I dossieraggi sono “uno schifo che deve finire”. Ma, ancora peggio dell’intrusione nelle banche dati, sono i “funzionari infedeli” che le dovrebbero proteggere. Giorgia Meloni, di fronte a quanto sta emergendo con le inchieste di Milano “e ora forse anche di Roma”, assicura che il governo sarà “implacabile” non solo con chi si presta alla compravendita di dati che era iniziata “da tempo”, ma anche con chi ha la responsabilità del “controllo”.
Contromisure già erano state prese, ricorda la premier da Bruno Vespa, prima a Cinque minuti e poi a Porta a Porta, con un primo decreto legge cui seguiranno “altre iniziative”, sulle quali è al lavoro “un tavolo tecnico ad hoc”. Si continuano a vedere, fa l’elenco la presidente del Consiglio, “casi di ogni genere”, dal “finanziere distaccato alla Direzione Nazionale Antimafia che faceva decine di migliaia di accessi, che dossierava tutti i politici di centrodestra che si pensava potessero andare al governo”, cioè Pasquale Striano, “poi c’è stato il caso del dipendente della banca che entrava nei conti correnti, tutti quelli della mia famiglia ovviamente”.
Ora queste nuove inchieste mettono in luce la situazione “inaccettabile”, non solo del “funzionario che anziché proteggere viola le banche dati”, ma altrettanto del “superiore non si accorge che vengono fatte centinaia di migliaia di accessi abusivi”. Mettere un freno è una “priorità” per la premier, tanto quanto combattere l’immigrazione illegale nonostante le argomentazioni “da volantino propagandistico” del Tribunale di Bologna, che ha rinviato il decreto legge sui Paesi sicuri alla Corte di Giustizia europea per chiedere quale sia il parametro su cui individuarli.
“L’argomento della Germania nazista è efficace sul piano della propaganda, sul piano giuridico è più debole”, dice la premier, che cita anche il “surreale pronunciamento del Consiglio d’Europa” sul razzismo presente nelle forze di polizia italiane. Di questo passo, il suo ragionamento provocatorio, “anche l’Italia potrebbe non essere un Paese sicuro” e “la faccio io tra un po’ l’istanza perché anche in Italia abbiamo qualche problema in qualche territorio circoscritto”. Si tratta, “per alcuni” – insiste Meloni – di tentativi di “impedire di fermare l’immigrazione irregolare”.
Ma “sono convinta che la ragione per cui si sta facendo qualsiasi cosa possibile per bloccare il protocollo con l’Albania, è che tutti capiscono che è la chiave di volta per bloccare le migrazioni irregolari”, tanto che “è la prima volta – rivela – che ricevo minacce di morte dagli scafisti”. Galvanizzata dal successo in Liguria (“Siamo 11 a 1 per il centrodestra tra Regionali e elezioni nelle Province autonome”), e pronta ad affrontare referendum “su tutto”, la premier in oltre mezz’ora nel salotto tv torna a difendere la manovra contro cui i sindacati hanno – ironizza – un “piccolissimo pregiudizio”, e respinge le accuse di avere imposto “tagli alla sanità”: le risorse aumentano “di 22 miliardi” rispetto al 2019, rivendica la premier che poi sbaglia però i conti, telefonino alla mano, per dimostrare che anche la spesa pro capite aumenta.
Un’accusa la lancia invece lei a John Elkann, per aver disertato l’audizione in commissione: “Questa mancanza di rispetto verso il Parlamento me la sarei evitata”. Un passaggio, di nuovo, anche su Raffaele Fitto, in attesa del test delle audizioni al Parlamento europeo per la conferma del suo incarico come nuovo Commissario e vicepresidente: “Il Pd – dice la premier – dovrebbe farsi sentire di più” perché “io escludo che la posizione” dei Dem sia quella dei socialisti europei che si dicono “chiaramente contrari al fatto che l’Italia abbia una vicepresidenza”.
Le polemiche sul presunto conflitto di interessi del sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato continuano ad alimentare un acceso dibattito. Il caso è esploso dopo un post su Instagram della segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, che ha puntato il dito contro la doppia veste di Gemmato: da un lato socio di cliniche private e dall’altro sottosegretario alla sanità pubblica. Secondo Schlein, questa duplice posizione sarebbe un chiaro segnale di come il governo stia favorendo la sanità privata a discapito di quella pubblica, con pesanti conseguenze sui cittadini.
