Si trova per un’ora faccia a faccia con Abdel Fattah El-Sisi in un bilaterale ufficiale in Egitto. Oltre a lei solo Giuseppe Conte, negli ultimi anni, da quando Giulio Regeni è stato rapito, torturato e ucciso. Giorgia Meloni arriva a Sharm el Sheikh per portare la posizione dell’Italia sulla lotta al cambiamento climatico, ma la cornice della Cop27, il suo esordio sulla scena mondiale, è l’occasione per mettere sul tavolo tutti i temi dell’agenda internazionale, dalla risposta “all’aggressione russa” all’Ucraina alla cooperazione energetica da rafforzare con tutti i partner, a partire proprio dall’Egitto.
Sul tavolo, accanto al gas, c’è il caso ancora irrisolto del ricercatore triestino, così come quello di Patrick Zachi. Due questioni su cui in Italia c’è “la massima attenzione” mette in chiaro la premier e su cui l’Egitto si dice pronto a “collaborare”, come ha fatto molte volte in passato senza arrivare, però, a quella “verità e giustizia” che, almeno formalmente, anche Il Cairo dice di volere. Con il presidente egiziano si ferma più di un’ora. Le questioni sono molteplici, i rapporti tra i due paesi ai minimi proprio per il mancato rispetto, da parte del Cairo, dei diritti umani. Anche se le relazioni commerciali non sono mai venute meno, compresa la collaborazione in campo energetico.
Le diplomazie lavorano a lungo per preparare l’incontro. Quella italiana con discrezione, quella egiziana pronta a raccontare passo passo ogni dettaglio. Già da due giorni fonti egiziane davano per scontato il faccia a faccia, confermato con una nota stringata, dopo il Cairo e solo a cose fatte, da Palazzo Chigi. Il bilaterale si svolge nella cittadella della Conferenza sul clima, dopo una visita lampo della premier al Padiglione Italia. Lì c’è anche Stefano Boeri, che presenta il suo progetto di bosco verticale per i paesi con clima arido (pensato intanto per Dubai). E poco dopo Cdp presenterà il Fondo italiano per il clima, lo gestisce insieme al ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, 840 milioni l’anno fino al 2026, poi 40 milioni l’anno, con cui l’Italia, rivendica Meloni nel suo intervento in plenaria, “triplica” gli sforzi per il clima.
Ma il contrasto all’aumento delle temperature, soprattutto per i paesi in via di sviluppo – su cui comunque l’Italia conferma il suo impegno, anche alla decarbonizzazione, guardando però a una “transizione giusta” che non lasci “indietro nessuno” e che coniughi sostenibilità ambientale, economica e sociale – passa un po’ in secondo piano vista la fitta agenda della premier. La girandola di incontri si apre la mattina con il presidente israeliano Isaac Herzog, con cui pone l’accento sull’impegno comune contro l’antisemitismo.
Prosegue con il primo ministro Etiope, Abiy Ahmed, con il quale sottolinea l’importanza della stabilità nel Corno d’Africa e spinge la collaborazione sull’energia. Prosegue con il primo ministro inglese Rishi Sunak. I due leader discutono sulla necessità di una “risposta unitaria” sull’Ucraina e sulla necessità di rafforzare il legame transatlantico. Gli strumenti per frenare la crisi energetica occupano quasi tutti i colloqui, compreso quello con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, insieme al quale affronta anche il delicato tema della gestione dei migranti, mentre è ancora in corso il braccio di ferro con le navi Ong che chiedono di sbarcare tutti i passeggeri in Sicilia (non solo i “fragili” e non si risolve la querelle sulle richieste di asilo).
Nel pomeriggio la premier incontra anche il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, e il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, diventato il primo paese per forniture di gas all’Italia dallo scoppio della guerra in Ucraina. Anche con l’Egitto, come ha ricordato il portavoce di Al Sisi, l’Italia ha intensificato “la cooperazione congiunta nel dossier della sicurezza energetica” grazie alla “partnership con l’Eni”, che giusto a metà aprile di quest’anno ha siglato un nuovo accordo per 3 miliardi di metri cubi di Gnl egiziano aggiuntivo, non senza sollevare polemica politica – che riparte anche oggi – proprio per le implicazioni del caso Regeni.
