Una copertina rossa a proteggere il documento, una stretta di mano a quattro a suggellare un accordo che, fino a poche ore prima, non era scontato. Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni e Mark Rutte hanno strappato il sì del presidente Kais Saied al Memorandum d’intesa con l’Ue, imprimendo così una svolta alle politiche della dimensione esterna della migrazione e facendo da apripista ad altri possibili accordi. Il Memorandum “è un modello di partenariato” con i Paesi del Nordafrica, ha esultato la presidente del Consiglio italiana. Lo schema del Memorandum segue quello della dichiarazione congiunta siglata lo scorso 11 giugno. In mezzo, tuttavia, Bruxelles ha dovuto fare i conti con i coup-de-theatre a cui è avvezzo Saied.
La firma, attesa entro la fine di giugno, non era mai arrivata. E’ stata necessaria una nuova missione del Team Europe, composto da von der Leyen, Meloni e Rutte, per convincere Saied. Anche questa volta, al loro incontro non è seguita alcuna conferenza stampa. Nel palazzo presidenziale di Cartagine, in un pomeriggio da 40 gradi all’ombra, i tre leader europei si sono limitati a delle dichiarazioni congiunte ad una sala priva di cronisti ma, novità dell’ultim’ora, questa volta ad accompagnarli è stato lo stesso Saied. I cinque pilastri del Memorandum – assistenza macrofinanziaria, relazioni economiche, cooperazione energetica, migrazione, contatti tra le persone – ricalcano la strategia della Commissione: quella di accordi a tutto tondo, che accompagnino alla cooperazione sul contrasto ai trafficanti una forte accelerazione nei rapporti economici e nelle politiche di approvvigionamento di energia sostenibile. L’accordo “è un investimento nella nostra prosperità condivisa, nella stabilità e nelle generazioni future”, è stato il commento della presidente della Commissione.
Certo, Bruxelles ha ribadito che, oltre ai 150 milioni di euro di fondi per sostenere il disastrato bilancio tunisino, per ora non arriverà nulla in più. I restanti 900 milioni verranno erogati “quando ci saranno le condizioni”, ha spiegato von der Leyen ribadendo, allo stesso tempo, l’urgenza, “oggi più che mai, di un’efficace cooperazione sulla migrazione”. Arrivata direttamente da Pompei, Meloni ha sottolineato il ruolo dell’Italia nel raggiungere “un obiettivo molto importante”, che permette “di affrontare in maniera integrata” il dossier migranti. Con una priorità, cara alla premier: quella di impedire le partenze prima ancora di ottenere una re-distribuzione obbligatoria di chi sbarca. L’accordo “era impensabile fino a qualche mese fa, lo dico con orgoglio ma anche con gratitudine nei confronti della Commissione”, ha sottolineato Meloni annunciando, per domenica 23 luglio a Roma, una conferenza internazionale sulla migrazione alla presenza di diversi capi di Stato e di governo mediterranei. Saied, per il contrasto ai trafficanti, l’attività Sar e la gestione delle frontiere Sud, per il momento non ha ottenuto più dei 105 milioni annunciati dall’Ue in giugno.
Ma, per il presidente tunisino, il Memorandum può segnare l’inizio di una collaborazione fuori dai binari del Fondo Monetario Internazionale: i rapporti con il Fondo (“un regime che divide il mondo in due metà: una metà per i ricchi e una per i poveri”, ha tuonato il presidente tunisino) restano burrascosi e il prestito da 1,9 miliardi è lontano dall’essere erogato. Con la firma, Saied ha però incassato la fiducia dell’Ue nonostante il rebus del rispetto dei diritti dei migranti. Von der Leyen ne ha ribadito la necessità. Ma il tunisino ha replicato con la sua versione dei fatti: “Dalle Ong arrivano fake news con l’obiettivo di danneggiare la Tunisia e il suo popolo”, ha scandito. Ora, ad essere convinti, dovranno essere i 27 Paesi chiamati a dare via libera all’intesa. “Sono fiducioso in un ampio supporto”, ha sottolineato Rutte. Ma con Ungheria e Polonia in trincea sul dossier migranti, il cammino della ratifica non sarà semplicissimo.
E’ un appello accorato quello che arriva dall’Egitto dalla madre di Elanain Sharif, quarantaquattrenne nato in quel Paese ma cittadino italiano, fermato al suo arrivo in aeroporto al Cairo. “Sono molto preoccupata perché mio figlio sta male. Aiutatemi, lui ha bisogno di me e io di lui. Non so cosa fare” ha detto la donna con un audio diffuso tramite il legale che l’assiste, l’avvocato Alessandro Russo. E proprio per accertate le condizioni in cui è detenuto, le autorità italiane hanno già chiesto a quelle egiziane di poter effettuare una visita in carcere, alla quale dovrebbe partecipare anche la donna, e sono in attesa di una risposta. Sharif è accusato di produzione e diffusione di materiale pornografico.
Si tratta di reato, secondo la normativa egiziana, punibile con una pena da 6 mesi a tre anni. Il capo di imputazione è stato comunicato dal Procuratore egiziano al legale del 44enne e in base al codice penale egiziano, un qualunque cittadino di quel paese che commette un reato, anche fuori dall’Egitto, può essere perseguito. Un principio giuridico analogo a quello previsto dal nostro ordinamento. L’ex attore porno è stato già ascoltato dal procuratore che ha convalidato il fermo per 14 giorni, disponendo che il caso sia nuovamente riesaminato il 26 novembre. Le Autorità egiziane stanno infatti attendendo il risultato della perizia tecnica sul materiale presente online. Dopo il fermo all’aeroporto, il 9 novembre, l’uomo si trova ora nel carcere di Giza. “E’ stato messo in carcere appena siamo arrivati in aeroporto” ha detto ancora la madre di Sharif dall’Egitto.
