Giorgia Meloni resta in trincea sul Mes. “Non è un totem ideologico”, dice ingaggiando una sfida dialettica con Elly Schlein. La premier accusa di “strumentali” obiezioni la segretaria del Pd, che a sua volta ribatte imputando al governo di fare un “gioco delle tre carte”, al termine del quale “si rimangerà la promessa elettorale” di non ratificare le modifiche al Meccanismo europeo di stabilità. Il momento della verità, su un atto che non vede tutta la maggioranza perfettamente allineata, è destinato nuovamente a slittare, almeno all’inizio del 2024. Prima, a Palazzo Chigi attendono l’esito del negoziato sul Patto di stabilità, e la presidente del Consiglio vede “spiragli per una soluzione seria”, in una trattativa che definisce “aperta e molto serrata”.
Di più preferisce non aggiungere Meloni, intervenendo alla presentazione di PhotoAnsa 2023, all’inizio di una settimana che la porterà a Bruxelles per un Consiglio europeo inevitabilmente focalizzato (anche se non è formalmente all’ordine del giorno) sulle nuove regole della governance finanziaria dell’Ue. La posizione italiana, spiega la premier, “è chiara, viene compresa e rispettata”: punta a ottenere l’esclusione degli investimenti per la transizione verde e digitale, e per la Difesa, dal calcolo del debito. “Non si può punire chi investe”, è la sintesi della leader di FdI, “e non ci si può chiedere di dire sì a un Patto di stabilità che non questo governo, ma nessun governo italiano potrebbe rispettare”.
Nella “logica a pacchetto” su cui Roma ha impostato la sua strategia, la ratifica del Mes da parte dell’Italia (l’unica che manca fra i Paesi dell’Eurozona) è diventata una leva negoziale. Nella Lega resta una certa rigidità e si attende un’indicazione di Meloni. “Come Forza Italia siamo favorevoli all’approvazione del Mes ma non c’è una grande fretta”, puntualizza il vicepremier Antonio Tajani. Così slitterà ancora la discussione in Aula alla Camera: è prevista per giovedì ma come quarto punto all’ordine del giorno di lavori che saranno con ogni probabilità dedicati allo scontato voto di fiducia sul decreto anticipi. Prima di Natale è attesa a Montecitorio la manovra (ma anche i suoi tempi sono incerti), e quindi del cosiddetto fondo salva-Stati si riparlerà solo nel 2024. “Non è possibile per ragioni ideologiche bloccare tutto il resto d’Europa sulla ratifica di un trattato”, la frase di Schlein che “fa sorridere” Meloni.
“Forse non sa che il Mes esiste, chi lo vuole attivare lo può tranquillamente attivare” osserva la premier, chiedendo alle opposizioni perché non lo abbiano ratificato mentre erano da “4 anni al governo”. “Forse – aggiunge – bisogna interrogarsi sul perché, in un momento in cui tutti facciamo i salti mortali per reperire risorse, nessuno vuole attivarlo: questo sarebbe il dibattito da aprire. Quando saprò quale è il contesto nel quale mi muovo saprò anche che cosa secondo me bisogna fare del Mes”. “Rimane solo l’Italia, perché la destra è prigioniera della sua propaganda ideologica”, la controreplica della segretaria dem: “Siamo comunque convinti che anche questa pantomima finirà e Meloni si rimangerà anche questa promessa elettorale, come è finita per le accise sulla benzina, sui tagli alle pensioni e alla sanità”.
Senza la ratifica da parte dell’Italia, non entra in vigore la nuova funzione del Mes come backstop, ossia di rete di sicurezza finanziaria al Fondo di risoluzione unico nel sistema di gestione delle crisi bancarie. “È stupefacente come la premier non abbia ancora capito che cos’è il Mes – afferma Luigi Marattin (Iv) -. Continua a credere che sia una sorta di scrigno a disposizione di chi lo desidera, presumibilmente perché annoiato e non ha altro da fare. La presidente ancora non ha capito che il Mes è uno strumento di assoluta emergenza”. Le prossime puntate dello scontro premier-opposizioni sono attese alla Camera e mercoledì al Senato, dove si dibatterà sulle comunicazioni di Meloni prima del Consiglio Ue.