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May non ha la maggioranza, rinviato il voto ai Comuni su Brexit: Regno Unito nel caos, sterlina a picco

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Il D-Day sulla Brexit è rinviato a data da destinarsi. Sull’orlo del baratro di una sconfitta parlamentare devastante, Theresa May innesta la marcia indietro sul voto di ratifica previsto per domani del suo accordo di divorzio dall’Ue, ne annuncia lo slittamento – negato categoricamente fino a poche ore prima – e si aggrappa alla speranza di un estremo supplemento negoziale con Bruxelles per provare a spuntare almeno un aggiustamento cosmetico sul capitolo più spinoso e controverso per la sua terremotata maggioranza: quello del cosiddetto backstop.

L’inversione a U non pone in discussione l’impegno della premier a portare il Regno fuori dal club europeo “il 29 marzo 2019”. Ma neppure le offre alcuna garanzia di rimettere insieme – di qui a qualche giorno, o più probabilmente qualche settimana – un consenso sufficiente a Westminster: tanto più  che dalla capitale belga si ammonisce, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, che l’intesa sul tavolo non e’ in sostanza rinegoziabile. E tuttavia si tratta se non altro di una mossa che offre a May un po’ di ossigeno, fino al prossimo giorno del giudizio. Il colpo a sorpresa – in realta’ anticipato dai media fin da ieri, a dispetto delle smentite di Downing Street – è arrivato a fine mattinata con la convocazione in conference call di un consiglio dei ministri straordinario da cui viene fatto trapelare la decisione di posticipare il voto. Decisione poi confermata dalla premier ai Comuni con una dichiarazione nella quale ha formalizzato la decisione di tornare a Bruxelles gia’ questa settimana per cercare di ottenere “ulteriori rassicurazioni” sul backstop, il meccanismo vincolante di salvaguardia del confine aperto fra Irlanda e Irlanda del Nord imposto dall’Ue che molti deputati contrari all’accordo considerano cruciale per il loro dissenso.

Theresa May. Non c’è accordo su Brexit nel suo governo

Theresa May ha ammesso senza giri di parole che allo stato il testo sarebbe stato “respinto con ampio margine”, ma ha puntualizzato di ritenere che l’accordo da lei raggiunto con i 27 resta nel complesso “il migliore possibile” in quanto garantisce “un’uscita negoziata” dall’Ue e assicura il rispetto della volonta’ popolare espressa nel 2016: allontanando la prospettiva di un referendum bis che la signora primo ministro continua a rigettare come miccia di nuove inevitabili divisioni nel Paese, malgrado la Corte di giustizia dell’Ue oggi abbia certificato che il Regno, qualora lo volesse, sarebbe libero di revocare in modo unilaterale la Brexit. Parole accolte dalle reazioni sarcastiche, quando non furiose di buona parte della Camera, fra interruzioni, risate e inviti alle “dimissioni” dai banchi del Labour. Il leader dell’opposizione laburista, Jeremy Corbyn, pur rimandando per ora la carta incerta di una possibile mozione di sfiducia immediata, le ha da parte sua liquidate come un modo per prendere tempo, denunciando “una situazione estremamente grave e senza precedenti” per il Regno, in mano ormai a “un governo non piu’ funzionante”. Mentre toni polemici non sono mancati pure dai settori piu’ critici della maggioranza, rinfocolati dallo sdegno di molti per un rinvio deciso dell’esecutivo unilateralmente. Senza contare il rifiuto d’indicare al momento una qualunque scadenza per un nuovo voto, al di là dell’impegno a tornare in aula al più tardi prima del 21 gennaio: data limite prevista per l’eventuale comunicazione di una Brexit ‘no deal’, ossia dello lo spettro di un divorzio senz’accordo che diversi parlamentari sospettano il governo voglia, attraverso il rinvio, rendere piu’ minaccioso come sola alternativa all’accordo; e che la stessa May ha richiamato non a caso come un pericolo “accidentale” rispetto al quale occorre “intensificare i preparativi”. Il problema per il governo resta in ogni modo quello di racimolarli alla fine questi voti, in un clima che resta ostile. A maggior ragione poiché le ipotetiche concessioni extra in sede europea sembrano poter essere solo di facciata. Come spiega il premier irlandese Leo Varadkar, avvertendo che il backstop non si tocca, salvo “chiarimenti”. E come conferma Donald Tusk, annunciando via Twitter la convocazione di un nuovo “Consiglio europeo sulla Brexit” con paletti ben definiti: disponibilità a cercare di “facilitare la ratifica” si’, rinegoziazione delle 586 pagine di accordo neanche per idea. Nell’incertezza totale intanto la sterlina è scivolata ancora piu’ giu’ fino a 1,2507 dollari, il livello più basso da circa 20 mesi a questa parte.

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Attacco di Hezbollah in Libano, feriti quattro militari italiani della missione UNIFIL

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Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.

UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE  (FOTO IMAGOECONOMICA)

La dinamica dell’attacco

Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.

Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.

UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA

Le dichiarazioni del ministro Crosetto

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:

“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.

Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.


La solidarietà del Presidente Meloni

Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:

“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.


Unifil: una missione per la pace

La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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