Oggi ho letto una notizia che mi ha preoccupato. Anzi, ne ho lette più d’una che hanno avuto il medesimo effetto.
Un forte senso di disagio mi ha assalito già sentendo il governatore della Campania litigare con il ministro dell’Interno e dare sempre più l’immagine di uno Stato completamente allo sbando, creando una confusione ormai imbarazzante.
Pensavo, ad esempio, ai poveri poliziotti ad un posto di blocco nel centro storico di Napoli, chiamati a spiegare a qualche becero viandante la prevalenza di un’ordinanza rispetto ad un’altra, in un ormai complicatissimo equilibrio tra fonti del diritto.
Ho girato pagina alla disperata ricerca di una notizia che mi rasserenasse, almeno un po’.
Ed invece il mio già precario equilibrio psicofisico ha subito un altro colpo durissimo.
Mi sono imbattuto in un manifesto, una specie di proclama, una chiamata alle armi, sotto forma di padelle e cucchiarelle sbattute alle ringhiere. Un flashmob, promosso, a quanto riportato, dai detenuti delle carceri napoletane.
Antonio Bastone. Il narcotrafficante di Secondigliano che scrive lettere dal carcere di Poggioreale dov’è ristretto da un po’ di anni
Voglio essere chiaro subito, non ho niente contro i detenuti. Voglio solo che scontino la giusta pena, irrogata dopo un regolare processo, perché paghino per il danno procurato alle loro vittime, centinaia di persone perbene derubate, rapinate, violentate, drogate e uccise.
Solo questo vorrei, vorrei che il mio Stato, uno Stato serio e affidabile, assicurasse giustizia. A tutti e per tutti.
E vorrei che lo facesse con una reale funzione rieducativa, consentendo ai detenuti di ripagarsi le spese sostenute per la loro detenzione attraverso un sano e costruttivo lavoro nel carcere e, a certe condizioni per i soggetti meno pericolosi, anche fuori.
Il carcere di Poggioreale. Una foto di archivio di Mario Laporta – Ag. Controluce – ITALY – Poggioreale Jail in Naples.
Vorrei che lo facesse assicurando condizioni di detenzione decenti, commisurate alla situazione di espiazione di una pena, ricordando agli “ospiti” che, comunque, non saranno mai come quelle di un albergo stellato.
Vorrei che i reclusi più pericolosi fossero messi in condizione di non nuocere più.
Vorrei che il personale tutto, dai direttori agli agenti della polizia penitenziaria, fosse gratificato per il lavoro svolto e che il loro impegno non fosse quotidianamente mortificato.
Vorrei in buona sostanza che ci fosse una vera strategia in un settore nevralgico, da troppo tempo trascurato. E che questa strategia si basasse su una profonda consapevolezza del fenomeno carcerario.
In questa situazione di emergenza, in particolare, vorrei che, invece di spingere per provvedimenti clemenziali senza criterio, si lottasse perché ci fossero strutture sanitarie interne adeguate, presidi utili e scelte ponderate.
Per garantire davvero la tutela della salute di tutti, stando ben attenti che in queste situazioni emergenziali si insinuano sempre, come la storia ci insegna, bieche dinamiche criminali.
I segnali sono già fin troppo evidenti. Il problema sanitario non ha certo cancellato le mafie, le loro modalità operative, i loro interessi che passano anche attraverso il carcere.
Tanti pericolosi delinquenti stanno già pensando a come approfittare -anche ai danni dei loro stessi compagni di detenzione – della situazione.
Napoli, Italia – Il carcere di Poggioreale. Ph. Mario Laporta Ag. Controluce ITALY – Poggioreale Jail in Naples.
Sembra che ce ne siamo dimenticati.
Attenti alle mafie, loro non si sono ammalate, anzi sono ancora più forti e pericolose!
Il carcere è un mondo che va conosciuto e gestito con il giusto mix di fermezza, umanità e lungimiranza.
