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Cronache

Migranti, la denuncia della Meloni e il sistema criminale che traffica in esseri umani

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Un sistema criminale sofisticato, radicato nel cuore dell’area vesuviana, ha sfruttato le proprie competenze per alimentare un’organizzazione specializzata nello sfruttamento dell’immigrazione. Colletti bianchi e faccendieri hanno creato cassetti fiscali, profili tributari e contratti di lavoro fasulli, il tutto orchestrato con precisione. Questa rete, operante da anni, è attualmente sotto l’attenzione della Procura di Napoli, in seguito alla denuncia firmata dal premier Giorgia Meloni riguardante infiltrazioni illegali nell’ultimo decreto flussi. È un sistema che viene descritto con molti dettagli e con l’annuncio di un’inchiesta dal quotidiano Il Mattino. Un approfondimento dopo l’esposto denuncia della premier Meloni sull’arrivo ‘regolare’ in Italia di centinaia, forse migliaia di irregolari.

Il Sistema

L’organizzazione, composta da avvocati, commercialisti, esponenti della pubblica amministrazione e aspiranti politici, ha sfruttato le lacune della legge Bossi-Fini del 2002. Questa legge disciplina gli ingressi in Italia della manodopera immigrata, garantendo il permesso di soggiorno a chi può vantare un contratto di lavoro regolare. Tuttavia, solo il tre per cento delle centinaia di migliaia di lavoratori immigrati che hanno chiesto di entrare in Campania con una promessa di assunzione ha firmato un contratto di lavoro. Gli altri sono finiti in un limbo fatto di espedienti e clandestinità.

Il Click Day e le Anomalie

L’ultimo segnale d’allarme è stato il click day del 30 aprile, il giorno in cui gli imprenditori italiani caricano sulla piattaforma del ministero dell’Interno le richieste di personale da assumere. Napoli ha visto un boom di domande, molte delle quali presentavano anomalie evidenti. Aziende con fatturati modesti hanno richiesto assunzioni per dieci o quindici dipendenti, suscitando sospetti sulla loro capacità di sostenerle finanziariamente.

Dietro queste richieste c’erano faccendieri laureati – avvocati e commercialisti in primis – che costruivano profili aziendali inesistenti e cassetti fiscali artefatti, mettendo le loro competenze al servizio del crimine.

I Reati

La Procura napoletana, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, ha ipotizzato l’accusa di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento dell’immigrazione. La denuncia del premier Meloni sottolinea un mercimonio ben organizzato: per far arrivare a Napoli un immigrato con un finto contratto, c’è chi spende fino a 15mila euro. Questi soldi finiscono nelle mani della cricca, che in questi anni ha blindato i propri affari con corruzione e tangenti.

Corruzione e Complicità

I soldi servivano a corrompere i controllori, a chiudere un occhio sulle procedure e a evitare approfondimenti sulle richieste di assunzione. Le tangenti garantivano che le richieste di nulla osta non fossero verificate a fondo. Questo sistema ha prosperato grazie alla complicità di funzionari corrotti e alla mancanza di controlli rigorosi.

L’Indagine della Procura

Il pool anticamorra della Procura di Napoli sta lavorando per chiarire il ruolo di questi “manager di migrantopoli” che lucrano sulla disperazione degli immigrati, fabbricando profili e contratti falsi in cambio di soldi veri. Il procuratore Gratteri ha assicurato che le forze dell’ordine e i magistrati sono all’opera per monitorare e contrastare questi fenomeni.

Conclusioni

Lo scenario descritto dalla denuncia del premier Meloni mette in luce un sistema criminale complesso che sfrutta l’immigrazione e alimenta la clandestinità. La Procura di Napoli è impegnata a smantellare questa rete e a portare alla luce le connessioni tra criminali e colletti bianchi. Il caso Campania rappresenta un esempio emblematico delle sfide che l’Italia deve affrontare nel combattere l’infiltrazione criminale e garantire un’immigrazione regolare e trasparente.

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Non solo sciolti per mafia, ipotesi tutor per i Comuni

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Un delicato equilibrio tra il rispetto del voto dei cittadini e la gravità dell’infiltrazione criminale. Questo il tema che oggi il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha portato all’attenzione dell’Anci, lanciando la proposta di rimodulare l’articolo del testo unico sugli enti locali sullo scioglimento delle amministrazioni ‘sospette’. L’idea del titolare del Viminale è quella di creare una nuova figura, una sorta di tutor, che possa intervenire nelle situazioni meno gravi e complesse evitando quindi lo scioglimento del Comune, provvedimento “lacerante e doloroso”, come ha spiegato lui stesso all’assemblea dei sindaci riunita a Torino. Ma non solo, Piantedosi ha anche confermato l’intenzione del governo di voler ripristinare le Province, con l’elezione diretta e la rimodulazione delle competenze. “La cosiddetta abolizione si è rivelata fallimentare – ha detto – pensiamo ad un un passo indietro”. Il focus dell’intervista che oggi ha visto protagonista il ministro dell’Interno è stato quello della riforma del Tuel, un testo che – ha detto lo stesso Piantedosi – “ha ormai un quarto di secolo di vita”.

“Credo – ha ribadito – che ci sia un unanime convincimento che la riforma sia indispensabile e necessaria”. Tra le “questioni da limare” ci sarebbe proprio quella delle province, un tema che già dal suo insediamento anche il ministro per l’Autonomia, Roberto Calderoli, aveva fortemente rilanciato. “Noi – le parole di Piantedosi – cercheremo di condividere questa ipotesi di riforma con tutte le parti politiche, compresa l’attuale opposizione”. La revisione del testo, inoltre, potrebbe prevedere anche novità sullo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose, previsto dall’articolo 143. “L’esperienza pratica ci ha insegnato” che è meglio mettere “nel sistema qualcosa in mezzo tra scioglimento e non scioglimento, come misure di affiancamento, una sorta di commissariamento”.

