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Mario Draghi scuote l’Ue: è l’ora delle scelte

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E’ l’ora delle decisioni e non piu’ delle reticenze. L’ora delle scelte. C’era ancora il sole alto sul Castello di Praga quando Mario Draghi ha preso la parola al vertice dei leader europei. Il suo penultimo vertice, prima di quello del 19 e 20 ottobre a Bruxelles. Ma l’ex presidente della Bce vede comunque la sfida dell’energia a portata di mano. E sa che, quando la frammentazione del mercato unico diventa un rischio evidente per tutti, anche i falchi del Nord possono cambiare idea. Per Draghi, in realta’ la sfida e’ doppia. C’e’ quella europea e quella del tempo, che mai come in questo autunno scorre veloce. Il vertice di fine ottobre sara’ l’ultima chance per portare a casa un risultato concreto. Al rientro, o poco piu’ in la’, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella potrebbe dare l’incarico a Giorgia Meloni. Anche per questo Draghi ha fretta di portare a casa un risultato prima che l’Italia entri in un limbo istituzionale dai tempi incerti. Il risultato, invero, e’ quello che il presidente del Consiglio suggeri’ lo scorso 9 marzo, in un faccia a faccia con Ursula von der Leyen a Palazzo Berlaymont: un price cap al gas che fermi speculatori e sfili l’arma del ricatto alla Russia. Sono passati sette mesi e il gas russo ha le fattezze di un ricordo. Ma il price cap serve piu’ di prima. E serve che sia applicato in maniera uniforme a tutta l’Europa, anche se nella sua forma flessibile (o dinamica). L’alternativa e’ il ‘salvi chi puo”. Ed e’ una strada che – e’ il ragionamento del governo italiano – porterebbe conseguenze nefaste non solo all’Italia ma a tutta l’Ue. Gli effetti, fanno notare a Palazzo Chigi, sono visibili in tempi brevissimi: e’ bastato che a Praga l’Ue abbia mostrato di dirigersi verso misure concrete che il prezzo del gas e’ sceso a 155 euro, ovvero il -12% in meno all’indice Ttf. Fonti europee hanno descritto l’intervento del premier italiano molto duro. Draghi, davanti ai leader, ha fatto un lungo elenco delle ragioni per cui un price cap e’ necessario. E, si apprende ancora, ha sottolineato come un ritardo di 7 mesi nell’azione europea potrebbe rendere piu’ concreto lo spettro della recessione. Secondo alcune versioni, il premier avrebbe puntato il dito esplicitamente contro von der Leyen – la cui lentezza d’azione e’ stata nel mirino anche di altri leader – ma fonti di governo non hanno confermato l’episodio. Di certo, Draghi ha sottolineato gli effetti collaterali delle reticenze – che siano della Commissione o di alcuni Paesi membri – che hanno segnato i passi dell’Ue sull’energia. Un fronte sul quale, ha scandito il capo del governo, l’Unione e’ chiamata a dare una risposta “forte e comune”. Ed e’ una risposta che non puo’ solo materializzarsi nel price cap al gas che concorre alla formazione del prezzo elettricita’, che svantaggia alcuni Paesi a dispetto di altri. Il ‘level playing field’, insomma, e’ l’assioma dal quale Draghi non vuole deviazioni. A Praga il premier lo ha sottolineato e il riferimento alla Germania e al suo scudo da 200 miliardi e’ nell’ordine delle cose. I leader, e’ stato il suo ragionamento, sono chiamati a dare una risposta comune, il che significa anche poter disporre di fondi comuni. Che lo si chiami Sure – che ha dei tempi di messa in vigore molto brevi – o in altro modo poco importa. L’Italia lo chiedeva sette mesi fa. Ora che ci sono Paesi che hanno esaurito il proprio spazio fiscale, lo chiede con ancor piu’ forza. Anche perche’ l’alternativa sarebbe fare piu’ debito, e contrasterebbe proprio con quanto Germania, Olanda e la Commissione chiedono dalla fine della crisi del Covid.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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