibattimento in Corte d’Assise, dove l’imprenditore elvetico e’ accusato di omicidio volontario. A Vercelli si procede per il medesimo reato: l’indagine e’ appena terminata.

La condanna a 4 anni di carcere dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny al termine del processo Eternit bis a Torino “e’ un primo tassello”. Lo ha detto il pubblico ministero Gianfranco Colace, che in aula ha sostenuto la pubblica accusa, dopo la lettura del dispositivo. Colace ha fatto riferimento a quelli che erano gli ultimi orientamenti della giurisprudenza in materia di responsabilita’ nei casi di morti da amianto. “Ora – ha affermato – spero che questa sentenza segni il ritorno a una giurisprudenza piu’ attenta alle vittime”. Colace ha anche ribadito che a Vercelli, dove e’ stato applicato per occuparsi nel filone locale del processo, si procedera’ per omicidio volontario.

“E’ una decisione che va contro ultimi orientamenti giurisprudenziali in materia di morti da amianto. Leggeremo le motivazioni e faremo appello”. E’ il commento dell’avvocato Astolfo di Amato, uno dei difensori di Stephan Schmidheiny, alla condanna a quattro anni di carcere inflitta dal tribunale di Torino all’ imprenditore elvetico nel processo Eternit bis.

“E’ un segnale debole, ma va nella direzione auspicata. E’ la prima sentenza che indica la responsabilita’ di Schmidheiny su due casi”. Cosi’ Nicola Pondrano, dirigente sindacale della Cgil e cofondatore dell’Associazione familiari e vittime dell’amianto (Afeva), dopo la condanna a quattro anni per omicidio colposo di Stephan Schmidheiny. Nel 2015 al termine del primo processo la Cassazione aveva annullato la condanna a 18 anni del manager svizzero accusato di disastro ambientale doloso permanente e omissione di misure antinfortunistiche. Per Bruno Pesce, altro fondatore dell’Afeva, “e’ una condanna mite, ma importante perche’ lo Stato afferma che non si uccide la gente per soldi”. Secondo la presidente dell’Afeva, Giuliana Busto, “dopo la botta della Cassazione, anche una condanna minima e’ un inizio che da speranza”.

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Femminicidio a Cagliari, il marito ha confessato

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Ha confessato: dopo oltre sei mesi in cui si è sempre dichiarato innocente ha ammesso le proprie responsabilità Igor Sollai, il 43enne attualmente in carcere con le accuse di omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere per aver ucciso e nascosto il corpo della moglie, Francesca Deidda, di 42 anni, sparita da San Sperate, un paese a una ventina di chilometri da Cagliari, il 10 maggio scorso e i cui resti sono stati trovati il 18 luglio in un borsone nelle campagne tra Sinnai e San Vito, vicino alla vecchia statale 125.

Sollai, difeso dagli avvocati Carlo Demurtas e Laura Pirarba, è stato sentito in carcere a Uta dal pm Marco Cocco. Un interrogatorio durato quattro ore durante il quale il 43enne ha confessato il delitto descrivendo come ha ucciso la moglie e come poi si è liberato del cadavere. Non avrebbe invece parlato del movente. Nessun commento da parte dei legali della difesa. Non è escluso che l’interrogatorio riprenda la prossima settimana.

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‘Ndrangheta: patto politico-mafioso, assolti i boss

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Mafia e politica, assolti i boss. La Corte di Appello di Catanzaro ha ribaltato totalmente la sentenza di primo grado riformando la sentenza di primo grado del processo “Sistema Rende”. I giudici di secondo grado hanno assolto i boss e gli appartenenti alle cosche di Cosenza e Rende finiti nell’inchiesta su mafia e politica che coinvolse amministratori ed esponenti dei principali clan cosentini. Assoluzione perche’ il fatto non sussiste per Adolfo D’Ambrosio e Michele Di Puppo (che in primo grado erano stati condannati rispettivamente a quattro anni e 8 mesi di reclusione), l’ex consigliere regionale Rosario Mirabelli e per Marco Paolo Lento (condannati in primo grado entrambi a 2 anni di carcere). Confermate poi le assoluzioni di Francesco Patitucci e Umberto Di Puppo, condannato in passato per aver favorito la latitanza del boss defunto Ettore Lanzino. Secondo l’inchiesta “Sistema Rende”, alcuni politici e amministratori rendesi (tra i quali gli ex sindaci Sandro Principe e Umberto Bernaudo) avrebbero stipulato un patto politico-mafioso grazie al quale avrebbero ottenuto sostegno elettorale in cambio di favori come le assunzioni in alcune cooperative del Comune. Ora la parola spetta alla Cassazione.

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Attacco hacker ad archivi InpsServizi, alcuni server bloccati

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“InpsServizi S.P.A. (Società in House di INPS) ha recentemente subito un attacco informatico di tipo ransomware che ha portato al blocco di alcuni server, rendendo temporaneamente indisponibili alcuni applicativi gestionali e i dati forniti a propri clienti”. E’ quanto si legge in una nota dell’Inps nella quale si precisa che “l’accaduto è stato denunciato prontamente a tutte le autorità competenti”. “Attualmente, sono in corso indagini approfondite. È importante rassicurare i cittadini che il Contact Center, principale servizio di assistenza, non è stato colpito dall’attacco e rimane operativo”. “Le azioni in corso sono concentrate sul ripristino delle infrastrutture compromesse in modo tempestivo e sicuro”.

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