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Maresca all’attacco di Manfredi: smetta di scappare e spacciare falsità per verità e si confronti sui programmi

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“La differenza tra me e il candidato sindaco della sinistra? È nell’ipocrisia di chi come Manfredi spaccia per vere delle falsità e va dicendo in giro che vuole fare il sindaco per ricostruire Napoli dimenticando che quelli che l’hanno imposto da Roma sono esattamente gli stessi personaggi che con i loro partiti di sinistra negli ultimi 35 anni hanno devastato e ridotto in condizioni pietose una città che ha una storia di capitale economica e culturale del Mediterraneo”. Catello Maresca, candidato civico con l’appoggio del centrodestra al comune di Napoli, risponde così all’ex Rettore ed ex ministro delle Università nell’anno in cui sono state chiuse per pandemia, che lo ha accusato di vergognarsi dei partiti che hanno deciso di appoggiarlo. “Il candidato della sinistra dice cose che o non capisce o non conosce. Non ho mai detto di vergognarmi dei partiti, tanto è vero che non mi vergogno nemmeno dei partiti che hanno candidato lui. Se Manfredi ha pazienza può leggere interviste al sottoscritto o articoli su giornali in cui ho sempre sottolineato la funzione fondamentale dei partiti in democrazia nell’organizzare interessi legittimi e costituzionalmente garantiti. Mi vergogno piuttosto – spiega Maresca – di chi nei partiti, pur per ragioni propagandistiche, usa certi toni solo per offendere. Manfredi non perda tempo a dire scemenze sui partiti. Quando vuole sono disponibile a confrontarmi sui programmi per Napoli. Manfredi smetta di scappare o di farsi accompagnare in giro per Napoli per evitare di perdersi tra i vicoli e si confronti sulla qualità della classe dirigente da selezionare. Sulla pulizia delle liste elettorali. Ci faccia sapere, Manfredi o chi lo gestisce, se ha cambiato idea su certi personaggi che quando gravitavano nel centrodestra erano definiti banditi, mentre ora che sono alla sua corte sono diventati santi. Manfredi deve sapere, visto che non gliel’hanno spiegato, che la coalizione del centrodestra ha deciso di appoggiarmi non per simpatia personale ma per condivisione di un programma di Governo per Napoli. È questo il cemento ideale che tiene assieme la coalizione civica di Maresca e i partiti del centrodestra. Esattamente il contrario di quello che è accaduto a lui. Nel suo caso i partiti romani hanno imposto il suo nome ed hanno detto a quelli napoletani: bere o affogare. A differenza di Manfredi e della sinistra che amministra Napoli da sempre e che oggi ci propina l’ex Rettore, noi vogliamo: restituire Bagnoli ai napoletani; fare di Napoli Est una delle più importanti direttorici di sviluppo della città; restituire decoro urbano ad una città che risulta sfregiata sotto questo profilo; rendere l’intero centro storico patrimonio Unesco un museo a cielo ordinato, servito, aperto e visitabile; investire risorse in qualità dei servizi e qualità della vita dei napoletani; rivisitare l’intera linea di costa di Napoli (da Bagnoli a Pietrarsa) per restituire il mare ai napoletani; puntare su cultura, turismo e commercio ragionando in termini di programmazione condivisa; cambiare il racconto di Napoli su sicurezza e lavoro parlando di Whirlpool come sito da difendere ad ogni costo; valorizzare il ruolo delle municipalità nella gestione della città; annullare le distanze tra periferie e centro della città dividendo gli investimenti in parti uguali. Napoli sarà una città competitiva e attraente sotto ogni profilo quando smetterà di avere quelle periferie dell’esistenza umana oltre che periferie geografiche create dalla sinistra in questi anni di progressiva ghettizzazione di chi aveva poco reddito o nessuno lavoro. Io non riesco a immaginare Napoli senza Scampia, San Giovanni a Teduccio, Pianura o anche altri quartiere difficili come Sanità o Forcella che sono nel cuore del centro antico. I giovani di Napoli (dal punto di vista demografico siamo la città più giovane d’Europa) sono il presente e il futuro. Dire che Napoli deve essere a misura di giovani significa volere il bene di questa città e immaginare che abbia un futuro. I giovani di Napoli hanno necessità di istruzione, formazione e lavoro. Non devono più emigrare, devono sognare di realizzarsi a Napoli. O anche altrove, ma dev’essere una loro libera scelta. Oggi le migliori intelligenze di questa città vengono istruite e formate a Napoli ma poi diventano la fortuna di altre città e Paesi dove si trasferiscono. Il danno è doppio per Napoli: spendiamo per far crescere donne e uomini eccellenti in ogni campo, che però si realizzano altrove. Volete un’altra differenza tra me e Manfredi? Lui utilizza spesso la storiella della Apple Academy a San Giovanni a Teduccio come un suo fiore all’occhiello quando era rettore. Va bene, la Academy che forma sviluppatori è una bella storia di Napoli. Nessuno però si chiede dove vanno a lavorare i giovani che formiamo a Napoli. Chiedetelo a Manfredi. Se ne vanno all’estero. Perchè pure nella Università Federico II il buon ex Rettore non ha lasciato un buon ricordo, anzi con i suoi metodi di gestione amicale ha trasformato la prima istituzione della città in una ridotta dei partiti dilaniata, affidandola poi ad un suo amico con metodi davvero poco edificanti. Insomma la Napoli che noi vogliamo – conclude Maresca – è quella che i partiti che candidano Manfredi hanno affossato e ora vogliono tenere in una condizione di soggezione. Noi però non lo consentiremo. Napoli vuole cambiare”.     

