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Meloni: premierato chiude falla, Colle non più supplente

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La scaramanzia, che non le fa spostare l’asticella da quel 26% incassato alle politiche (“sto”). Il refrain “prima le maggioranze poi i nomi”, che ripete ogni volta che le si chiede di prendere una posizione sui prossimi vertici a Bruxelles. E il rebus della vicinanza-distanza da due prime donne sulla scena europea, Ursula von der Leyen da un lato e Marine Le Pen dall’altro. Giorgia Meloni continua nell’equilibrismo tattico alla vigilia del voto per le europee. E in studio al Corriere.it difende l’azione del suo governo, dalla riforma della giustizia appena approvata, che non è una “vendetta” nei confronti dei magistrati, a quella del premierato.

Che chiude “una falla” ed eviterà in futuro al presidente della Repubblica di ricoprire “il ruolo di supplente” nella formazione dei governi, in assenza di maggioranze chiare uscite dalle urne. “La riforma l’ho voluta io” ed è stato proprio per venire incontro alle richieste delle opposizioni che non si sono “toccati i poteri del presidente della Repubblica”, rivendica la premier mentre in Senato si sfiora la rissa in Aula sugli emendamenti. Nessun accenno all’andamento dei lavori parlamentari se non per sottolineare che, anzi, i poteri sono stati pure aumentati con quello di “revoca dei ministri”. Ma rispondendo all’utente che, con domanda inviata via mail, chiede se la riforma non “svilisca le funzioni politiche” del Capo dello Stato, Meloni puntualizza che già ora non figura tra i suoi poteri quello di “scegliere il governo”. Al presidente della Repubblica, argomenta la premier con un certo piglio, spetta “affidare l’incarico” di formare un governo “sulla base delle indicazioni che arrivano dalle forze politiche”.

La “libertà di scegliere il governo”, insiste, “non è prevista dalla Costituzione se non quando le forze politiche non esprimono una maggioranza”. Ecco che allora, prosegue nel ragionamento, il Presidente “è costretto a un ruolo di supplenza per una falla del sistema”. Ruolo che non gli è né “proprio” né “congeniale” perché implica che debba “schierarsi”, “scendere nell’agone della politica”. Un fatto che certo “non aiuta la sua funzione di garanzia”. Ecco che il premierato allora, sintetizza la leader di Fdi, “risolve” questa falla e lascia intatti i poteri di garante della Costituzione dell’inquilino del Colle, che sono anche il “contrappeso”. Peraltro, osserva ancora la premier che prende ampio spazio per sostenere la sua posizione su quella che ha sempre definito la “madre” di tutte le riforme, con il premierato il presidente della Repubblica “mantiene tutti i poteri di controfirma, le indicazioni che manda, tutto quello che vediamo nel dibattito,le volte in cui dice anche ‘questo non si può fare perché non va bene per la Costituzione’ “.

La premier, ribadisce il pensiero già espresso via social di essere “determinata” ad andare avanti senza “timore” di chi la contesta a difesa dello “status quo”. Nessuna esitazione nemmeno quando ribadisce il no italiano a un utilizzo delle armi inviate all’Ucraina in territorio russo (“meglio rafforzare la difesa ucraina”). Non ci sono domande su Gaza, né sulla telefonata con Recep Tayyip Erdogan che ha chiesto all’Italia di riconoscere la Palestina, mentre i lettori online sono interessati alla lotta all’evasione (“per me è tutta intollerabile”, ribadisce la premier dopo il pasticcio sul redditometro) ma anche alle future alleanze in Europa. “Non faccio la cheerleader” scherza la premier che torna anche sullo scontro con Vincenzo De Luca (“mi ha attaccato, mi sono difesa”, “è un bullo”, “prima o poi vorrei sentire anche una parola dalle femministe”) e manda un saluto al leader M5s “ciao Giuseppe”, che la accusa di non rivolgersi mai a lui.

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Esteri

La Francia ha un nuovo governo, Rn e gauche attaccano

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E’ la fine di una lunga attesa. E un (fragile) tentativo di rilancio per la Francia: a due settimane dalla nomina del neo-premier, Michel Barnier, Parigi ha un nuovo governo. Un esecutivo, quello annunciato questa sera, dal segretario generale dell’Eliseo, Alexis Kohler, composto da 39 ministri, tra cui 17 titolari ‘con portafoglio’. Di questi, 7 provengono dal campo macroniano, 3 dai Républicains, 2 indipendenti di destra, 2 centristi del MoDem, 1 indipendente di sinistra, 1 Horizons (il piccolo partito centrista dell’ex premier Edouard Philippe), e 1 del gruppo parlamentare Liot. ”Una squadra, adesso al lavoro”, ha scritto su X Michel Barnier, aggiungendo le bandiere della Francia e dell’Unione europea. Tra le nomine più rilevanti di questo nuovo governo maggiormente orientato a destra rispetto al precedente governo Attal, il ‘falco’ dei Républicains, paladino della lotta all’immigrazione, Bruno Retailleau, al ministero dell’Interno.

