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Meloni ai suoi, manovra con poche risorse è la vera sfida

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Quaranta minuti per raccontare i quasi 12 mesi “incredibili” alle spalle. Ma soprattutto per spronare alla partita più dura che si ha davanti (per 5 anni, è l’auspicio) e che, a breve, coinciderà con una legge di bilancio da definire nonostante le “poche risorse” a disposizione. E’ quella la “vera sfida”. Camicetta bianca e sneakers nere, Giorgia Meloni sale sul palco della prima assemblea di Fratelli d’Italia convocata dalle elezioni che l’hanno portata a Palazzo Chigi. Ma il look stride con il piglio vigoroso con cui incita i ‘suoi’. Siate “concentrati, lucidi e responsabili”, dice facendo intendere che lei c’è ed è attenta alla vita del partito, nonostante l’impegno da premier. Quindi avverte tutti: “Costi quel che costi, Fratelli d’Italia e il governo che presiedo saranno all’altezza delle attese degli italiani”.

Ad esempio, sulla manovra “ci concentreremo sulle nostre priorità dal lavoro alla sanità, ai figli” -promette- anche se i soldi scarseggiano per colpa dei “nostri predecessori”. Agli alleati di centrodestra riserva invece solo un cenno, di fiducia ma anche con un monito: “Sono certa che i nostri preziosi alleati di governo siano consapevoli del peso che abbiamo sulle spalle tanto da non sprecare energie in eventuali atteggiamenti egoistici”. La leader di FdI parla di fronte a oltre 400 persone che riempiono la sala del centro congressi a due passi da piazza di Spagna. All’arrivo scatta un lunghissimo applauso.

“Na volta tanto Donzelli l’ha organizzata bene ‘sta claque”, scherza in romanesco riferendosi al responsabile organizzativo. E’ lui, suo fedelissimo da anni, a presiedere l’incontro dopo la rinuncia di Ignazio La Russa anche se spetterebbe a lui la regia delle assemblee di partito. Per opportunismo e per evitare altre polemiche, la seconda carica dello Stato si sfila. A malincuore. E Meloni a fine giornata lo difende: “Il tuo gesto non era necessario perché noi abbiamo gli stessi diritti degli altri”.

Ma al centrosinistra la presidente rinfaccia ben altro: elenca “campagne finto scandalistiche, dossieraggi, richieste di dimissioni”. Meloni archivia le provocazioni delle opposizioni perché non c’è tempo da perdere: dobbiamo “volare alto e guardare lontano ai progetti a lungo termine”. Assicura che con FdI, e il suo governo, l’Italia riavrà la “strategia” persa da anni, “l’orgoglio” dimenticato e la “stabilità” garantita anche dalle riforme costituzionali. Non a caso elenca i provvedimenti presi dal suo governo: dal decreto rave che ha azzerato quelli illegali da gennaio – sottolinea – al cosiddetto decreto Cutro contro il traffico di migranti o quello contro le baby gang. Meloni rivendica con forza quindi la tassa sugli extraprofitti delle banche: “Non ha un intento punitivo, è una norma giusta”, ribadisce e chiede l’impegno diretto dei suoi parlamentari per la conversione in legge. Parole pronunciate poco prima della bordata lanciata dalle banche – in testa l’Abi – contro quella imposta varata senza “un confronto preventivo”, denunciano. Convinta di agire nell’interesse degli italiani, infine, Meloninon sopporta l’esultanza delle opposizioni a ogni difficoltà dell’Italia: “gente che tifa contro l’Italia e che stappa bottiglie se c’è una flessione del Pil”, li svilisce. Quindi torna a concentrarsi sui ‘suoi’. E non caso chiude la sua relazione citando Lucio Battisti: “Non sarà un’avventura”, avverte. Ma allo stesso tempo assicura: “Non è un fuoco che col vento può morire”.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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Spagna, imprenditore sotto inchiesta denuncia: diedi 350mila euro a ministro e consulente

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L’imprenditore Victor de Aldama (nella foto col premier, che non è sotto accusa in questa inchiesta), uno dei principali accusati della rete di corruzione e tangenti al centro dell’inchiesta nota come ‘caso Koldo’, ha tentato oggi di coinvolgere numerosi esponenti dell’esecutivo, mentre il Psoe ha annunciato azioni legali per diffamazione. In dichiarazioni spontanee oggi davanti al giudice dell’Audiencia Nacional titolare dell’indagine, de Aldama ha segnalato anche il premier Pedro Sanchez, che a suo dire lo avrebbe ringraziato personalmente per la gestione che stava realizzando a favore di imprese spagnole in Messico, della quale “lo tenevano informato”, secondo fonti giuridiche presenti all’interrogatorio citate da vari media, fra i quali El Pais e Tve.

Al punto che lo stesso presidente avrebbe chiesto di conoscerlo, per ringraziarlo, in un incontro che – a detta dell’imprenditore, presidente del club Zamora CF e in carcere preventivo per altra causa – avvenne nel febbraio 2019 nel quartiere madrileno di La Latina, durante un meeting socialista. Un incontro che sarebbe documentato nella fotografia con Pedro Sanchez, pubblicata da El Mundo il 3 novembre scorso. Il presunto tangentista avrebbe sostenuto che Koldo Garcia, da cui deriva il nome del ‘caso Koldo’, divenne consulente dell’ex ministro dei Trasporti, José Luis Abalos, per decisione dello stesso Sanchez. Avrebbe sostenuto, inoltre, di aver consegnato tangenti per 250.000 euro ad Abalos e per 100.000 euro Koldo Garcia, arrivando a dire “io non sono la banca di Spagna, state esagerando”, secondo le fonti citate.

La rete di corruzione si sarebbe avvalsa dell’ex segretario di organizzazione del Psoe, Santos Cerdàn, al quale Aldama sostiene di aver consegnato una busta con 15.000 euro. Il tangentista avrebbe affermato anche si essersi riunito in varie occasioni con la ministra Teresa Ribera, per un presunto progetto di trasformazione di zone della Spagna disabitata in parchi tematici, secondo fonti giuridiche citate da radio Cadena ser. Un progetto al quale avrebbe partecipato anche Javier Hidalgo, Ceo di Globalia e al quale fu presente, in almeno una riunione, Begona Gomez, moglie di Pedro Sanchez. Fonti governative, riportate da Cadena Ser, definiscono un cumulo di menzogne le dichiarazioni di Aldana, che “non ha alcuna credibilità” ed è in carcere preventivo, per cui punterebbe a ottenere un trattamento favorevole in una prevedibile condanna.

“Il presidente del governo non ha né ha avuto alcuna relazione” con Aldama, segnalano le fonti. “Tutto quello che dice è totalmente falso”, ha dichiarato da parte sua ai cronisti Santos Cerdàn, “Questo signore non ha alcuna credibilità, sta tentando di salvarsi dal carcere. Non ha alcuna relazione con il presidente del governo, io non ho ricevuto mai denaro da lui e non lo conosco”, ha aggiunto l’esponente socialista, annunciando azioni .giudiziarie. Lo stesso ha fatto il portavoce parlamentare del Psoe, Patxi Lopez, che ha confermato “azioni legali” del partito della rosa nel pugno “perché la giustizia chiarisca tutte queste menzogne”.

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