Avrebbero collaborato con “i servizi di intelligence russi” per un’attività inquietante di “spionaggio”, prestandosi a fornire, in cambio di criptovalute, “dati sensibili”, documentazione “classificata”, fotografie di installazioni militari e informazioni su tecnici specializzati nel campo dei droni e della sicurezza elettronica. E pure la “mappatura” dei sistemi di video sorveglianza di Milano e Roma, “mostrando particolare” attenzione alle “zone grigie”, ossia a quelle aree cittadine non coperte da telecamere. E’ quanto contesta la Procura di Milano a due imprenditori italiani di 34 e 60 anni, titolari di una società in Brianza, esperti nel campo delle tecnologie e “filo-russi”. Ai due è stato recapitato oggi l’avviso di conclusione delle indagini per il reato di “corruzione del cittadino da parte dello straniero”, aggravato “dall’art. 270 bis”, in quanto commesso per “finalità di terrorismo ed eversione”.
I rapporti tra i due indagati e persone ritenute legate agli 007 di Mosca sarebbero nati prima sul deep web e poi proseguiti su Telegram, dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina. E gli imprenditori avrebbero agito, oltre che per alcune migliaia di euro, a volte 2mila a volte 10mila in criptovalute, anche per finalità prettamente “ideologiche”, perché dalla parte della Russia nel conflitto e contro “le politiche occidentali”. L’inchiesta, coordinata dal pm Alessandro Gobbis del pool antiterrorismo, guidato dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco, iniziata a partire dall’aprile scorso, scaturisce dagli esiti di una complessa attività investigativa condotta dal Ros di Milano, in collaborazione con la Sezione Criptovalute del Comando Carabinieri Antifalsificazione Monetaria di Roma.
Indagine, a cui ha collaborato anche l’Aise, nella quale sono stati “riscontrati a partire dal 2023 l’adescamento, da parte di cittadini russi, e la successiva corrispondenza sul canale telegram” tra loro e i due indagati. Questi ultimi si sarebbero messi a disposizione per acquisire informazioni, dalle più banali come ricerche sul web anche da fonti aperte, come le Camere di Commercio, fino a fotografie anche del Duomo di Milano, fino ad immagini di caserme ed obiettivi militari, alcune anche tecnicamente impossibili da realizzare. Ma pure per una raccolta più ampia di dati, simile ad operazioni di dossieraggio, in particolare su imprenditori. La richiesta degli apparati di intelligence sarebbe stata, poi, quella di arrivare a ‘vedere’ dove non ci sono telecamere, anche se non c’è prova nelle indagini che avessero possibilità di entrare nei sistemi di videosorveglianza pubblici o privati.
Le perquisizioni eseguite nei confronti dei due prima dell’estate, infatti, hanno fatto emergere interessi per la “mappatura” dei sistemi di videosorveglianza di Milano e Roma, con particolare attenzione alle “zone grigie”, ossia a quelle aree cittadine non coperte da telecamere. E proprio la volontà di avere il “controllo” su certe zone delle città o su aree militari è ciò che ha destato maggiore “allarme” tra gli inquirenti della Procura guidata da Marcello Viola. Infine, è venuto a galla anche una sorta di piano per trasferire informazioni a Mosca: i due, destinatari dell’atto di chiusura delle indagini, avrebbero pure proposto a cooperative di taxi di Milano un “business plan” che prevedeva l’installazione a titolo gratuito di “dash cam”, piccole videocamere da cruscotto in genere di sicurezza. E ciò nella prospettiva di affidare, all’insaputa dei tassisti, la gestione delle immagini di intere aree cittadine all’intelligence russa e per “molteplici finalità”. Tra queste quella più concreta, per gli inquirenti, è una attività di “spionaggio” ad ampio spettro.