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Mondiali 2034: Arabia progetta stadio a 350 metri dal suolo

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L’Arabia Saudita ha presentato un piano per costruire 11 stadi – incluso uno a 350 metri d’altezza dal suolo – come parte della candidatura del Paese per ospitare i Mondiali di calcio nel 2034. Ne dà notizia la Bbc online. Il Neom Stadium – dal nome di una città che ancora non esiste nel nordovest -, 46 mila spettatori, sarà accessibile solo con ascensori ad alta velocità e veicoli a guida automatica. Le impressionanti simulazioni al computer che sono state diffuse mostrano l’impianto sopra una parete artificiae che scende dritta sul mare, con una nave che passa a poca distanza in una insenatura artificiale. L’arena – parte del progetto denominato ‘The Line’, La Linea, e inserito nella strategia per diversificare l’economia petrolifera del regno – è destinata a ospitare un quarto di finale, se Riad otterrà l’assegnazione della Coppa del Mondo in programma tra dieci anni.

Un esito non ancora ufficiale, ma che appare ormai scontato. Il governo del principe Mohammed Bin Salman, detto Mbs – promotore del cambiamento della nazione, ma criticato per le diffuse violazioni dei diritti umani- ha tempo fino a ottobre per presentare il piano. La Fifa, la Federazione internazionale, darà il via libera l’11 dicembre prossimo durante il suo congresso. Degli 11 nuovi stadi 8 saranno nella capitale, incluso il King Salman International Stadium, che con quasi 93 mila posti vedrà la partita di apertura e la finale. Le capienze degli altri impianti sono tutte intorno ai 46 mila posti, eccetto il King Fahad Sports City Stadium che ne prevede oltre 70 mila. Gli altri match si giocheranno a Gedda, Al Khobar e Abha. Per la prima volta un torneo con 48 nazionali si terrà in un unico Paese.

Appena più in basso dello stadio di Neom, a 200 metri di altezza su una scogliera, sarà costruito il Prince Mohammed Bin Salman Stadium, omaggio al vero uomo forte dell’Arabia Saudita. La città di Neom sorgerà ex novo in un’area lunga 170 chilometri – di qui il nome ‘The Line’ del progetto -, e sarà del tutto proibita alle automobili. La Linea sarà più alta dell’Empire State Building, il grattacielo simbolo di New York, e coprirà una distanza pari a quella tra Londra e Bristol, osserva la Bbc. Solo 2,4 chilometri del progetto si stima però ufficiosamente che saranno completati entro il 2030. Secondo il documento di candidatura lo stadio di Neom sarà “alimentato completamente con energia rinnovabile”, prevalentemente da fonti eoliche e solari. Ci sono progetti per costruire nella nuova città un aeroporto internazionale, visto che sono previsti 12 milioni di visitatori ogni anno a partire dal 2034. Nelle altre città sedi dei Mondiali gli scali aerei saranno ampliati (Riad è previsto che accolga 100 milioni di passeggeri l’anno dopo la Coppa, il 170% in più rispetto allo scorso anno).

L’Arabia Saudita prevede di estendere le linee ferroviarie e di pullman. “Gli spostamenti nel Paese saranno rapidi ed efficienti”, si legge nel documento per la Fifa, che non contiene una stima complessiva dei costi. I progetti secondo gli esperti potrebbero richiedere centinaia di miliardi di dollari. Il Qatar ne ha spesi 220 per la rassegna iridata di calcio del 2022. Anche nel caso saudita sarà con ogni probabilità necessario far disputare il torneo d’inverno a causa delle temperature più miti, che si raggiungono di solito tra ottobre e aprile. Il regno è criticato perché userebbe i massicci investimenti nell’organizzazione di eventi sportivi di portata mondiale – dalla Formula Uno al golf – per migliorare la propria immagine a livello internazionale, sporcata anche dall’omicidio nel consolato di Istanbul del giornalista Jamal Khasshogi nel 2018. Una tattica che è stata definita ‘sportwashing’, ripulitura attraverso lo sport.

