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Cronache

L’omicidio del vice brigadiere Cerciello e i rigurgiti di razzismo sopiti dall’assassino americano

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Anche l’assassinio del giovane Vice brigadiere dei Carabinieri, Mario Cerciello Rega, spenti questi giorni di delirio razziale sfociato nell’odio, non insegnerà nulla agli italiani e prima di tutto alla classe dirigente che dovrebbe accompagnare nel percorso della convivenza civile il popolo elettore. Appena ieri non si contavano le dichiarazioni di un popolo di odiatori seriali, volte a richiedere sedie elettriche, roghi, occhio per occhio e dente per dente, impiccaggioni nello stile Klu Klux Klan e sventramenti per presunti colpevoli che immancabilmente dovevano essere per forza nordafricani, marocchini, tunisini e condizione ineluttabile, clandestini arrivati con i barconi che la “sinistra” e le ONG vogliono far arrivare in Italia, proteggendo anche una comandante che si presenta in aula addirittura senza reggiseno.

Questo odio seriale, becero e cieco, ovviamente non ha subito alcun freno da parte di chi dovrebbe governare su tutti in modo equo e senza “vincoli di mandato” nessun freno da parte di chi, in perenne campagna elettorale, non si preoccupa minimamente del perché sia morto in quel modo un giovane sottoufficiale dell’Arma, ma si bea delle reazioni antimmigrazione suscitate, probabilmente, da esigenze investigative, ideate  per stanare far credere ai veri assassini  di essere su cattive tracce.

Questa ondata di odio, poi si è “miracolosamente” spenta, questa ondata di odio ha dato ragione a chi pensava che essa fosse solo dettata dal razzismo, si signori, diamo nome e cognome alle cose, al razzismo che è insito in tutti coloro che sono pronti a scrivere che il colpevole non è più il maggiordomo, ma lo sporco negro, sempre e comunque. Questa ondata di odio, a cui poco interessa la sorte del giovane Vice brigadiere, della famiglia, e dei suoi affetti, appena ha saputo della confessione dell’“americano”   ha cambiato registro, non più odio seriale, non più sedia elettrica (materiale di cui negli USA sono ben forniti) ma hanno cominciato a parlare di ragazzi, di drogati,   hanno addirittura cancellato post e condanne già emesse nei loro profili social e addirittura, casi ancora più vergognosi,  alcuni giornali e “giornalisti” sono ricorsi alle cancellazioni di intere pagine dove oltre ai falsi fatti erano state emesse vere condanne.

Nelle stesse pagine si legge ora che non bisogna essere buonisti, e già si ritrova il nuovo nemico da odiare, il buonista, non l’assassino, non un americano pugnalatore a tradimento, ma il nemico è il buonista, ossia coloro che come Luca Bizzarri, figlio di carabiniere, chiedono un processo giusto, un processo vero un processo che condanni un assassino, sia esso americano, svedese, nordafricano o italiano e  non processi, come ne abbiamo visti in passato che sono apparsi volutamente pilotati se a sedere sul banco degli imputati ci fosse un cittadino a stelle e strisce. I Buonisti, quelli veri, non quelli d’accatto e di convenienza come ora, richiedono un processo che non ci dica che quelli che ancora sono presunti assassini, adducano tesi difensive del tipo  che non si distingue bene una divisa dei carabinieri in una calda notte romana e che quindi sono stati presi dalla paura di una aggressione.  Quelli buonisti, invocano da sempre un processo giusto, che vuol dire essere processati veramente, qualunque sia il colore della pelle o l’idea politica che si professa, un processo che giudichi  il reato commesso in base agli articoli contestati e non in base alla casta sociale di appartenenza.

No, il sacrificio del carabiniere Mario Cerciello Rega, non servirà a far comprendere a queste persone del loro odio cieco, non servirà fin quando gli esempi di alcuni che oggi si sono eletti classe dirigente saranno di istigazione e farciti da false e solo propagandistiche notizie. Per ora dobbiamo solo essere vicini alla famiglia e ai suoi cari e fare di tutto affinché siano loro i primi per i quali venga  fatta vera giustizia.

Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse, Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES. Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli. Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli. Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International. Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.

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Carabiniere ucciso nel 1987, Corte d’Assise vuole perizia fonica

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Nella tarda mattinata la Corte d’Assise d’appello di Bologna ha dato incarico per una perizia fonica sulla voce del telefonista che da una cabina del litorale ferrarese ai familiari chiese il riscatto di 300 milioni di lire per la liberazione di Pier Paolo Minguzzi, 21enne studente universitario di Alfonsine (Ravenna), figlio di imprenditori dell’ortofrutta e carabiniere di leva a Bosco Mesola, nel Ferrarese, rapito e subito ucciso nella notte tra il 20 e il 21 aprile 1987 mentre, in un periodo di licenza pasquale, rincasava dopo avere riaccompagnato la fidanzata. I suoi aguzzini infine lo gettarono nel Po di Volano da dove il corpo riaffiorò l’uno maggio successivo. In totale sono tre gli imputati: tutti assolti in primo grado il 22 giugno 2022, dopo poco più di un’ora di camera di consiglio a fronte di altrettante richieste di ergastolo, per non avere commesso il fatto.

Si tratta di due ex carabinieri al tempo in servizio alla caserma di Alfonsine: il 59enne Angelo del Dotto di Ascoli Piceno (avvocato Gianluca Silenzi) e il 58enne Orazio Tasca, originario di Gela (Caltanissetta) ma da anni residente a Pavia (avvocato Luca Orsini). E dell’idraulico del paese: il 67enne Alfredo Tarroni (avvocato Andrea Maestri). Parte civile, oltre ai familiari del defunto, figura il nuovo sindacato carabinieri (Nsc) con l’avvocato Maria Grazia Russo. In particolare la Corte bolognese vuole capire se chi aveva realizzato le telefonate estorsive alla famiglia Minguzzi, possa o meno essere identificabile in Tasca attraverso la comparazione delle registrazioni della voce dell’imputato provenienti dal processo per la tentata estorsione, sempre da 300 mila euro, a un altro imprenditore ortofrutticolo della zona, Contarini.

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In Cassazione definitive le condanne per la morte di Desiree

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La Cassazione ha reso definitive le ultime due condanne relative all’omicidio di Desiree Mariottini, la ragazza di 16 anni trovata morta il 19 ottobre del 2018 in uno stabile abbandonato a Roma, nel quartiere San Lorenzo. Nel procedimento erano coinvolti quattro cittadini di origini africane. Contestati, a seconda delle posizione, omicidio, violenza sessuale, cessione di droga e morte come conseguenza di altro reato. I Supremi giudici hanno confermato quanto stabilito nel secondo processo di appello, nel maggio scorso. In particolare diventano definitive le pene a 22 anni per Mamadou Gara, e a 26 anni per Alinno Chima. Era già definitive le condanne a 18 anni per Brian Minthe e all’ergastolo per Yousef Salia.

– Il secondo processo di appello era stato disposto dalla Cassazione che nell’ottobre del 2023 laveva fatto cadere alcuni capi di imputazione. Secondo quanto accertato dagli inquirenti la 16enne morì a causa di un mix letale di sostanze stupefacenti. La ragazzina, vittima anche di abusi, fu trovata senza vita in un immobile abbandonato nel quartiere San Lorenzo. Una fine tragica in cui fu determinate, secondo l’accusa portata avanti dalla Procura, il ruolo svolto dai quattro. In base all’impianto accusatorio, gli imputati non fecero sostanzialmente nulla, non mossero un dito per cercare di salvare la vita alla ragazza originaria della provincia di Latina. Nelle motivazioni dell’appello bis i giudici parlarono di “volontarietà della azione criminosa” posta in essere ai danni di Desirèe “dagli imputati Salia, Alinno e Minteh, i quali, a fronte della ormai gravissima condizione di debilitazione psico-fisica in cui versava la minore, che a quel punto già appariva in stato di incoscienza, non solo non prestavano il soccorso dovuto alla persona offesa, mostrando un’assoluta indifferenza verso la vita della giovane vittima, ma si opponevano fermamente e minacciavano chi suggeriva l’intervento di un’ambulanza che avrebbe impedito la morte della ragazza”.