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Giustizia, stretta sulle toghe politicizzate e sui reati informatici: il decreto del governo in arrivo

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La riforma della giustizia torna al centro del dibattito con il nuovo decreto che il governo si appresta a varare lunedì prossimo in Consiglio dei Ministri. Tra le novità principali, spiccano due misure destinate a far discutere: l’introduzione di sanzioni per i magistrati che non rispettano il dovere di astensione in casi di conflitto di interesse e una stretta sui reati informatici e sul dossieraggio illegale.

Sanzioni per le toghe politicizzate

Il decreto introduce una nuova norma che obbliga i magistrati a astenersi dal giudicare su questioni rispetto alle quali si sono già espressi pubblicamente attraverso editoriali, convegni o social network. In caso di violazione, il Consiglio Superiore della Magistratura potrà adottare sanzioni che vanno dall’ammonimento alla censura, fino alla sospensione.

Secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, questa norma intende tutelare il principio di imparzialità della magistratura, un obiettivo che la maggioranza considera fondamentale per garantire l’equilibrio tra i poteri dello Stato.

La misura ha già suscitato polemiche tra le toghe e riacceso il dibattito sulla presunta politicizzazione della magistratura. L’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha espresso preoccupazione per quella che definisce un’“invasione di campo” da parte del governo.

La questione delle migrazioni e il caso Silvia Albano

La norma sulle toghe politicizzate sembra trarre origine da recenti tensioni tra il governo e alcune sezioni della magistratura, in particolare sui temi legati all’immigrazione. Emblematico il caso della giudice Silvia Albano, che aveva criticato l’accordo tra Italia e Albania sui migranti, trovandosi poi a giudicare direttamente su questa materia.

Albano, presidente di Magistratura Democratica, è stata bersaglio di critiche da parte della maggioranza per la sua posizione pubblica contro il “decreto Paesi sicuri”. La sua decisione di non convalidare il trattenimento di 12 migranti nel centro italiano in Albania ha sollevato ulteriori tensioni.

Stretta sui reati informatici e dossieraggi

Il decreto affronta anche il problema dei reati informatici, introducendo nuove misure per contrastare l’accesso abusivo ai database pubblici. Tra le novità principali:

  • Arresto in flagranza per chi viola sistemi informatici di interesse pubblico, militare o legati alla sicurezza nazionale.
  • Trasferimento delle indagini sui reati di estorsione tramite mezzi informatici alla procura Antimafia, guidata da Giovanni Melillo.

Queste misure arrivano in risposta a recenti scandali legati al dossieraggio illegale, come l’indagine della DDA di Milano sulla “centrale degli spioni” che trafugava dati sensibili da banche dati governative, coinvolgendo figure politiche di primo piano come la premier Giorgia Meloni.

Un antipasto per la riforma delle carriere

Questo decreto rappresenta solo l’inizio di un più ampio progetto di riforma delle carriere di giudici e pm che il governo sta portando avanti in Parlamento. La maggioranza intende ridefinire i rapporti tra i poteri dello Stato, nonostante le inevitabili polemiche con la magistratura.

Secondo il ministro Nordio, l’obiettivo è garantire un sistema giudiziario più equo e trasparente, ma l’ANM e altre voci critiche temono che queste misure possano indebolire l’autonomia delle toghe.

Un Natale caldissimo per la giustizia italiana

Le nuove norme, che toccano temi delicati come la gestione dell’immigrazione, i reati informatici e l’imparzialità dei magistrati, promettono di accendere il dibattito politico e giudiziario. Il governo va avanti, ma il confronto con le toghe e le associazioni di categoria si preannuncia acceso.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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