La disponibilità di reddito reale delle famiglie italiane resta lontana da quella del 2008 e negli ultimi due anni accusa un nuovo colpo legato alla fiammata dei prezzi. Migliorano invece gli altri parametri “sociali, dall’occupazione al rischio di povertà per chi lavora passando per la quota di Neet e dei laureati tra i giovani. Secondo i dati pubblicati da Eurostat nel Quadro di valutazione sociale che monitora il progresso sociale in tutta Europa il reddito disponibile reale lordo delle famiglie nel 2023 in Italia è diminuito. Colpa dell’inflazione. Si è così attestato oltre sei punti al di sotto di quello del 2008, l’anno pre-crisi: a 93,74 considerando 100 il 2008. In Europa, invece, si sono recuperati in media, nello stesso periodo, oltre 10 punti, con l’indice a quota a 110,82. Il dato ha riaperto il dibattito sul mercato del lavoro con i sindacati che ribadiscono la necessità di rinnovare i contratti per recuperare il potere d’acquisto e la Confesercenti che sottolinea come sui redditi si siano “persi vent’anni” dato che per recuperare i livelli di reddito reale del 2008 servirà il 2028.
La Cisl, poi, torna a chiedere di lavorare a un accordo tra governo e sindacati per una nuova politica dei redditi. Eurostat segnala che migliorano i marcatori dell’Italia sul lavoro e sull’istruzione. Soprattutto il dato sul rischio di povertà per chi comunque lavora segna il livello più basso dal 2010. Quasi sempre, però, i dati restano al di sotto di quelli medi dell’Ue. Il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni in Italia sale di 1,5 punti arrivando al 66,3% nel 2023. Ma nonostante la crescita doppia rispetto alla media Ue (+0,7 punti) il recupero non basta: l’Italia resta ultima in classifica, distante dagli altri Paesi europei soprattutto per quanto riguarda l’occupazione femminile. Il Paese registra poi un miglioramento della disoccupazione – un calo di 0,4, flessione che viene ancora accentuata quest’anno-, un crollo per i Neet, i giovani che non sono in un percorso di istruzione e formazione e non lavorano, che si attestano al 16,1%,, il dato più basso dall’inizio delle serie storiche nel 2009.
La vivacità del mercato del lavoro è evidente anche dalla riduzione sensibile della disoccupazione di lunga durata, cioè di coloro sono senza lavoro da oltre un anno. Ma i sindacati sottolineano come tanti dei nuovi occupati facciano i conti con lavoro precari con retribuzioni basse. E l’aumento della forza lavoro è legato in parte anche alla necessità di entrare nel mercato di persone prima inattive per far fronte alla caduta dei redditi reali delle proprie famiglie, falcidiati dall’inflazione. I dati Eurostat sul reddito disponibile reale lordo delle famiglie nel 2023 – affermano i consumatori del Codacons – “certificano lo tsunami caro-prezzi che si è abbattuto sulle famiglie italiane, e che ha inciso in modo sensibile sulle disponibilità economiche dei cittadini. Tra il 2022 e il 2023 ci sono stati rialzi abnormi dei prezzi, al punto che l’inflazione complessiva del biennio ha raggiunto il 13,8%”.
L’aumento della domanda di lavoro con la difficoltà per molte imprese di coprire il fabbisogno ha probabilmente spinto in basso il rischio di povertà tra le persone che lavorano. Nel 2023 è sceso al 9,9% dall’11,5% di qualche anno prima. Si tratta del tasso più basso dopo il 2010 che misura le persone che pur lavorando, spesso con un part time o con contratti precari, hanno un reddito inferiore al 60% del reddito disponibile mediano e sono considerati sotto la soglia della povertà. I dati sociali in Italia migliorano poi anche sul fronte dell’istruzione: la percentuale di chi lascia la scuola precocemente scende dall’11,5% al 10,5% toccando il tasso più basso dall’inizio delle serie storiche nel 2000 quando la percentuale superava il 25%. Cresce anche il tasso dei laureati con il passaggio dal 27,4% al 29,2% nel 2023 delle persone tra i 30 e i 34 anni, anche se l’Italia resta distante dalla media Ue passata dal 42,8% del 2022 al 43,9% dell’anno dopo. Fa peggio solo la Romania.