Mentre la gauche, tornata in piazza oggi per protestare contro un esecutivo ritenuto ”illegittimo” visti i risultati elettorali torna a minacciare una mozione di sfiducia e il Rassemblement National (Rn) di Marine Le Pen si schiera subito dalla parte dell’opposizione. ”Questo governo non ha futuro”, tuona su X il segretario lepenista, Jordan Bardella, mentre Le Pen parla di un esecutivo di “transizione”, “molto lontano dal desiderio di cambiamento” espresso dai francesi nelle elezioni politiche anticipate del 30 giugno e del 7 luglio. “Continueremo a prepararci per la grande alternanza che invochiamo per consentire alla Francia di rialzarsi”, assicura la leader della Fiamma Tricolore francese nel messaggio pubblicato su X dopo l’annuncio del governo Barnier. Emmanuel Macron riunirà il primo consiglio dei ministri lunedì alle ore 15 ma dinanzi all’ostilità delle opposizioni, dalla gauche fino al Rassemblement National di Marine Le Pen la strada per il nuovo governo è piena di incognite e tutta in salita. Proprio ome i sentieri di montagna tanto amati dal savoiardo ex caponegoziatore Ue per la Brexit, Michel Barnier.

L’arrivo a Place Beauvau di Retailleau, finora capogruppo dei senatori Les Républicains, ha suscitato irritazione anche tra gli stessi macroniani e tra gli alleati centristi del MoDem. Tanto più che si tratta dell’unico ‘peso massimo’ di un esecutivo composto da personalità spesso ignote al grande pubblico e che Barnier non è riuscito, come auspicato inizialmente, ad allargare a componenti della sinistra in rivolta. Altra personalità controversa per le sue posizioni contro le nozze gay, Laurence Garien, inizialmente indicata per il ministero della Famiglia, dinanzi all’alzata di scudi levatasi in questi ultimi giorni nello stesso campo presidenziale (e tra i centristi) dovrà accontentarsi del ruolo di segretario di Stato al Consumo.

Al dicastero dell’Economia il giovane macroniano Antoine Armand prenderà il posto di Bruno Le Maire. Promosso al ministero dell’Europa e degli Esteri il centrista MoDem Jean-Noël Barrot, 33 anni. Una figura legata alla sinistra, invece, per la Giustizia, che sarà guidato da Didier Migaud, fino a ad oggi presidente dell’Alta autorità della vita Pubblica. Confermati Sebastien Lecornu alla Difesa e Rachida Dati alla Cultura. Ad occuparsi del Bilancio, in un contesto in cui la manovra finanziaria risulta essere la priorità numero uno del nuovo governo in un Paese segnato dalla deriva dei conti pubblici, l’ex deputato, Laurent Saint-Martin, che resterà in legame diretto con Barnier. Tra le altre new entry, la deputata Renaissance, all’Istruzione. Portavoce del governo un’altra macroniana, Maud Bregon mentre la centrista MoDeM, Geneviève Darrieussecq diventa ministra della Salute.

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Juventus e Napoli, è pari senza gol allo Stadium

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E’ finita con un pareggio senza reti l’attesa sfida della quinta giornata all’Allianz Stadium di Torino tra la Juventus di Thiago Motta e il Napoli dell’ex Antonio Conte. Terzo 0-0 di fila per i bianconeri che hanno il merito di aver mantenuto ancora una volta la porta inviolata. Quarto risultato utile di fila per gli azzurri che, grazie a una gara in cui sono stati a lunghi tratti asserragliati in difesa, invece sono rimasti una lunghezza davanti ai bianconeri. Prima del fischio d’inizio, la Juventus ha celebrato il suo ex portiere Szczesny con una targa e una maglia ricordo per le 252 presenze.

Settore ospiti con poche presenze, vista la decisione del Prefetto di Torino di impedire ai tifosi ospiti la trasferta a Torino per precedenti scontri tra i supporters campani e quelli del Cagliari. Nonostante la successiva sospensione decretata del Tar del Piemonte poiché gli scontri erano avvenute tra “tifoserie contendenti diverse”, all’Allianz Stadium si sono presentati in pochi esponendo uno striscione sul quale era scritta la parola “vergogna”. In campo, invece, primo tempo molto equilibrato e avaro di emozioni, partita chiusa a lunghi tratti e pochissime occasioni degne di nota.

Le più pericolose di marca partenopea, la prima al 29′ figlia di una conclusione rasoterra dalla distanza di McTominay respinta da Di Gregorio e la seconda in pieno recupero con il portiere juventino ancora attento a deviare in corner una punizione insidiosa dalla destra di Politano sulla quale Lukaku aveva coperto la visuale del numero 29 bianconero. Al 10′ della ripresa ancora Politano pericoloso con una conclusione col mancino finita di poco alta sopra la traversa. Per vedere la prima (e ultima) vera conclusione della Juventus sono invece passati 26 minuti dall’inizio del secondo tempo: da un’incursione per vie centrali di Cambiaso la palla è finita sui piedi di Koopmeiners la cui conclusione a giro con il destro è finita fuori misura.

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Cronache

Gratteri: i magistrati oggi ai minimi storici di credibilità

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“Noi magistrati oggi siamo ai minimi storici di credibilità, perché abbiamo fatto degli errori”. Lo ha detto il procuratore del Tribunale di Napoli, Nicola Gratteri, intervenuto alla seconda edizione di Capri d’autore, la rassegna culturale curata da Valentina Fontana e Gianluigi Nuzzi, e organizzata da Vis factor. Secondo Gratteri si sarebbe dovuto far dimettere i componenti del Csm “perché sul caso Palamara bisognava lanciare il messaggio alla gente che si stava voltando pagina, che si faceva un taglio netto. Non è stato fatto, con il risultato che è passato il messaggio che si voleva tutelare una corporazione che non voleva lasciare la poltrona. E questo ci ha reso più deboli, anche perché le correnti all’interno della magistratura sono ancora tante”.

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