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Cronache

Messina Denaro scortato passava sotto casa dei familiari

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Il 29 dicembre 2022, 18 giorni prima che i carabinieri del Ros lo arrestassero mettendo fine alla sua trentennale latitanza, Matteo Messina Denaro passeggiava in auto per le strade del suo paese, Castelvetrano, rallentando davanti casa delle sorelle e della ex compagna, la madre di sua figlia Lorenza, sperando di vederle almeno da lontano. É l’ultimo capitolo di un racconto sempre più sorprendente sulla vita dell’uomo più ricercato d’Italia, che si muoveva serenamente con la sua Giulietta nel suo territorio e si intratteneva in cene, pranzi e compleanni con i suoi favoreggiatori. Come Vincenzo e Antonino Luppino, figli dell’imprenditore che accompagnò il boss nella clinica dove fu catturato i 16 gennaio dell’anno scorso e che con lui finì in manette. Oggi il carcere è toccato a loro: sarebbero stati a disposizione del capomafia per anni, occupandosi dei suoi bisogni. Condotte che sono costate ai due Luppino le accuse di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena. L’inchiesta che li ha portati in cella è stata condotta dai carabinieri del Ros e dai poliziotti del Servizio centrale operativo, coordinati dalla Procura di Palermo.

E se il padre Giovanni Luppino, il 21 gennaio 2021, fece attivare la sim, rimasta inutilizzata fino all’8 aprile, poi inserita nel cellulare Huawei col quale Messia Denaro comunicava durante il ricovero in clinica, i figli non erano da meno. Gli investigatori hanno ricostruito tutti gli spostamenti della famiglia in occasione dell’operazione al fegato a cui il padrino venne sottoposto nel 2021, a La Maddalena. Il 4 maggio, giorno dell’intervento, Vincenzo Luppino parte da Campobello alle 9.30 e arriva in clinica alle 12. Ritornerà a Campobello nel primo pomeriggio. Con quella trasferta, secondo i pm, l’indagato aveva voluto trovarsi a “La Maddalena” nell’eventualità di dare aiuto al boss dopo l’uscita dalla sala operatoria. Una settimana dopo, l’11 maggio, Messina Denaro viene dimesso e portato al covo da Giovanni e Antonino Luppino.

I due fratelli dunque si sono occupati, “alternativamente ed in piena sintonia, di offrire decisivo aiuto e sostegno a al padrino nei difficili spostamenti che egli ha dovuto gestire in occasione dell’intervento chirurgico “, dice il gip. Altra scoperta degli inquirenti riguarda la Giulietta di Messina Denaro, parcheggiata in uno spazio recintato davanti casa di Vincenzo Luppino. Il fratello Antonino aveva le chiavi dell’area, tanto che sarà lui a fare entrare gli investigatori dopo l’arresto del latitante. E ancora Vincenzo, quando il boss traslocò nell’ultimo covo, custodì nel suo garage la vecchia cucina di Messina Denaro. E fu lui a prestare al padre il furgone che faceva da scorta a Messina Denaro mentre scorrazzava per le vie del paese. La famiglia, dunque, era a totale servizio dell’ultimo stragista di Cosa nostra. E non solo per affetto. Messina Denaro versava periodicamente a Giovanni Luppino e ai suoi figli somme di denaro. I Luppino nel loro paese, Campobello di Mazara, hanno il soprannome di Mustusi (il nonno produceva vino e mosto) e il capomafia, negli appunti in cui annotava le spese, scrive Mustang, nome in codice, secondo gli inquirenti, usato in assonanza col soprannome, proprio per indicare la famiglia. Nei diari il padrino segna i soldi spesi per i fiori acquistati dopo la morte della moglie di Giovanni Luppino e per diverse cene e pranzi fatti in occasioni di compleanni dei figli coi quali evidentemente faceva abitualmente vita sociale.

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Cronache

Toghe pronte a nuova bufera. Nordio: non critichino leggi

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Alla vigilia del pronunciamento dei giudici sul trattenimento dei migranti in Albania, su cui ora grava il decreto ‘Paesi sicuri’, il clima è già incandescente. Al convegno nella capitale sui 60 anni di Magistratura Democratica le toghe si preparano all’ennesimo polverone politico, prevedendo sentenze simili a quelle dello scorso 18 ottobre, che bocciarono il trattenimento dei primi dodici migranti portati nel centro italiano in Albania. “Una nuova bufera? Ne parleremo domani. Credo che quanto successo finora sia già molto grave e problematico”, dice rompendo il suo silenzio stampa la presidente di Md, Silvia Albano, giudice della sezione immigrazione del tribunale di Roma.

