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Londra fornirà armi all’uranio a Kiev, l’Ucraina all’attacco in Crimea e in territorio russo

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Londra fornirà a Kiev munizioni anticarro perforanti all’uranio impoverito, una rivelazione che ha scatenato l’ira di Mosca e infiammato le tensioni internazionali. La decisione del governo britannico è stata annunciata lunedì dalla viceministra della Difesa britannica Annabel Goldie durante un’audizione di secondaria importanza alla Camera dei Lord ed è passata del tutto sotto silenzio finché non è rimbalzata sui media ucraini. Non è però sfuggita a Vladimir Putin, che parlando accanto al leader cinese Xi Jinping a Mosca ha promesso che la Russia “reagirà” se Londra dovesse davvero inviare questo tipo di forniture. Mentre secondo il ministro della Difesa Sergei Shoigu, con le dichiarazioni del Regno Unito lo scontro nucleare è ormai “a un passo”.

Oggetto delle tensioni sono i proiettili Charm 1 e Charm 3, usati come munizioni per i cannoni da 120 millimetri montati su alcuni tank dell’esercito inglese, promessi a Kiev dal governo di Rishi Sunak. Replicando ad un’interrogazione presentata dall’ultranovantenne lord Hylton, la baronessa Goldie ha rivendicato seccamente che “assieme a uno squadrone di carri armati pesanti da combattimento Challenger 2, manderemo anche le relative munizioni: inclusi proiettili perforanti che contengono uranio impoverito”, da tempo al centro delle polemiche sulla legalità del loro utilizzo in scenari di guerra passati, dall’ex Jugoslavia all’Iraq. Interpellato sulla faccenda, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha minacciato che se la Gran Bretagna fornirà tali munizioni, “non c’è dubbio che finirà male” per Londra. In ogni caso “non sarei sorpreso da nulla, perché hanno completamente perso il senso dell’orientamento riguardo alle loro azioni e al modo in cui minano la stabilità strategica in tutto il mondo”.

“Stanno cercando di combattere questo conflitto non solo in teoria fino all’ultimo ucraino, ma anche in pratica: l’Occidente sta cominciando a usare armi con elementi nucleari”, è stato invece il commento di Putin, che ha messo in chiaro che Mosca non resterà a guardare. Le armi all’uranio impoverito sono solo l’ultimo capitolo di una tensione senza fine tra il Cremlino e l’Occidente, mentre in Ucraina la guerra non vede tregua. Il presidente Volodymyr Zelensky ha ribadito di essere pronto a riprendersi “fino all’ultimo metro” del suo Paese, e lo ha dimostrato passando ancora una volta all’attacco contro obiettivi militari dei russi in Crimea: nella serata di lunedì, un’esplosione nella città di Dzhankoi, nella penisola ucraina occupata, ha distrutto missili da crociera russi destinati alla flotta del Mar Nero, secondo Kiev che però non ha rivendicato alcuna operazione.

Ma per i media di Mosca, sono stati ovviamente droni ucraini a colpire la città, che rappresenta lo snodo ferroviario più importante per i rifornimenti russi alla Crimea. Uno dei velivoli è stato abbattuto e un civile è rimasto ferito dai detriti, ha riferito il governatore filorusso della penisola. Il conflitto poi è tornato a sconfinare in Russia, dove le forze ucraine hanno attaccato con droni una stazione di pompaggio del petrolio nella regione di Bryansk, senza causare vittime, secondo il governatore Alexander Bogomaz. E dopo l’incidente tra il drone americano e i caccia russi sul Mar Nero, è tornata la tensione anche nei cieli del Baltico, dove un jet Sukhoi è stato fatto alzare in volo per identificare e intercettare due bombardieri Usa B-52H “diretti verso il confine russo”, a detta dei militari di Mosca.

Alla vigilia di quella che potrebbe essere la controffensiva di primavera inoltre, gli Stati Uniti stanno accelerando sulle consegne a Kiev dei tank Abrams e dei sistemi di difesa aerea. A confermarlo è stato il Pentagono dopo indiscrezioni dei media, secondo cui Washington opterà per l’invio di un modello vecchio ricondizionato di carri armati che potrà arrivare in otto-dieci mesi, mentre due Patriot saranno dispiegati in Ucraina nelle prossime settimane.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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