“Non posso sapere come sta – ha aggiunto – perché non riesco a parlarci e sono molto preoccupata”. Sono in particolare le sue condizioni di salute a preoccuparla perché, ha spiegato, “mio figlio ha subito tre interventi alla schiena, l’ultimo 30 giorni fa a Londra”. Dal giorno in cui è stato bloccato la madre ha incontrato un paio di volte il figlio. “La prima – ha detto il legale – il giorno dopo a quello in cui era stato preso in consegna dalle autorità, in carcere al Cairo e poi dopo cinque o sei giorni trasferito dove è ora e l’ha visto sempre per un paio di minuti”. Sharif e la madre erano atterrati al Cairo provenienti dall’Umbria. Vive, infatti, da alcuni anni a Terni mentre la madre è residente a Foligno ed è sposata con un italiano.
“In aeroporto è stato tenuto a lungo negli uffici della polizia e poi la madre lo ha visto uscire con le manette ai polsi – aveva ricordato ieri il legale – Le procedure di arresto sono state fatte utilizzando solo il passaporto egiziano, quello dell’Italia gli è stato restituito alcuni giorni dopo”. L’avvocato Russo ha poi spiegato che la madre si trova ancora in Egitto “assieme al fratello, che lavora nella polizia egiziana, e spera di avere notizie di un suo rilascio”. Con la donna, e con gli avvocati italiano ed egiziano e le autorità del Cairo, sono in contatto fin dall’inizio della vicenda sia l’ambasciata italiana sia la Farnesina.
La Corte suprema ha raggiunto la maggioranza dei giudici per rigettare gli appelli e mantenere in carcere l’ex calciatore Robinho. L’atleta è detenuto in Brasile dal 22 marzo e sta scontando una condanna a nove anni per uno stupro di gruppo commesso in Italia nel 2013. Finora sei giudici hanno votato per respingere la richiesta di scarcerazione di Robinho. Si tratta del relatore del caso Luiz Fux, oltre ai giudici Edson Fachin, Luís Roberto Barroso, Cristiano Zanin, Cármen Lúcia e Alexandre de Moraes. Solo Gilmar Mendes ha votato a favore. Il processo si conclude il 26 novembre.
I consiglieri tecnici delle forze armate nordcoreane sono arrivati nella città portuale ucraina di Mariupol, occupata dalla Russia nel sud, e nella regione di Kharkiv. A Mariupol le unità di Pyongyang restano distaccate da quelle russe che stanno supportando, mentre a Kharkiv “si stanno dividendo in unità radunando piccoli gruppi in prima linea”. Le indicazioni arrivano da vertici militari ucraini e citano intercettazioni radio che sembrano confermare il coinvolgimento in battaglia dei soldati di Kim Jong-un al fianco delle truppe di Vladimir Putin. Da Kiev si ricorda che sul terreno l’avanzata rivendicata da Mosca è limitata mentre nella regione russa di Kursk i militari ucraini sono determinati a restare. In una regione dove sono circa 11.000 le truppe nordcoreane dispiegate per affiancare l’esercito russo dopo l’occupazione di alcune zone da parte degli ucraini e dove l’esercito di Kiev è determinato a rimanere fino a quando sarà necessario. O meglio, “fino a quando avrà un senso”.
Fonti dello stato maggiore ucraino spostano così il focus del braccio di ferro militare con Mosca tenendo il punto su quel campo di battaglia diventato emblematico della guerra che sul terreno ormai da mesi si combatte cedendo e guadagnando pochi metri al giorno, pur sotto la minaccia adesso dei missili ipersonici russi la cui eco allarma ben oltre i confini ucraini.
Al momento le forze ucraine controllano ancora “circa 800 kmq” nella regione di Kursk, specificano i militari: “Il territorio massimo che abbiamo occupato nella regione era di 1.376 kmq, oggi è di circa 800 kmq”, sottolineano, come a dimostrazione della resilienza, sul terreno appunto.
Così mentre Mosca annuncia di aver conquistato un altro villaggio nella regione orientale ucraina di Donetsk – quello di Novodmytryvka, nell’area della città di Khurakovo e che fa salire a cinque, sempre secondo Mosca, gli insediamenti occupati dai russi nella regione nell’ultima settimana – i vertici militari ucraini tentano di ridimensionare, affermando per esempio che nel settore di Pokrovsk, polo logistico della stessa regione, la situazione “praticamente non è cambiata negli ultimi due mesi”. In generale, sempre secondo lo stato maggiore di Kiev, le truppe russe stanno avanzando di “200-300 metri al giorno” vicino alla cittadina industriale di Kurakhovo, uno dei punti più caldi della regione.
E anche sulla minaccia missilistica l’Ucraina tenta di ridimensionare l’allarme: secondo le fonti militari, la Russia ha soltanto un “numero limitato” di missili balistici ipersonici Oreshnik, quello cioè utilizzato ieri da Mosca nell’attacco contro Dnipro e che ha fatto parlare di rischio “guerra globale”. Ma Vladimir Putin risponde a stretto giro, affermando di averne ordinato la “produzione in serie”.
“Nessun sistema al mondo è capace di intercettarlo”, ha assicurato lo zar. Oggi il Parlamento ucraino ha chiuso per timori di attacchi nel cuore della capitale. La Rada ha fatto sapere di aver “annullato” la seduta a causa di “segnali di un rischio crescente di attacchi contro il quartiere governativo nei prossimi giorni”, hanno spiegato diversi deputati all’Afp. Il quartiere nel centro di Kiev, dove si trovano anche la presidenza, la sede del governo e la Banca centrale, è stato finora risparmiato dai bombardamenti. Ma ormai non si dà più nulla per scontato.