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Migranti e piano per l’Africa, Meloni in pressing all’Onu

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Cercare nuovi alleati per arginare l’immigrazione illegale. Con il supporto dell’Onu, magari anche perseguendo l’idea di hotspot in Africa, sotto il cappello dell’Unhcr. Mentre in Europa si registra lo stop della Polonia al piano di Ursula von der Leyen sui migranti, Giorgia Meloni è impegnata a New York all’assemblea generale dell’Onu, cui chiederà un impegno a supporto della strategia italiana per fermare gli arrivi. Unica via per dare una “risposta strutturale” a quella che è sempre più un’emergenza. Tutta la missione americana è concentrata su questo. Gli incontri sono tutti con leader dei Paesi africani – a partire dalla Guinea, il Kenya e il Senegal – e con il tema delle migrazioni in cima all’agenda.

Ma anche, come ha ribadito il ministro degli Esteri Antonio Tajani, sulle potenzialità di sviluppo dell’Africa. Condizioni migliori, stabilizzazione politica, crescita sono gli strumenti che, in prospettiva, possono contenere le partenze. Una questione che la premier affronterà anche con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, cui ribadirà il sostegno dell’Italia al tentativo di rianimare l’accordo sul grano. Altro impasse che a cascata acuisce le difficoltà dei Paesi più deboli, a partire da quelli africani. Meloni (accompagnata dalla figlia Ginevra a New York) è arrivata visibilmente stanca. Le questioni italiane la seguono – non solo i migranti, anche il dossier della manovra che la attende al rientro – e gli impegni internazionali così frequenti complicano l’agenda. Tanto che si sta immaginando di rallentare, per quanto possibile, nei prossimi mesi. Passa tutta la mattinata al Palazzo di Vetro, dove ha l’occasione di scambi con i vertici europei – Roberta Metsola, Ursula von der Leyen, anche Charles Michel. Alla ministeriale informale degli Esteri di ieri, ha spiegato Tajani, l’Africa è stato l’argomento principale, anche in vista del summit informale di Granada e poi di un Consiglio Ue di fine ottobre che si preannuncia in salita, visto il no polacco.

“Morawiecki è in campagna elettorale”, dice in chiaro Tajani e minimizzano nel governo, dove invece si guarda con attenzione al completamento della missione Sophia con cui si potrebbe realizzare “il blocco navale”, come ha sottolineato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Ma un ennesimo mancato accordo rallenterebbe quella ricerca di risposte concrete senza le quali, come ha osservato anche Metsola al suo arrivo a New York due sere fa, si rischia di “perdere i cittadini” che saranno chiamati al voto per rinnovare le istituzioni Ue tra nove mesi. Intanto c’è da rendere operativo il memorandum con la Tunisia che, assicura sempre Tajani, non ha subito alcun “blocco”. Magari “è la speranza di qualcuno”, dice il capo della Farnesina. Un’altra bordata all’alto rappresentante per gli Affari Esteri dell’Ue Josep Borrell e alla sua lettera con le “forti riserve” sull’intesa con Tunisi e sulle modalità con cui è stata siglata.

Nonostante proprio Borrell, anche lui a New York, si dica d’accordo con Tajani – che volerà a Tunisi per firmare un accordo per 4mila migranti tunisini regolari in più – sulla necessità di una “strategia di lungo termine” per governare le migrazioni. Poi c’è da implementare un piano per l’Africa, a partire dall’italiano piano Mattei, che coinvolga non solo Bruxelles ma anche le Nazioni Unite. Una proposta che la premier porterà al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, e che avanzerà anche nel suo primo discorso davanti all’assemblea, nella notte italiana tra mercoledì e giovedì. Meloni sta limando il suo intervento per convincere i partner che non si può abbandonare l’Africa, che il problema delle migrazioni è globale e che serve una risposta unitaria. Per la premier sarà la prima volta anche al Consiglio di sicurezza, che Joe Biden vorrebbe riformare e su cui si registra una distanza con l’alleato: “Va bene allargare – ha spiegato ancora Tajani – ma con le rotazioni. Altri Paesi la pensano come noi, il dibattito è aperto”.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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