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Neonati morti, ‘Chiara deve andare in carcere’

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domiciliari non bastano, Chiara Petrolini deve andare in carcere: la decisione è del tribunale del Riesame di Bologna che due giorni dopo l’udienza ha accolto l’appello della Procura di Parma. Non è però esecutiva, ma resta sospesa come sempre avviene in questi casi: bisogna attendere prima il deposito delle motivazioni e poi l’esito dell’eventuale, ma praticamente certo, ricorso della difesa in Cassazione. Non succederà prima di almeno un paio di mesi. “Prendo atto della decisione. Come già detto, a mio avviso, gli arresti domiciliari sono in realtà adeguati al contenimento delle esigenze cautelari proprie di questa vicenda (su cui unicamente occorre concentrarsi).

D’altro canto la misura cautelare non può e non deve mai rappresentare un’anticipazione della pena”, ha detto il difensore della ragazza, l’avvocato Nicola Tria. E’ un punto segnato dall’accusa, che ha chiesto la restrizione più severa della libertà, contestando alla 21enne l’omicidio premeditato e la soppressione dei cadaveri dei due neonati partoriti il 12 maggio 2023 e il 7 agosto 2024 e poi ritrovati a distanza di circa un mese l’uno dall’altro, nel giardino della villetta dove viveva la famiglia, a Vignale di Traversetolo.

Due gravidanze tenute nascoste a tutti, familiari ed ex fidanzato compreso. L’avvocato del ragazzo, Monica Moschioni, si limita a dire: “Attendiamo di sapere quale sarà la decisione definitiva, qualora dovesse essere proposto ricorso per Cassazione dalla difesa di Chiara. Ovviamente, come tutti, non conosciamo le motivazioni a sostegno di questa decisione e per ora Samuel dovrà metabolizzare questa notizia”. La giovane era agli arresti dal 20 settembre, quando il Gip di Parma aveva accolto parzialmente le richieste cautelari della Procura, che con il procuratore Alfonso D’Avino e il pm Francesca Arienti coordina le indagini dei carabinieri.

Le prime volte che è stata sentita, all’epoca a piede libero, la ragazza ha ammesso che i bambini erano suoi, ha parlato del silenzio sulle gravidanze, ha detto che il bambino partorito ad agosto era nato morto, ma gli esami medico legali hanno chiarito che ha respirato e sarebbe morto dissanguato, mentre quelli sui resti del primogenito sono ancora in corso.

Poi, nelle due occasioni successive, gli interrogatori dopo l’esecuzione della misura, si è avvalsa della facoltà di non rispondere. E il 15 settembre non si è presentata in udienza a Bologna, dove si discuteva dell’adeguatezza dei domiciliari. In quell’occasione la difesa ha ribadito l’insussistenza del rischio di reiterazione del reato. Secondo la Procura, invece, gli arresti a casa con la famiglia non sono sufficienti perché non si può affidare proprio a quei genitori che non si sono mai accorti di quello che avveniva nelle mura domestiche l’efficacia della misura.

A sostegno di questa tesi è stato sottolineato anche che Chiara avrebbe continuato a mentire, anche alle amiche, anche quando ormai, a settembre, le notizie su quanto era successo erano iniziate a circolare sui mezzi di informazione. Negli atti che la Procura ha presentato al Riesame sarebbero state ricapitolate proprio queste bugie che la 21enne ha detto, riferite dalle stesse amiche, sentite a verbale dagli inquirenti.

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