Ma la realpolitik impone di correre per rendersi indipendenti dal gas russo. E non a caso l’approvvigionamento energetico è uno dei punti su cui pone l’accento Palazzo Chigi, insieme a clima e migranti. E al “rispetto dei diritti umani”.
La riforma della giustizia torna al centro del dibattito con il nuovo decreto che il governo si appresta a varare lunedì prossimo in Consiglio dei Ministri. Tra le novità principali, spiccano due misure destinate a far discutere: l’introduzione di sanzioni per i magistrati che non rispettano il dovere di astensione in casi di conflitto di interesse e una stretta sui reati informatici e sul dossieraggio illegale.
Sanzioni per le toghe politicizzate
Il decreto introduce una nuova norma che obbliga i magistrati a astenersi dal giudicare su questioni rispetto alle quali si sono già espressi pubblicamente attraverso editoriali, convegni o social network. In caso di violazione, il Consiglio Superiore della Magistratura potrà adottare sanzioni che vanno dall’ammonimento alla censura, fino alla sospensione.
Secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, questa norma intende tutelare il principio di imparzialità della magistratura, un obiettivo che la maggioranza considera fondamentale per garantire l’equilibrio tra i poteri dello Stato.
La misura ha già suscitato polemiche tra le toghe e riacceso il dibattito sulla presunta politicizzazione della magistratura. L’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha espresso preoccupazione per quella che definisce un’“invasione di campo” da parte del governo.
La questione delle migrazioni e il caso Silvia Albano
La norma sulle toghe politicizzate sembra trarre origine da recenti tensioni tra il governo e alcune sezioni della magistratura, in particolare sui temi legati all’immigrazione. Emblematico il caso della giudice Silvia Albano, che aveva criticato l’accordo tra Italia e Albania sui migranti, trovandosi poi a giudicare direttamente su questa materia.
Albano, presidente di Magistratura Democratica, è stata bersaglio di critiche da parte della maggioranza per la sua posizione pubblica contro il “decreto Paesi sicuri”. La sua decisione di non convalidare il trattenimento di 12 migranti nel centro italiano in Albania ha sollevato ulteriori tensioni.
Stretta sui reati informatici e dossieraggi
Il decreto affronta anche il problema dei reati informatici, introducendo nuove misure per contrastare l’accesso abusivo ai database pubblici. Tra le novità principali:
Arresto in flagranza per chi viola sistemi informatici di interesse pubblico, militare o legati alla sicurezza nazionale.
Trasferimento delle indagini sui reati di estorsione tramite mezzi informatici alla procura Antimafia, guidata da Giovanni Melillo.
Queste misure arrivano in risposta a recenti scandali legati al dossieraggio illegale, come l’indagine della DDA di Milano sulla “centrale degli spioni” che trafugava dati sensibili da banche dati governative, coinvolgendo figure politiche di primo piano come la premier Giorgia Meloni.
Un antipasto per la riforma delle carriere
Questo decreto rappresenta solo l’inizio di un più ampio progetto di riforma delle carriere di giudici e pm che il governo sta portando avanti in Parlamento. La maggioranza intende ridefinire i rapporti tra i poteri dello Stato, nonostante le inevitabili polemiche con la magistratura.
Secondo il ministro Nordio, l’obiettivo è garantire un sistema giudiziario più equo e trasparente, ma l’ANM e altre voci critiche temono che queste misure possano indebolire l’autonomia delle toghe.
Un Natale caldissimo per la giustizia italiana
Le nuove norme, che toccano temi delicati come la gestione dell’immigrazione, i reati informatici e l’imparzialità dei magistrati, promettono di accendere il dibattito politico e giudiziario. Il governo va avanti, ma il confronto con le toghe e le associazioni di categoria si preannuncia acceso.
La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.
Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.
“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.
E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.
“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).
“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.
Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.
Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.