La criminalità organizzata ha sempre una strategia e la mette in atto, spesso rimanendo dietro le quinte ad attendere il momento propizio.
Le Istituzioni e gli uomini che le rappresentano devono essere capaci di prevenire le loro mosse prima che il problema scoppi in tutta la sua virulenza e diventi ingestibile.
Ecco, è questo che da uomo dello Stato mi aspetterei. O almeno che ci fossero comportamenti e risposte tranquillizzanti rispetto ad un generale grido di allarme.
E vorrei che queste scelte venissero davvero compiute, prima che sia troppo tardi e che il frastuono delle pentole sulle sbarre dei balconi non diventi tanto assordante da non poter più fare a meno di ascoltarlo.
Il rischio reale è che anche in buona fede si arrivi ad essere costretti ad adottare provvedimenti generali che favorirebbero ancora una volta la criminalità organizzata.
Un delicato equilibrio tra il rispetto del voto dei cittadini e la gravità dell’infiltrazione criminale. Questo il tema che oggi il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha portato all’attenzione dell’Anci, lanciando la proposta di rimodulare l’articolo del testo unico sugli enti locali sullo scioglimento delle amministrazioni ‘sospette’. L’idea del titolare del Viminale è quella di creare una nuova figura, una sorta di tutor, che possa intervenire nelle situazioni meno gravi e complesse evitando quindi lo scioglimento del Comune, provvedimento “lacerante e doloroso”, come ha spiegato lui stesso all’assemblea dei sindaci riunita a Torino. Ma non solo, Piantedosi ha anche confermato l’intenzione del governo di voler ripristinare le Province, con l’elezione diretta e la rimodulazione delle competenze. “La cosiddetta abolizione si è rivelata fallimentare – ha detto – pensiamo ad un un passo indietro”. Il focus dell’intervista che oggi ha visto protagonista il ministro dell’Interno è stato quello della riforma del Tuel, un testo che – ha detto lo stesso Piantedosi – “ha ormai un quarto di secolo di vita”.
“Credo – ha ribadito – che ci sia un unanime convincimento che la riforma sia indispensabile e necessaria”. Tra le “questioni da limare” ci sarebbe proprio quella delle province, un tema che già dal suo insediamento anche il ministro per l’Autonomia, Roberto Calderoli, aveva fortemente rilanciato. “Noi – le parole di Piantedosi – cercheremo di condividere questa ipotesi di riforma con tutte le parti politiche, compresa l’attuale opposizione”. La revisione del testo, inoltre, potrebbe prevedere anche novità sullo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose, previsto dall’articolo 143. “L’esperienza pratica ci ha insegnato” che è meglio mettere “nel sistema qualcosa in mezzo tra scioglimento e non scioglimento, come misure di affiancamento, una sorta di commissariamento”.
“Nessuno – ha sottolineato il titolare del Viminale – immagina di poter arretrare rispetto ai presidi di legalità. Ma è sempre lacerante e doloroso il fatto che ci siano misure molto forti che incidono sui principi democratici. Bisogna cercare una ulteriore forma di equilibrio tra mantenimento dell’esito dei circuiti democratici e il presidio di legalità”. Prima di lasciare il palco, il ministro è tornato a ribadire la volontà del governo di spingere sulla videosorveglianza nella città. “Vorremmo creare un paniere di risorse economiche per implementare e aggiornare i sistemi – ha concluso -. Non è che ci piace il Grande Fratello, ma i dati ci dicono che più del 50% dei reati che viene scoperto si avvale di strumenti di indagine legati alla videosorveglianza. Andiamo incontro all’intelligenza artificiale, è illusorio pensare che la privacy possa frenare le enormi potenzialità che questi sistemi danno. Credo che la soluzione sia nell’avere fiducia nelle istituzioni”.
