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Meloni convoca ministri e Servizi, massima allerta

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L’allerta è massima. La situazione, monitorata “minuto per minuto”, peggiora di ora in ora. Ed era già “drammatica” ieri notte quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fatto sapere, dopo l’avvio delle incursioni israeliane in Libano, di essere “in contatto costante” con i ministri degli Esteri e della Difesa. Che riferiranno intanto davanti alle commissioni riunite e poi anche in Aula, se sarà necessario, come peraltro hanno chiesto a gran voce le opposizioni. Ma serve un vertice “urgente”, a sera, dopo che l’Iran ha iniziato ad attaccare, come promesso, Israele. Con i ministri e i vertici dei servizi, che stanno setacciando gli ambienti a rischio estremismo già da settimane, per i riverberi che la crisi mediorientale potrebbe avere anche sulla sicurezza nazionale. In Libano ci sono circa tremila italiani stanziali che vorrebbero rimanere almeno finché sarà possibile. E oltre un migliaio di soldati con la missione Unifil – il contingente italiano più numeroso – che al momento resta al sicuro, nei bunker. E che non dovrebbe essere spostato, almeno per ora (la decisione, in ogni caso, va presa coi partner internazionali).

I “civili” e la “sicurezza” dei militari italiani sono “la priorità”, ha detto la premier, che ha sottolineato il “ruolo cruciale” dei soldati italiani e l’importanza della missione sotto l’egida delle Nazioni Unite anche in un colloquio nel pomeriggio con il primo ministro libanese Najib Mikati. il governo ha già stanziato “primi aiuti per la popolazione civile” che va messa nelle condizioni di ritornare al più presto di tornare alle proprie case”. I contatti con i paesi dell’area si moltiplicano, compresi libanesi e israeliani, e anche le riflessioni sul ruolo della missione Unifil, come rivela Crosetto, mentre già c’è chi chiede, come alcuni esponenti leghisti, di “riportarli a casa” se venissero meno le condizioni di sicurezza. Sulla “validità” della missione, ha spiegato il ministro italiano della Difesa, è in corso “una riflessione da più di sei mesi con l’Onu”, ci sono “interlocuzioni quotidiane”. Le regole di ingaggio, è il ragionamento italiano, non hanno dato finora “i frutti auspicati”, mentre bisognerebbe dare “effettiva ed immediata attuazione alla risoluzione dell’Onu 1701, che prevede una fascia di territorio a sud del Litani ed a nord della ‘blue line’ in cui siano presenti solo le armi delle forze armate libanesi e di Unifil”.

La missione Onu comunque “non è obiettivo diretto degli attacchi”, aveva rassicurato nella notte Crosetto, che in queste ore tiene informati non solo il collega Tajani e la premier ma anche “la presidenza della Repubblica”. In ogni caso restano pronti a scattare piani di evacuazione con navi ed aerei sia per i civili italiani rimasti in Libano che per i militari. Le opposizioni, nel frattempo, chiedono all’esecutivo di “intensificare gli sforzi diplomatici” intanto perché l’esercito israeliano si ritiri dal territorio libanese, come dice la segretaria dem Elly Schlein, perché “la sovranità territoriale non può essere violata, il diritto internazionale deve valere sempre”. E poi perché si arrivi a un “cessate il fuoco” in Libano e a Gaza che scongiuri un allargamento del conflitto “su larga scala”. I dem chiedono anche all’esecutivo di valutare “l’apertura di corridoi umanitari”.