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Economia

Giorgetti, taglio cuneo e nuova Irpef saranno strutturali

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La conferma del taglio del cuneo e dell’Irpef a tre aliquote anche nel 2025 è ormai una certezza. Ma il governo punta a fare di più: cioè a renderli strutturali. Parola del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che oltre alla manovra lavora anche a completare il Piano strutturale di bilancio da inviare all’Ue. Per chiudere il quadro mancano i dati dell’Istat, che dovrebbero tradursi in un ritocco al rialzo del Pil. E mentre la politica torna a tirare in ballo le banche, evocando un ipotetico “contributo” per rimpolpare le risorse della legge di bilancio, il titolare dei conti richiama tutti alla cautela: tesoretti non ce ne sono, l’imperativo ora è risanare i conti. E già nel 2024 si potrebbe raggiungere il pareggio di bilancio primario.

Tra un mese esatto la manovra è attesa in Parlamento e il tempo inizia a stringere. Giorgetti promette una legge di bilancio “seria” fornisce qualche indizio. Innanzitutto la dimensione: 25 miliardi? “Deve essere di almeno lo 0,5% di correzione”, risponde Giorgetti intervistato al festival di Open. Quest’anno infatti i conti si fanno con le nuove regole del Patto Ue: e va garantito un aggiustamento di 10-12 miliardi l’anno. Già nero su bianco nel Def sui saldi 2024-25. La vera novità riguarda le misure. “Siamo impegnati non solo a confermare il taglio del cuneo e la riduzione delle tre aliquote, ma anche a renderle strutturali negli anni a venire”, annuncia il ministro. Una sfida ambiziosa, visto che solo per replicare le due misure nel 2025 servono circa 14 miliardi. Per quanto riguarda le altre ipotesi, dalla flat tax alla possibilità di ridurre l’Irpef anche per il ceto medio, tutto dipende dalle risorse: “stiamo studiando tutto, dopodiché si decide quello che si può fare in base a quello che si ha”. “La prima cosa da fare è la manovra correttiva, dopo che ho chiuso il buco si può parlare delle nuove possibilità, ma prima devo tenere la barca in galleggiamento”, aggiunge.

Il ministro torna anche sul superbonus, un’intuizione “giusta”, ma con una modalità “sbagliata”: l’errore, punta il dito, è che andava “riservata sicuramente ed esclusivamente alla prima casa di abitazione e non estesa alla seconda, terza casa, mare, monti e in secondo luogo dove va essere riservata a redditi bassi o medi”. Ad aprire qualche spiraglio nei conti potrebbero i dati sulla revisione generale delle stime annuali che l’Istat diffonderà lunedì, che il Mef attende per chiudere il quadro tendenziale e programmatico da inserire nel Psb. Che poi la prossima settimana dovrebbe tornare in cdm prima di iniziare l’esame parlamentare. “La serie storica dal 1995 avrà una correzione, sicuramente sarà una correzione al rialzo, modesta ma al rialzo”, spiega Giorgetti. Un dato che “rispetto agli obiettivi che dobbiamo presentare all’Europa e in Parlamento cambia qualcosina, però non sarà la soluzione dei problemi”, avverte comunque il ministro. Che come già dopo il dato sul buon andamento delle entrate, torna a professare cautela.

“Tesoretti non ce ne sono”, è l’avvertimento rivolto ai vari ministeri pronti come ogni anno a chiedere più soldi: “anche perché siamo impegnati nella missione di risanare la finanza pubblica”. E la cura, a sentire il titolare del Mef, sembra funzionare: “Credo – dice – che già dal 2024 raggiungeremo l’obiettivo del pareggio di bilancio primario”, prima del pagamento degli interessi. Giorgetti si dice invece “piuttosto scettico”, sul fatto che in Europa si possa raggiungere un accordo sul debito comune. Intanto in vista della manovra il dibattito politico è già acceso. FdI torna a tirare in ballo le banche. Se serve, valuteremo anche un “contributo” per far crescere ulteriormente l’economia italiana, annuncia il presidente della commissione Finanze della Camera Marco Osnato. Forza Italia ribadisce la propria contrarietà ad una tassa sugli extraprofitti, ma apre ad un eventuale “contributo di solidarietà”, ma che non sia limitato solo alle banche: noi pensiamo anche alle assicurazioni e alle multiutility energetiche, dice il portavoce Raffaele Nevi. Le poche risorse invece agitano le opposizioni: servono 30 miliardi solo per respirare, dice il Pd; Giorgetti dica chi pagherà, incalza Avs.

