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Lombardia,Moratti prima al deposito delle candidature

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La prima lista a presentarsi alla Corte d’Appello di Milano per depositare le candidature alle regionali in Lombardia è la civica di Letizia Moratti, che corre per il Pirellone con il sostegno del Terzo polo. Nella lista non figura nessuno dei quattro consiglieri espulsi dalla Lega dopo aver formato un nuovo gruppo consiliare che si rifà al Comitato Nord di Umberto Bossi. Alla fine è stata decisiva la volontà del Senatùr, che ha chiesto ai consiglieri di “restare fedeli” a quelli che sono gli obiettivi della corrente interna al Carroccio. “Che non è nata per competere alle elezioni regionali – si legge poi in una nota del Comitato – ma per portare avanti l’autonomia e le istanze del Nord”. A mettere un punto anche i diretti interessati che sottolineano come avrebbero potuto “percorrere altre strade”, un’ipotesi scartata perché “non coerente con la nostra storia politica”.

Nella civica di Moratti i capilista su Milano sono il consigliere regionale Manfredi Palmeri e la presidente della commissione antimafia della Lombardia Monica Forte. In lista ci sono comunque vecchie conoscenze del centrodestra, come l’ex presidente del Consiglio regionale ed ex leghista Davide Boni e l’ex Forza Italia Valentina Aprea. Anche la civica del governatore Fontana ha depositato le candidature: nel capoluogo lombardo figurano, tra gli altri, il direttore generale dell’Ordine degli avvocati di Milano Carmelo Ferraro e l’ex sindaca di Magenta Chiara Galati. Lista depositata anche per il ‘Patto Civico per Pierfrancesco Majorino presidente’. A guidare la civica dell’europarlamentare Pd è il direttore dell’Irccs Galeazzi Fabrizio Pregliasco. Per i dem, invece, la capolista su Milano è l’ex direttrice del carcere di Bollate Cosima Buccoliero. Cercano di rientrare al Pirellone anche i consiglieri regionali Pietro Bussolati, Paola Bocci, Carlo Borghetti e Carmela Rozza.

Tra le fila di Fratelli d’Italia il capolista è il giornalista Vittorio Feltri. Ci sono anche l’ex Fi Marco Bestetti, i consiglieri uscenti Franco Lucente e Marco Alparone, l’ormai ex consigliere comunale di Milano Popolare Matteo Forte che tenterà di collezionare le preferenze di Cl e il direttore d’orchestra Alberto Veronesi che nel 2016 si era candidato con il centrosinistra alle comunali nella lista del sindaco Giuseppe Sala. La Lega candida a Milano l’assessore lombardo alla Casa Alan Rizzi che lascia Forza Italia. Nel Carroccio il capolista è il consigliere uscente Riccardo Pase. La deputata Cristina Rossello è la capolista su Milano di Fi: dietro di lei, tra gli altri, i consiglieri regionali uscenti Giulio Gallera, Gianluca Comazzi, Fabio Altitonante e la sindaca di Assago Lara Carano. Il consigliere Nicola Di Marco è invece il capolista per il M5s. Con lui anche il collega di banco al Pirellone Gregorio Mammì e l’ex candidata sindaca di Melzo Federica Casalino. Per quanto riguarda l’accettazione delle candidature a presidente, oggi sono stati i consegnati i documenti di Moratti, Majorino e di Mara Ghidorzi, candidata di Unione Popolare, mentre mancano ancora quelli di Fontana.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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