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Chi è Giampaolo Rossi, il nuovo Ad della Rai

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Al ruolo di amministratore delegato della Rai era predestinato già dal 15 maggio 2023, quando l’ex capo azienda, Roberto Sergio, lo ha nominato direttore generale. Oggi Giampaolo Rossi (nella foto Imagoeconomica in evidenza) assume l’incarico operativo più importante a Viale Mazzini, con tre anni pieni di mandato davanti a sé e un consiglio di amministrazione espresso dalla nuova maggioranza a sostenerlo. E in nome del patto della staffetta, sceglie Sergio come dg. La mission di Rossi, l’uomo forte su cui conta Giorgia Meloni – che tre anni fa protestò vivacemente per la sua mancata riconferma in Cda e l’esclusione di FdI – è diventare il deus ex machina della nuova Rai, quella della “pluralità delle narrazioni”, per dirla con le sue parole, o della de-egemonizzazione della sinistra, tema caro alla destra di governo. “L’unica egemonia da garantire è quella della libertà culturale” e la Rai “è il perno del sistema culturale del nostro Paese”; per “liberare la cultura da tutte le sue deformazioni e imposizioni” servono “coraggio, una visione e non aver paura degli immaginari”, sottolineava lo scorso anno Rossi agli Stati generali della cultura nazionale.

Finora si è mosso con accortezza, dialogando con l’opposizione e con i sindacati. Già nel precedente mandato in cda, dal 2018 al 2021, aveva collaborato con l’Ad Fabrizio Salini, nominato dal primo governo Conte, quindi non espressione della sua stessa parte politica, nell’implementazione della riforma delle direzioni di genere. Nell’ultimo periodo si è tenuto fuori dalla mischia in occasione di alcuni momenti critici, finiti per giorni al centro dell’attenzione della politica e dei media, come lo stop al monologo di Scurati o le polemiche legate all’ultimo Festival di Sanremo. Romano di nascita, classe 1966, laureato in Lettere alla Sapienza, già presidente di Rai Net dal 2004 al 2012, direttore del Master in Media Entertainment alla Link Campus University, docente di Teorie e tecniche dei linguaggi cross-mediali al Suor Orsola Benincasa di Napoli, Rossi ha collaborato come editorialista prima con il Tempo e poi con Il Giornale; ha ricoperto più volte l’incarico di consigliere dell’Istituzione Biblioteche di Roma. Nel 2018 è stato eletto la prima volta nel Cda Rai su indicazione di Fratelli d’Italia, diventando anche membro del consiglio di presidenza di Confindustria Radiotelevisioni e, nel 2019, consigliere di Rai Pubblicità. È autore di diverse pubblicazioni nell’ambito della comunicazione, da anni si occupa anche di formazione sull’industria dei media.

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Veto di Conte nelle regioni: il campo largo non c’è più

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Le parole definitive le ha pronunciate Giuseppe Conte davanti alle telecamere di Rai Uno: “Il campo largo non esiste più, lo certifichiamo stasera”. Il sigillo sulla separazione è arrivato con la decisione, anche quella annunciata in Tv, di non far correre il M5s insieme a Iv nemmeno in Emilia Romagna e in Umbria. La risposta del Pd l’ha data il capogruppo al Senato, Francesco Boccia: “Se non vogliamo lasciare la destra e Meloni a Palazzo Chigi sine die, è evidente che bisogna rafforzare l’alternativa, che dobbiamo costruire dando risposte ai problemi delle persone”.

Il deputato Marco Furfaro è stato anche più netto: “Quando Conte dice che non voterà col Pd io mi rattristo, ma Giorgia Meloni festeggia. Non si può decidere in un salotto di Porta a Porta se si fa l’alleanza in una regione”. Per Schlein, che da sempre punta a una coalizione la più larga possibile, si annunciano tempi difficilissimi. Le elezioni politiche sono lontane e, nei prossimi mesi, le carte in tavola cambieranno mille volte.

Ma adesso Conte è fermo: “Renzi è una bomba esplosiva a orologeria. Come facciamo a presentarci con Renzi per quello che rappresenta? Come si fa a fare una campagna elettorale e dire noi governeremo il paese per i prossimi 5 anni? E’ un problema politico forte, non di veti personali, per rendere credibile il progetto di alternativa”. Poi una concessione, ma a tempo debito: col Pd “abbiamo un percorso da fare – ha detto Conte – tantissimi chiarimenti da fare”, per allearci oggi “non siamo pronti. Questo non significa che non riconosciamo i passi concreti compiuti”.