Si tratta della stessa magistrata che non ha convalidato il trattenimento di uno dei primi dodici migranti nel cpr di Gjader, per la quale – solo qualche giorno dopo – è stata disposta una vigilanza per le minacce giunte sulla sua mail e sui social. “Sono stata scelta io come parafulmine perché era molto comodo. Abbiamo subito una campagna che nei fatti si è tradotta in un’intimidazione”, si sfoga Albano, che precisa: “Non ho nessuna intenzione di andare allo scontro con il governo, è il governo che vuole fare uno scontro con me e io voglio sottrarmi. In tasca non abbiamo il libretto di Mao nè il Capitale di Marx, ma la Costituzione”, prosegue la magistrata rimandando al mittente le critiche del vicepremier Matteo Salvini sulle toghe rosse.

Tutta l’Anm ora teme “che possa reinnescarsi una polemica che non giova a nessuno”, tanto da confidare “che ciò che è stato scritto nei provvedimenti già emersi possa essere letto, compreso. Si può dissentire o meno, la parola la diranno la Corte di Cassazione (il 4 dicembre si esprimerà sulla mancate convalide di trattenimento del 18 ottobre, ndr) e quella di Giustizia ma non c’è nessuna volontà di politicizzazione”, ribadisce il leader del sindacato Giuseppe Santalucia. Di fronte alle toghe progressiste, in videocollegamento con la sala del Campidoglio dove si svolge l’evento di Md, Nordio propone uno scambio per favorire il dialogo: “Mi auguro che nel confronto futuro ci sia sempre meno una critica della magistratura al merito politico delle leggi in Parlamento e un abbassamento di toni da parte della politica a criticare le sentenze”, dice il Guardasigilli.

Ma questo dialogo con il governo secondo Albano deve tradursi nel coinvolgimento degli esperti su proposte di legge piuttosto che procedere a colpi di decreto: “Ci sono delle sedi dove è possibile farlo, così magari queste frizioni con la Costituzione rispetto al diritto europeo non ci sarebbero. È previsto dai regolamenti parlamentari che i magistrati vengano auditi. Se si ascoltasse il parere dei giuristi, forse verrebbe fuori un prodotto qualitativamente migliore dal punto di vista dei rapporti con gli ordinamenti che hanno un valore di fonte sovranazionale: è sempre stato così nel passato”. Ma per l’Anm il clima è “persino peggiorato” rispetto agli attacchi che arrivavano durante i governi Berlusconi.

“Prima – dice Santalucia – erano i pubblici ministeri le toghe rosse, che ora invece sono dappertutto, anche nei tribunali civili che si occupano di immigrazione. Una cosa è la critica e un’altra cosa è la rappresentazione di un potere che diventa arbitrario ed eversivo. Tutto questo è inaccettabile”. Nell’Esecutivo però un avvertimento arriva anche dal vice ministro della Giustizia: “È giusto criticare le leggi, ma non bisogna interferire con i percorsi formativi delle leggi” e le fonti del diritto “sanciscono che non ci si debba pronunciare anticipatamente su ciò che deve poi essere oggetto di giudizio”, dice Francesco Paolo Sisto, anche protagonista al convegno di un botta e risposta con il sostituto procuratore della Cassazione Marco Patarnello, il magistrato che lo scorso 19 ottobre inviò una mail nella piattaforma dell’Anm diventata un caso politico e criticamente rilanciata anche dalla premier Meloni.

Mentre dal palco il viceministro affrontava il tema della riforma della separazione delle carriere, dalla platea del convegno Patarnello ha chiesto: “Non temete che in questo modo il pubblico ministero avrà troppo potere?”. E Sisto: “Non lo temiamo, perché con la riforma, se il pm avrà un potere cinque volte superiore, il giudice lo avrà dieci volte superiore”.

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Domani giudici si pronunciano sui migranti in Albania

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Sei giudici della sezione immigrazione del tribunale monocratico di Roma si riuniranno domani per pronunciarsi sulle ordinanze di trattenimento dei sette migranti albanesi nel centro italiano in Albania (nella foto in evidenza di Imagoeconomica) di permanenza per il rimpatrio. Alcune settimane fa i magistrati si erano espressi – facendo riferimento a una sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre – con l’annullamento del trattenimento di dodici migranti, tra egiziani e albanesi, che sono quindi stati portati al Cara di Bari. Nelle prossime ore ci saranno altri provvedimenti, ma stavolta alla luce del nuovo decreto legge che aggiorna la lista dei Paesi di provenienza dei migranti che sono ritenuti Sicuri dall’Italia.