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‘Bergamini fu ucciso’, chiesti 23 anni per l’ex fidanzata

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Isabella Internò è la mandante e concorre nell’omicidio dell’ex fidanzato Donato Denis Bergamini, il calciatore del Cosenza morto il 18 novembre del 1989 lungo la statale 106 a Roseto Capo Spulico, ma essendo passati 35 anni merita le attenuanti generiche. E’ il ragionamento che ha portato la Procura della Repubblica di Castrovillari a chiedere 23 anni di carcere e non l’ergastolo per la donna – assente oggi dall’aula – imputata per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi in concorso con ignoti. Ad esplicitare in aula, davanti ai giudici della Corte d’Assise di Cosenza, i motivi che hanno spinto i pm a giungere alla richiesta è stato il procuratore di Castrovillari Alessandro D’Alessio che ha affiancato il sostituto Luca Primicerio in tutta la requisitoria, iniziata ieri.

“Internò – ha affermato il magistrato – ha agito con volontà con persone in corso di identificazione. Isabella Internò ha tradito l’affetto che il ragazzo aveva per lei, ha esasperato lei il rapporto e pur di salvare l’onore non ha esitato ad agire come sappiamo. Per il tempo trascorso, però, merita le attenuanti generiche e per questo che non chiediamo l’ergastolo, ma 23 anni di reclusione”. Un delitto, quello di Bergamini, maturato in un “contesto patriarcale”, ha detto D’Alessio, motivato dalla mancata celebrazione “di un matrimonio riparatore” che la ragazza – che all’epoca della morte di Bergamini aveva 20 anni – avrebbe desiderato nel 1987 dopo essere rimasta incinta del calciatore. “Bergamini – ha poi spiegato Primicerio prendendo la parola – pur volendo tenere il bambino, non avrebbe mai voluto sposarla a causa del suo carattere ossessivo”.

La donna decise quindi di andare ad abortire a Londra. Il mancato matrimonio e la successiva fine della loro storia, secondo il pm, portò Internò a stolkerizzare, “e ha continuato a farlo fino alla fine” Denis Bergamini, “nonostante la loro relazione fosse chiusa da tempo”. A supporto della loro convinzione, i pm hanno ribadito di ritenere fondate e rilevanti le dichiarazioni di Tiziana Rota, moglie del calciatore Maurizio Lucchetti e amica intima in quegli anni di Internò. A lei, l’imputata avrebbe confidato che se Bergamini non fosse tornato sui suoi passi sarebbe stato “un uomo morto, perché mi ha disonorata, deve tornare da me perché io lo faccio ammazzare”. La richiesta dei pm è stata accolta con soddisfazione mista ad amarezza dalla sorella del calciatore, Donata Bergamini, che dal primo giorno non ha mai creduto alla tesi del suicidio raccontato dalla stessa Internò – “Denis si è buttato a pesce davanti al camion che l’ha travolto” – ma ha sempre parlato di un omicidio.

“Sono stata contenta – ha detto all’uscita dal palazzo di giustizia cosentino – perché sono emerse le verità che sia io che mio padre gridavamo sin dall’inizio. Queste verità dovevano emergere nel 1989, ma qualcuno non ha voluto farlo. Dopo così tanti anni la Internò poteva parlare e comportarsi in modo diverso”. Un concetto ripreso anche dal suo legale, l’avvocato Fabio Anselmo, che col suo lavoro ha portato la Procura di Castrovillari a riaprire per la seconda volta – la prima era stata poi archiviata – un’inchiesta per omicidio. “E’ vero che essere condannati dopo 35 anni può sembrare un atto ingiusto – ha detto – ma è altrettanto vero che attendere giustizia per 35 anni lo è sicuramente di più”. Adesso la parola passa alle parti civili e poi alla difesa. Per il primo ottobre è attesa la sentenza.