Schlein: “È un insulto per i 4,5 milioni di italiani che rinunciano a curarsi”
La leader del PD ha sottolineato come, a suo dire, la destra italiana stia seguendo un “preciso disegno” per indebolire la sanità pubblica. Schlein afferma: “Lo abbiamo sempre detto. La destra non sta smantellando la sanità pubblica per sciatteria, ma per un preciso disegno. E chi ci guadagna? Solo loro, la destra.” In particolare, ha criticato il fatto che una clinica privata, di cui Gemmato sarebbe socio, pubblicizzi tempi d’attesa ridotti per attrarre pazienti, in un contesto in cui 4,5 milioni di italiani hanno già rinunciato alle cure proprio a causa delle lunghe liste d’attesa nel sistema pubblico. Schlein ha infine chiesto le dimissioni di Gemmato, definendo “inaccettabile” il suo ruolo di amministratore pubblico con interessi diretti nella sanità privata.
Gemmato risponde alle accuse: “Nessun conflitto di interessi”
Non si è fatta attendere la risposta del sottosegretario Marcello Gemmato, che ha respinto fermamente le accuse di conflitto d’interessi, pubblicando un post su Facebook. Gemmato ha specificato di possedere solo il 10% delle quote della clinica in questione, senza avere alcuna responsabilità gestionale o, tantomeno, legami diretti con i contenuti pubblicati dal sito della clinica. Ha inoltre dichiarato che il Garante della concorrenza avrebbe già confermato l’assenza di un vero conflitto d’interessi.
Nel suo post, Gemmato ha attaccato duramente la sinistra, descrivendola come “bugiarda e rancorosa”. Secondo il sottosegretario, il problema delle liste d’attesa è il risultato di anni di “mala gestione” della sanità pubblica da parte dei governi di sinistra. Ha ribadito che il governo Meloni, in collaborazione con il ministro della Salute Schillaci, sta lavorando per affrontare questo problema e migliorare l’efficienza della sanità pubblica.
Una manovra “inadeguata”: Cgil e Uil scendono in piazza, di nuovo senza la Cisl, e contro le scelte messe in campo dal governo Meloni. E per chiedere di cambiare la legge di Bilancio tornano a proclamare insieme lo sciopero generale: la data è quella di venerdì 29 novembre. Una decisione che incide con un’ulteriore frattura sul fronte sindacale, cristallizzando posizioni assai diverse, e che riaccende lo scontro con la maggioranza. “Direi che c’è un piccolissimo pregiudizio”, ironizza la premier Giorgia Meloni, che intervistata da Bruno Vespa indica i temi in manovra che ai sindacati dovrebbero piacere e sottolinea che la protesta arriva prima della convocazione prevista per martedì a Palazzo Chigi.
La Lega, poi, non usa mezzi termini e respinge ai mittenti le ragioni della protesta: “Sindacati ridicoli, scioperano contro l’aumento dei redditi”. La mobilitazione potrebbe, al contrario, trovare la sponda dell’opposizione, come già successo più volte, anche nelle ultime piazze. Otto ore di stop e manifestazioni territoriali accompagneranno lo sciopero generale mentre la politica inizia ad immaginare le modifiche alla legge di Bilancio che, per ora, sembrano riguardare le criptovalute e l’introduzione dei rappresentanti della Ragioneria nelle società che ottengono aiuti pubblici.
Arriveranno con gli emendamenti entro l’11 novembre con l’obiettivo di chiudere la manovra prima di Natale. Ma i temi delle modifiche sembrano davvero distanti da quelli dello sciopero generale, il quarto consecutivo di Cgil e Uil contro la manovra: lo avevano fatto a dicembre 2021 quando c’era il governo Draghi, e poi a dicembre 2022 e a novembre 2023 con il governo Meloni. Ora di nuovo a fine novembre. La piattaforma è una sfilza di critiche su fisco, salari e pensioni, sanità, sicurezza sul lavoro. Si chiede di cambiare la manovra che non risolve i problemi del Paese, anzi lo “porta a sbattere”.
Pierpaolo Bombardieri Segretario Generale Uil, Maurizio Landini Segretario Generale Cgil. Foto imagoeconomica
Si dice no ai tagli e si rivendica l’aumento del potere d’acquisto, il finanziamento di sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali. Bisogna prendere “i soldi dove sono”: extraprofitti, rendite e grandi ricchezze, evasione. Non è sufficiente inoltre la conferma del taglio del cuneo fiscale.
“Due sindacati di estrema sinistra scioperano contro l’aumento dello stipendio per 14 milioni di dipendenti fino a 40mila euro di reddito?”, è la replica della Lega. Risponde anche la premier che parla di riduzione del precariato’, aumento dei salari”, taglio del cuneo e soldi sui redditi più bassi, aumento dell’occupazione femminile e di 3,6 miliardi presi dalle banche. E potrebbe non bastare la convocazione a Palazzo Chigi per martedì 5 novembre.