Nel cpr in Albania sono stati portati due giorni fa sette nuovi richiedenti asilo: uno degli otto selezionati per la procedura accelerata di frontiera – tre egiziani e cinque bengalesi – si era scoperto essere vulnerabile per problemi sanitari durante lo screening medico ed è stato portato in Italia. “Il provvedimento di domani, nel quale io non sono coinvolta, è un provvedimento monocratico – ha spiegato la presidente di Magistratura Democratica, Silvia Albano, giudice della sezione immigrazione del tribunale di Roma, la quale non ha convalidato il trattenimento di uno dei primi dodici migranti in Albania. “La sezione immigrazione del tribunale di Roma – annuncia – si è già riunita e c’è un verbale, ci sono delle questioni giuridiche importanti da affrontare e non sono posizioni dei singoli magistrati. Sono discussioni giuridiche che noi facciamo ma non solo su questo. Lo facciamo sempre quando entra in vigore una nuova normativa perché la dobbiamo analizzare e dobbiamo capire come questa nuova normativa si rapporta al diritto e sovranazionale”.

Parlando di questo tipo di provvedimenti in generale, Albano ha anche spiegato: “Se noi pensiamo che ci siano elementi di frizione tra la Costituzione o tra il diritto dell’Unione e certe norme, abbiamo l’obbligo o di sollevare la questione di costituzionalità o di disapplicare o di mandare alla Corte di giustizia. E questo è un obbligo rispetto alla Corte di giustizia previsto dai trattati”. Nelle precedenti ordinanze sulla mancata convalida del trattenimento, quelle risalenti allo scorso 18 ottobre, i giudici scrissero che “i due Paesi da cui provengono i migranti, Bangladesh ed Egitto, non sono sicuri, anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia”.

Per i giudici lo stato di libertà potrà essere riacquisito solo in Italia e per questo dovranno essere riaccompagnati nel nostro paese. Solo qualche giorno dopo, il 21 ottobre, in Cdm il governo ha poi approvato il decreto in cui ha deciso di affidare la lista dei Paesi sicuri ad una norma primaria – ovvero una regola che il giudice dovrà obbligatoriamente prendere in considerazione nelle sue valutazioni – cercando di blindare la sua posizione di fronte alle norme del diritto europeo, che fino ad ora hanno prevalso pesando sulle decisioni dei giudici.

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Uccisa nel 2022, il fratello indagato per l’omicidio

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Dopo più di due anni dall’omicidio di Giuseppina Arena, la donna di 52 anni di Chivasso, nel Torinese, freddata a colpi di pistola il giorno del suo compleanno, è arrivata una prima svolta nelle indagini. I carabinieri hanno effettuato una perquisizione a Montanaro, nella casa del fratello Angelo e il suo è il primo e, per ora, unico nome iscritto nel registro degli indagati per l’omicidio. Si tratta di un’iscrizione ‘tecnica’ che darà modo agli investigatori di procedere con alcuni accertamenti che, fino a questo momento, non avevano potuto effettuare. Nei suoi confronti, comunque, non è stato adottato alcun tipo di provvedimento ed è a piede libero.

L’omicidio di Giuseppina Arena risale al 12 ottobre 2022. La donna venne uccisa mentre tornava a casa in bici con tre colpi di pistola, due dei quali la colpirono alla fronte e uno alla guancia, in frazione Pratoregio, sotto un ponte dell’alta velocità ferroviaria. Accanto al corpo vennero ritrovati i bossoli dei proiettili calibro 7,65. L’assassino l’aspettava sulla via, in mezzo alla campagna che collega Montanaro a Chivasso. Una strada che la donna era solita percorrere quasi tutti i giorni per tornare a casa, in via Togliatti, dove abitava in un alloggio di edilizia popolare, con due cani e quindici gatti. In tanti conoscevano la 52enne, che era solita cantare della sua vita, di oscuri inganni subiti e di presunti figli portati via subito dopo la loro nascita.

Da qui il soprannome di ‘Giusy la cantante’, com’era nota a chi la incontrava sempre in sella alla sua bici, su e giù per le strade della zona. Una persona che veniva descritta come buona, ma dall’animo tormentato, seguita anche dai servizi sociali. Il nome di Angelo Arena era stato associato al delitto già nelle prime fasi dell’inchiesta, a fronte di presunti dissapori per l’eredità lasciata dalla madre ai due fratelli. Si parlò di circa 120mila euro. L’uomo venne anche sottoposto alla prova dello stub, ma gli accertamenti non rilevarono alcuna traccia di polvere da sparo sul suo corpo o sui vestiti. Lui stesso smentì di aver mai avuto problemi con la sorella per questioni economiche.

Attraverso i social, proprio pochi giorni fa, Angelo Arena aveva lanciato un appello per chiedere giustizia per Giusy. La perquisizione e l’iscrizione nel registro degli indagati segue i rilievi che lo scorso mese di marzo hanno effettuato i carabinieri del nucleo investigativo. I militari dell’Arma erano infatti tornati in via Togliatti per un ulteriore sopralluogo nella casa della donna, al quale erano poi seguiti gli interrogatori in caserma di tre vicini, come persone informate sui fatti.

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