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Schillaci: l’ultimo addio fra lacrime e cori da stadio

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L’alfiere di un calcio che si è estinto, un ragazzo timido che con la sua epopea popolare, e anche nell’impegno post carriera, con la scuola calcio, ha tracciato una strada chiara, quella della Palermo onesta, senza scorciatoie, una città “dei giovani che vogliono essere liberi e che può cambiare”, come ha detto, al momento della benedizione della salma l’arcivescovo della città, Corrado Lorefice. Nel giorno del suo funerale, in cattedrale, Totò Schillaci, morto mercoledì per un tumore al colon, è stato un fortissimo polo d’attrazione per migliaia e migliaia di palermitani che hanno voluto dirgli addio, assieme ai suoi familiari e ai suoi amici.

Decine e decine di telecamere all’interno e all’esterno della cattedrale, circa mille persone dentro, molte di più fuori, sul sagrato, dove ai palermitani e ai siciliani si sono uniti molti turisti, anche stranieri. Non sono mancati cori da stadio e applausi, fortissima è stata la partecipazione. Se la morte è la verità ultima della vita, Schillaci non è stato semplicemente un calciatore leggendario e conosciuto in tutto il mondo, ma un operatore di bene, che ha seminato e tracciato un percorso virtuoso di bellezza e libertà, come ha sottolineato l’arcivescovo Lorefice: “Come Pino Puglisi, che riposa in questa cattedrale, anche Totò Schillaci ci dice che questa città la possiamo e la dobbiamo cambiare. Di Totò ricordiamo il corpo proteso alla gioia, i suoi occhi, in quel 1990.

Ma poi Schillaci ha continuato a donare il suo corpo perché gli altri avessero corpi liberi, è rimasto uno di noi, ha pensato la sua vita facendo memoria della sua origine, l’ha pensata come un dono, perché le nuove generazioni avessero uno sguardo bello, perché i giovani potessero essere liberi, contro chi invece li vuole schiavi. Voglio ringraziarlo per questa sua grande opera, voluta, consapevole, stare nella strada con i giovani, perché potessero conoscere la via del bene e della libertà. Lo affidiamo alla misericordia di Dio. Gli diciamo addio, ci vedremo in Dio, nella pienezza vera della vita”. Nell’omelia dei funerali, monsignor Filippo Sarullo, parroco della cattedrale si è rivolto a Schillaci, prossimo alla partita dell’eternità: “Il Padre ti ha convocato per la partita del cuore, che non avrà mai fine, ti ha fatto entrare nella squadra più bella del mondo, che si chiama Paradiso”.

In chiesa erano presenti gli ex compagni, anche di nazionale, Gigi De Agostini e Beppe Bergomi (“È stato l’eroe di tutti noi, ci stava regalando un sogno ai Mondiali”), Gabriele Gravina e Antonio Matarrese, presidente ed ex presidente della Figc, il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, l’assessore regionale Edy Tamajo a rappresentare il governatore Schifani, e una delegazione del Palermo calcio, guidata dal presidente Dario Mirri e da Francesco Di Mariano, attaccante rosanero e nipote di Schillaci. Il lungo addio al centravanti del quartiere Cep era iniziato questa mattina, proprio nelle strade del rione natale, dove ancora oggi vivono il padre Mimmo, e alcuni tra fratelli e cugini. Il corteo funebre, passato anche dalla chiesa di San Giovanni Apostolo e dal centro sportivo di Schillaci, il Ribolla, è stato salutato da una folla commossa, dove c’erano anche gli studenti dell’istituto comprensivo “Giuliana Saladino”.

Molti hanno pianto e intonato cori da stadio e “Notti magiche”, di Gianna Nannini ed Edoardo Bennato, la storica colonna sonora di Italia ’90. È la stessa commozione che ha attraversato in questi giorni la città e che ha emozionato la famiglia di Totò. L’ha ricordato anche la figlia Nicole, nata da una breve relazione di Schillaci, che finora era l’unica a essere rimasta in silenzio. “Resterà sempre nel mio cuore – le sue parole – ho visto quanto dolore ha provato. Mi manca tantissimo, ma almeno ha smesso di soffrire. Per me era una persona normale, certo di cui essere fieri, ma normale, molto gentile, umile e con un grande cuore”.

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