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Esteri

‘L’Iran si vendicherà’, Israele chiude le ambasciate

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Dove, come e quando lo deciderà la guida suprema Ali Khamenei, ma “l’Iran risponderà. Senza dubbio”. Il leader degli Hezbollah libanesi, Hasan Nasrallah, torna a farsi portavoce della minaccia di vendetta degli ayatollah contro Israele: l’attacco al consolato iraniano a Damasco che ha ucciso alti funzionari dei Pasdaran rappresenta “una svolta nella guerra in corso” e non resterà impunito.

Lo Stato ebraico, in allerta da giorni per una possibile rappresaglia iraniana, ha deciso – riferisce Haaretz – di chiudere per precauzione circa 30 ambasciate nel timore di attentati, compresa la sede diplomatica di Roma, nei pressi di Villa Borghese, e di rafforzare le misure di sicurezza in tutte le istituzioni israeliane nel mondo. A Teheran intanto in migliaia hanno partecipato ai funerali dei sette Guardiani della rivoluzione uccisi nel raid del primo aprile, mai rivendicato da Israele, che ha centrato l’edificio consolare iraniano.

Al grido di ‘Morte all’America’ e ‘Morte a Israele’, le esequie si sono presto tramutate nell’ennesima dimostrazione di rabbia, in coincidenza con la Giornata internazionale per Gerusalemme, ricorrenza istituita con la rivoluzione islamica del 1979 per manifestare il sostegno alla Palestina nell’ultimo venerdì di Ramadan. La fine del mese sacro per i musulmani, che volge al termine in un clima di altissima tensione ma senza particolari incidenti anche sulla Spianata delle Moschee, è però un’ulteriore fonte di preoccupazione per Israele che, a sei mesi esatti dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, teme un altro Shabbat nero. La guerra nella regione “è entrata in una nuova fase”, ha avvertito ancora Nasrallah, annunciando di non voler interrompere le ostilità al confine sud del Libano contro Israele “per sostenere la resistenza a Gaza”.

Finora “abbiamo impiegato solo una minima parte delle nostre forze, i nostri combattenti non lavorano a pieno ritmo: anche le armi, ne abbiamo usate pochissime”, ha ammonito con toni minacciosi che le milizie filoiraniane si sono però guardate, fino a questo momento, di tradurre in una vera e propria guerra che il Paese dei cedri, in profonda crisi economica, non potrebbe sopportare. Anche l’Iran sembra voler evitare uno scontro diretto con Israele, utilizzando piuttosto i gruppi sciiti anti-occidentali, come appunto gli Hezbollah o gli Houthi yemeniti che continuano a prendere di mira le navi mercantili nel Mar Rosso. Ma l’onta di Damasco deve essere lavata: “Non c’è modo di salvare i sionisti, non possono scegliere tra morte e vita, la loro opzione è la resa”, ha tuonato ai funerali il comandante dei Pasdaran, il maggior generale Hossein Salami.

“Siamo certi che questo sentimento che viene dal cuore porterà alla distruzione del regime sionista”, gli ha fatto eco il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, nel corso delle celebrazioni a Teheran. “I crimini del regime sionista vanno avanti da 75 anni e, se Dio vuole, ci sarà una vittoria finale da parte del popolo palestinese e dei musulmani”.

L’esercito israeliano ha garantito di essere “pronto a ogni scenario”, e ha elencato una serie di misure “difensive e offensive” anche per rassicurare la popolazione. Il timore è però anche quello di azioni ad ampio raggio, in particolare nei Paesi amici di Israele, dove appunto sono state chiuse le ambasciate. Sulla scia di un antisemitismo che, dall’avvio della guerra dello Stato ebraico a Gaza in risposta al massacro del 7 ottobre, ha rialzato la testa in Europa e in Occidente. L’ultimo episodio: una molotov è stata lanciata contro la porta di una sinagoga a Oldenburg, nel nord della Germania, senza causare feriti.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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