Del figlio non sa più nulla dal 10 novembre scorso, dal giorno dopo un arresto al Cairo dai contorni tutti da chiarire. E’ la vicenda che riguarda Elanain Sharif, 44enne nato in Egitto ma cittadino italiano, di cui la madre dice di avere perso le tracce dopo che è stato fermato dalle autorità egiziane al suo arrivo dall’Italia. Un caso seguito con la “massima attenzione” dalla Farnesina dopo la denuncia della donna che era col figlio al momento del fermo. L’uomo si troverebbe, comunque, in una struttura nota anche alle autorità italiane. La madre avrebbe appurato che si trova nel carcere di Alessandria d’Egitto.
Sharif e la madre erano atterrati al Cairo provenienti dall’Umbria. L’uomo vive, infatti, da alcuni anni a Terni mentre la madre è residente a Foligno ed è sposata con un italiano. “E’ una vicenda che inevitabilmente ci riporta ai casi di Regeni e Zaky – afferma l’avvocato Alessandro Russo, legale della famiglia -. Sono andati al Cairo dove hanno un appartamento, erano lì per commissioni come avevano fatto tante altre volte ma appena arrivato è stato bloccato e gli hanno sequestrato il passaporto italiano”. Su punto a quanto si apprende, essendo anche cittadino italiano, Sharif aveva scelto di rientrare in Egitto col passaporto egiziano, e anche per questo è stata più lenta la procedura per una visita consolare. Sui motivi dell’arresto gli elementi sono al momento pochi. “Ciò che ha portato all’arresto non è chiaro, si tratterebbe di qualcosa legato a contenuti su Facebook ma non abbiamo capo di imputazione”, dice l’avvocato. Sharif lavora nell’industria del porno (è noto come Sheri Taliani) e questo potrebbe essere il motivo dell’arresto e in particolare l’avere diffuso immagini vietate dalle leggi egiziane.
“In aeroporto è stato tenuto a lungo negli uffici della polizia e poi la madre lo ha visto uscire con le manette ai polsi – aggiunge – Le procedure di arresto sono state effettuate utilizzando solo il passaporto egiziano, quello dell’Italia gli è stato restituito alcuni giorni dopo”. Sharif è stato, quindi, trasferito nel carcere della Capitale. “E’ stato lì per alcuni giorni, in condizioni inumane: senza potere dormire, poteva stendersi solo per mezzora, per sedersi su una sedia, anche per pochi minuti, doveva pagare. La madre l’ha visto per pochi istanti, il 10 novembre poi più nulla”, aggiunge il legale.
Russo ha immediatamente allertato la Farnesina e l’ambasciata italiana. La sede diplomatica al Cairo, in stretto coordinamento con il Ministero degli Esteri, sta seguendo “con la massima attenzione il caso” e l’ambasciata sta avendo costanti contatti con la madre dell’uomo. La donna, non senza difficoltà, è riuscita ad appurare che Sharif è stato trasferito nel carcere di Alessandria d’Egitto. “Lei ora è lì, assieme al fratello che lavora nella polizia egiziana e spera di avere notizie di un suo rilascio ma è preoccupatissima”, aggiunge Russo.
Avrebbe occultato beni mobili e somme di denaro per oltre 450mila euro e trasferito la sua attività commerciale da Cava De’ Tirreni a Santa Teresa di Gallura per sottrarre i suoi averi al recupero forzoso: un affermato imprenditore campano di 60 anni, è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta, frode fiscale e reati tributari. Firmato anche un decreto di sequestro preventivo dei beni finalizzato alla confisca. Le indagini che hanno portato all’applicazione della misura cautelare nei confronti dell’industriale, molto conosciuto nella provincia di Salerno, sono partite dalla Procura di Tempio Pausania e affidate alla tenenza della Guardia di Finanza di Palau e altri reparti. E’ stato così possibile ricostruire la vicenda fiscale dell’imprenditore attivo nel settore del commercio di abiti da cerimonia. A Santa Teresa di Gallura, attraverso il figlio, gestiva un bar ristorante, dichiarato poi fallito nel luglio del 2021.