Conte ha puntato a testa bassa su Schlein: “Ci siamo ritrovati con Renzi in mezzo al campo senza venirne informati, ma all’esito di una partita di calcio e col Pd che ha detto: Non fate polemiche e non ponete veti. Ma il problema è politico e serio”. E ancora: “E’ chiaro che nel momento in cui il M5s dice che si è aperta una ferita e la risposta di Schlein è ‘Io non faccio polemiche’ c’è qualcosa che non va”. La partita ligure ormai è chiusa, perché le liste sono già state depositate. Ma quelle dell’Umbria e dell’Emila Romagna sono apertissime: il voto ci sarà il 17 e 18 novembre, quindi le trattative andranno avanti fino alla fine del mese.

E se in Liguria Iv ha fatto un passo indietro, in Emilia Romagna non ha intenzione di concedere il bis: “Alle regionali ci presenteremo a fianco” del candidato di centrosinistra “De Pascale – ha detto Matteo Renzi – con i nostri candidati e con il nostro simbolo, come già concordato”. Schlein dovrà quindi provare a trovare un compromesso fra il M5s che non vuole Iv e Iv che non intende andarsene. Lo strappo di Conte è piombato inaspettato in Transatlantico come sui livelli locali delle coalizioni visto che, dopo i fatti della Liguria, il M5s aveva fatto filtrare rassicurazioni sulla tenuta degli accordi in corso in Emilia Romagna e in Umbria. L’improvvisa uscita del presidente M5s ha fatto saltare il campo largo ovunque sia in costruzione in questo momento.

Una mossa che non ha convinto nemmeno Avs, l’altro partito della coalizione da sempre ostile alla convivenza con i renziani. I verderossi invitano al buonsenso e a valutare quanto sia diverso il quadro: in Emilia Romagna il percorso che ha portato all’alleanza è stato lungo e meditato e là Iv non deve scontare “la colpa”, che invece ha in Liguria, di essere stata alleata con l’attuale candidato di centrodestra alla guida della Regione, Marco Bucci. Avs, semmai, fa questioni in Toscana, dove non dà per scontata la conferma del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd.

Più sfumata la situazione in Umbria: “Italia Viva non fa parte del Patto Avanti e non si presenterà alle elezioni con il proprio simbolo, ha esclusivamente manifestato il proprio sostegno alla candidata presidente Stefania Proietti”, ha ricordato il coordinatore regionale M5s, Thomas De Luca. Ma anche in Liguria la situazione era analoga. E proprio da lì è partita la caduta libera del campo largo.

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Mantovano, ‘Sfera Ebbasta esalta il consumo di marijuana’

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“Non è certamente leggera e non fa distendere la marijuana di cui canta Sfera Ebbasta, che ne rivendica l’uso (“fumo erba in quantità”) e l’esalta come nella canzone ‘Notti’ (“sai che non lo faccio per moda, più che altro per bisogno, che ho bisogno di ‘sta roba per non tornare sul fondo”). Non è leggera perchè sul fondo di una discoteca, la Lanterna Azzurra di Corinaldo (Ancona) l’8 dicembre del 2018 sono caduti senza rialzarsi 5 adolescenti ed una madre proprio mentre attendevano l’arrivo di questo rapper. Il rapper era lontano dalla discoteca, quindi nessuna criminalizzazione per l’episodio specifico che fu provocato da un gruppo di giovani che avevano usato spray urticante per commettere rapine”. Lo ha detto il sottosegretario Alfredo Mantovano, in audizione alla commissione parlamentare Infanzia. “Non ho qualificato in termini criminali – ha precisato Mantovano – trapper e rapper, ma nessuno può sottovalutare un effetto condizionante, dovremmo provare a rompere questo circuito vizioso. E’ lo stesso effetto condizionante che in alcuni ambienti del radicalismo islamico fa sì che si sviluppi l’antisemitismo”.

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