Da lunedì 4 partono le audizioni alla Camera, che si chiudono il 7 con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Una convocazione considerata tardiva e che rischia di essere solo “una informativa”, attaccano ancora Landini e Bombardieri (nella foto imagoeconomica in evidenza) che vedono pochissimi margini di cambiamento e ovviamente – dice il leader Uil – si è pronti a rivedere la decisione dello sciopero se il governo dovesse accettare le proposte. All’opposto il giudizio della Cisl, che con il leader Luigi Sbarra rimarca i punti positivi: gran parte dei 30 miliardi della manovra è concentrata su “interventi coerenti con le nostre richieste”.
Non mancano le scintille con Landini. A farle partire le parole del leader della Cgil: “Se altre organizzazioni pensano che il compito sia dire sempre al governo ‘come sei bravo e bello’, io invece penso che bisogna tutelare gli interessi dei lavoratori”. Parole che “offendono” la Cisl, replica Sbarra, consigliandogli “di rivestire i panni del sindacalista e di smetterla di fare da traino ad un’opposizione politica che non ha bisogno di collateralismi”.
Al Nazareno lo sguardo è tutto sulle Regionali. Mancano poco più di due settimane alla sfida elettorale in Umbria ed Emilia Romagna. E la segretaria Elly Schlein suona la carica: vincere per “tirare insieme” verso il rafforzamento del campo progressista. Dopo che la sconfitta in Liguria ha riattivato ruggini e malumori nel centrosinistra, la leader invita a lasciare da parte polemiche e “inutili competizioni”. Ribadisce lo spirito “testardamente unitario”, cha ha spinto il Pd all’exploit ligure, e insiste: “sia di stimolo per tutti”. Schlein lancia un warning agli alleati, ma ribatte anche alle critiche mosse dall’area riformista del partito. Evidenzia la crescita del consenso del Pd, e a chi contesta un appiattimento sui 5s risponde: “non ci appiattiamo su nessuno, siamo il perno dell’alternativa”.
A chi, come Sala, sottolinea l’importanza del centro per vincere, dice: partiamo dal nucleo con M5s e Avs, “ma per battere le destre bisogna ambire ad allargare”. Dopo le dichiarazioni del day after, i riformisti dem sembrano aver accettato la linea della segretaria: testa bassa sulle Regionali. “Nessuno strappo e nessuna fronda”, spiega qualcuno in Transatlantico. Discussioni e riflessioni interne, dunque, rimandate al termine del forcing elettorale. Ma il faro della minoranza dem, così come quello dei vincitori del congresso, resta puntato sui pentastellati. Dalla minoranza c’è chi torna a ribadire: “i veti di Conte non vanno assecondati”.
Marco Sarracino, componente della segreteria, si rivolge invece direttamente ai partner: “mai più veti del M5s”. La stessa Schlein, senza però chiamare apertamente in causa i 5s, dichiara: “servono alleati solidi”. E tra qualche parlamentare dem, inizia a farsi largo l’ipotesi che il M5s, agitato dalla guerra interna, possa virare dopo la Costituente verso una linea che sottolinei un’alterità rispetto al centrosinistra. In casa 5s, però, così come dalle parti di Avs, i veti su Matteo Renzi non accennano a cadere. Anzi, sembrano rafforzarsi. “La richiesta di alleati stabili – ragiona qualche parlamentare M5s – cozza con chi non ha detto no a Renzi”. Mentre ai vertici del Movimento mettono in guardia sull’usare le difficoltà sui territori dei pentastellati come strumento per forzare la mano sull’allargamento a Iv.
Le scaramucce con Renzi, intanto, continuano. Mentre Angelo Bonelli di Europa Verde conferma che il “no” al leader di Italia Viva in Liguria sia stato giusto. Renzi, ribatte: “basta con i veti, stracciando la nostra lista firmata da Orlando, il centrosinistra ha stracciato la vittoria”. “Curioso che tutti diano la caccia a Conte – ragiona Nicola Fratoianni di Avs – e nessuno guardi alla crisi politica del centro”. Il deputato di Sinistra italiana rilancia l’esigenza di un tavolo per dare stabilità alla coalizione, come già richiesto da Riccardo Magi. Schlein, per ora, non si sbilancia. E insiste sulle battaglie in Parlamento e sui cinque punti lanciati a Reggio Emilia. Nel frattempo, spera che l’invito alla ‘pax’ possa essere accettato dagli alleati. Almeno fino alle urne.