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Mes e Recovery fund, dissidenti del M5S e Renzi mettono Conte all’angolo

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Chi nella maggioranza ha ancora in mente quel 20 agosto in cui, in Aula al Senato, si fronteggiarono Matteo Salvini e Giuseppe Conte, e’ pronto a scommettere che, qualcosa del genere, potrebbe avvenire perfino domani, nel D-Day del governo giallorosa. La crisi dell’esecutivo e’ quasi impossibile anche perche’, sulla risoluzione di maggioranza sulla riforma Mes, un’intesa e’ stata trovata e la fronda M5S in gran parte rientrata. Ma e’ sul Recovery Plan che la sfida tra Iv e il premier e’ totale. Renzi non vuole, in nessun modo, la task force tecnica pensata da Palazzo Chigi per la gestione dei progetti. Conte ha abdicato dall’idea di inserire la cabina di regia in manovra ed e’ pronto a ulteriore modifiche, ma per ora resta silente. Anche perche’, secondo quanto raccontano fonti di maggioranza, il premier e’ a dir poco irritato dall’ultima offensiva renziana. E c’e’ chi, tra quelli che hanno una certa dimestichezza con il premier, arriva a dire che ormai e’ chiaro come il vero obiettivo di Renzi sia solo uno: Conte stesso. Il redde rationem finale non dovrebbe avere luogo domani. Ma, una volta archiviata la legge di bilancio, il governo navighera’ davvero a vista. Rimpasto, Conte-ter, crisi di governo vera e propria: tutto potrebbe essere possibile allora. Nel frattempo, la vigilia del suo discorso in Aula in vista del cruciale Consiglio Ue sul Recovry Fund, Conte la passa al lavoro, lontano dai riflettori. Bombardato ciclicamente prima da Maria Elena Boschi, poi da Matteo Renzi all’evento organizzato da Eureka, poi ancora da Boschi. “La struttura di Conte pensa a moltiplicare le poltrone. Per noi un ideale vale di piu’. Sul rischio di una rottura spero di no ma temo di si”, sottolinea l’ex premier. E ai suoi Renzi in privato – a quanto si apprende da fonti parlamentari – avrebbe ribadito il messaggio: il gioco “al lupo, al lupo” e’ finito, domani si fa sul serio. Con una chiave con cui Iv potrebbe far saltare il banco: l’attivazione del Mes sanitario. In Italia Viva assicurano che, se nel suo discorso Conte fara’ cenno alla sua volonta’ di non accedere al fondo, il voto dei renziani alle comunicazioni del premier mancherebbe. Nulla trapela in queste ore del discorso del premier. Che, presumibilmente, applaudira’ invece all’accordo trovato in maggioranza sulla risoluzione nel pomeriggio. Risoluzione che autorizza Conte a firmare la riforma, spiegando, al tempo stesso, che il negoziato non puo’ considerarsi concluso: va rispettata la cosiddetta logica del pacchetto e va profondamente modificato il Patto di stabilita’ e crescita, con l’introduzione del sistema europeo di assicurazione dei depositi. Su questo testo la fronda dei descamisados sembra rientrare. Barbara Lezzi, in mattinata, annuncia “il punto di caduta”. Pino Cabras attacca Pd e Iv dicendo che a “ricattare” Conte non sono gli ortodossi M5S. In serata, all’assemblea dei senatori del Movimento, Stefano Patuanelli scandisce: “mi aspetto un voto compatto”. Qualche defezione ci sara’ ma, come spiega anche il capogruppo Pd Andrea Ma rcucci, al Senato “la maggioranza ci sara’”. Un aiutino, peraltro, potrebbe venire anche dall’opposizione piu’ moderata. Qualche azzurro magari, mentre i membri dell’Udc dovrebbero votare si’. Di certo, anche Lega e Fdi assistono con inusuale discrezione allo scontro tra Iv e Conte. Governo e Parlamento sembrano affondare in un clima di sospensione mentre nel Pd il capo delegazione Dario Franceschini sembra dare una sponda a Conte: “il preconsiglio notturno ha fatto un lavoro positivo e collegiale per migliorare le norme sulla struttura di governance del Recovery plan, in linea con quello che l’Europa ci chiede”, spiega il ministro Dem. “Abbassare i toni, coinvolgere e includere”, e’ la linea del Nazareno esplicata da Andrea Orlando. “Il confronto c’e’, ora responsabilita’”, gli fa eco il capo delegazione M5S Alfonso Bonafede mentre Vito Crimi stoppa subito l’idea di una Bicamerale, caldeggiata da Renzi e Antonio Tajani. Domani sera, nel probabile Cdm, l’ok ci sara’ solo sul Recovery Plan, che Conte vuole portare a Bruxelles. Il dl sulla task force, al momento, e’ accantonato. E forse solo una profonda modifica con l’inserimento di un ministro IV potrebbe sbloccarlo.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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