“Nessuno – ha sottolineato il titolare del Viminale – immagina di poter arretrare rispetto ai presidi di legalità. Ma è sempre lacerante e doloroso il fatto che ci siano misure molto forti che incidono sui principi democratici. Bisogna cercare una ulteriore forma di equilibrio tra mantenimento dell’esito dei circuiti democratici e il presidio di legalità”. Prima di lasciare il palco, il ministro è tornato a ribadire la volontà del governo di spingere sulla videosorveglianza nella città. “Vorremmo creare un paniere di risorse economiche per implementare e aggiornare i sistemi – ha concluso -. Non è che ci piace il Grande Fratello, ma i dati ci dicono che più del 50% dei reati che viene scoperto si avvale di strumenti di indagine legati alla videosorveglianza. Andiamo incontro all’intelligenza artificiale, è illusorio pensare che la privacy possa frenare le enormi potenzialità che questi sistemi danno. Credo che la soluzione sia nell’avere fiducia nelle istituzioni”.

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Porno attore italo-egiziano arrestato in Egitto, la preoccuoazione della mamma in Italia

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Del figlio non sa più nulla dal 10 novembre scorso, dal giorno dopo un arresto al Cairo dai contorni tutti da chiarire. E’ la vicenda che riguarda Elanain Sharif, 44enne nato in Egitto ma cittadino italiano, di cui la madre dice di avere perso le tracce dopo che è stato fermato dalle autorità egiziane al suo arrivo dall’Italia. Un caso seguito con la “massima attenzione” dalla Farnesina dopo la denuncia della donna che era col figlio al momento del fermo. L’uomo si troverebbe, comunque, in una struttura nota anche alle autorità italiane. La madre avrebbe appurato che si trova nel carcere di Alessandria d’Egitto.

Sharif e la madre erano atterrati al Cairo provenienti dall’Umbria. L’uomo vive, infatti, da alcuni anni a Terni mentre la madre è residente a Foligno ed è sposata con un italiano. “E’ una vicenda che inevitabilmente ci riporta ai casi di Regeni e Zaky – afferma l’avvocato Alessandro Russo, legale della famiglia -. Sono andati al Cairo dove hanno un appartamento, erano lì per commissioni come avevano fatto tante altre volte ma appena arrivato è stato bloccato e gli hanno sequestrato il passaporto italiano”. Su punto a quanto si apprende, essendo anche cittadino italiano, Sharif aveva scelto di rientrare in Egitto col passaporto egiziano, e anche per questo è stata più lenta la procedura per una visita consolare. Sui motivi dell’arresto gli elementi sono al momento pochi. “Ciò che ha portato all’arresto non è chiaro, si tratterebbe di qualcosa legato a contenuti su Facebook ma non abbiamo capo di imputazione”, dice l’avvocato. Sharif lavora nell’industria del porno (è noto come Sheri Taliani) e questo potrebbe essere il motivo dell’arresto e in particolare l’avere diffuso immagini vietate dalle leggi egiziane.

“In aeroporto è stato tenuto a lungo negli uffici della polizia e poi la madre lo ha visto uscire con le manette ai polsi – aggiunge – Le procedure di arresto sono state effettuate utilizzando solo il passaporto egiziano, quello dell’Italia gli è stato restituito alcuni giorni dopo”. Sharif è stato, quindi, trasferito nel carcere della Capitale. “E’ stato lì per alcuni giorni, in condizioni inumane: senza potere dormire, poteva stendersi solo per mezzora, per sedersi su una sedia, anche per pochi minuti, doveva pagare. La madre l’ha visto per pochi istanti, il 10 novembre poi più nulla”, aggiunge il legale.

Russo ha immediatamente allertato la Farnesina e l’ambasciata italiana. La sede diplomatica al Cairo, in stretto coordinamento con il Ministero degli Esteri, sta seguendo “con la massima attenzione il caso” e l’ambasciata sta avendo costanti contatti con la madre dell’uomo. La donna, non senza difficoltà, è riuscita ad appurare che Sharif è stato trasferito nel carcere di Alessandria d’Egitto. “Lei ora è lì, assieme al fratello che lavora nella polizia egiziana e spera di avere notizie di un suo rilascio ma è preoccupatissima”, aggiunge Russo.

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Imprenditore campano arrestato in Gallura per frode fiscale

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Avrebbe occultato beni mobili e somme di denaro per oltre 450mila euro e trasferito la sua attività commerciale da Cava De’ Tirreni a Santa Teresa di Gallura per sottrarre i suoi averi al recupero forzoso: un affermato imprenditore campano di 60 anni, è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta, frode fiscale e reati tributari. Firmato anche un decreto di sequestro preventivo dei beni finalizzato alla confisca. Le indagini che hanno portato all’applicazione della misura cautelare nei confronti dell’industriale, molto conosciuto nella provincia di Salerno, sono partite dalla Procura di Tempio Pausania e affidate alla tenenza della Guardia di Finanza di Palau e altri reparti. E’ stato così possibile ricostruire la vicenda fiscale dell’imprenditore attivo nel settore del commercio di abiti da cerimonia. A Santa Teresa di Gallura, attraverso il figlio, gestiva un bar ristorante, dichiarato poi fallito nel luglio del 2021.

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