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L’Europa sceglie ancora Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni si astiene

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La fumata bianca è arrivata. I leader Ue blindano l’accordo confezionato da popolari, socialisti e liberali e consegnano le chiavi dell’Europa che verrà ancora a Ursula von der Leyen. Il sì alla triade che la tedesca formerà per i prossimi cinque anni con Kaja Kallas nelle vesti di Alto rappresentante Ue e Antonio Costa a guidare i lavori del Consiglio europeo ha trovato la maggioranza qualificata – rafforzata – necessaria intorno al tavolo dell’Europa building.

Ma, nonostante il negoziato serrato trainato dai popolari Ue per convincere anche l’esclusa Giorgia Meloni, l’Italia ha bocciato l’intesa astenendosi sul nome della tedesca e votando contro all’estone e al portoghese. Uno strappo che rischia di allargarsi nel segreto delle urne del voto finale all’Eurocamera a metà luglio, facendo pericolosamente vacillare il bis della delfina di Angela Merkel già impegnata a coprirsi le spalle dai franchi tiratori. L’annuncio, arrivato dopo l’ok dei leader all’agenda strategica per il prossimo mandato e dopo circa un’ora di confronto sulle nomine, è subito stato celebrato da Kallas e Costa.

L’estone, “onorata” per la “fiducia” riposta in lei, su X ha indicato la strada per un futuro nel quale “garantire che l’Europa sia un partner globale efficace mantenere i nostri cittadini liberi, sicuri e prosperi”. Una soddisfazione condivisa anche dal portoghese che sempre via social ha assicurato – “con un grande senso di missione” il suo impegno “a promuovere l’unità tra i 27 Stati membri”. La giornata era però iniziata con un indizio inequivocabile del cambio di strategia offerto dal presidente del Ppe, Manfred Weber, per ribaltare l’approccio che nei giorni scorsi aveva tagliato fuori la premier dalla trattativa lampo per portare a casa il negoziato. “L’Italia è un Paese del G7, leader nell’Ue” e i suoi “interessi”, è stato il monito, vanno presi in considerazione.

Poi, uno dopo l’altro, gli esponenti di punta dei popolari hanno teso la mano alla premier italiana. Negando che sia stata esclusa dai negoziati. Parlando di “un malinteso” e di ragioni “politiche” e matematiche di maggioranza. E confermando, per bocca del premier polacco e negoziatore Donald Tusk, che “non c’è Europa senza Italia” e che nessuna decisione può essere presa senza la sua leader. Una linea ribadita anche dal vicepremier Antonio Tajani che – impegnato a fare da sponda a Meloni e perorare la causa italiana di “un vicepresidente e un portafoglio di rilievo” nella Commissione europea – ha messo più volte in luce le “convergenze” tra il suo Ppe e l’Ecr della premier su più fronti – dall’Ucraina alla lotta alla migrazione clandestina.

Tornando a invocare un dialogo tra le due famiglie utile a dare nuova forma all’Europa e a spostare il baricentro della futura maggioranza. Che non dovrebbe, a giudizio del leader di Forza Italia, in alcun modo coinvolgere anche i Verdi. Geometrie del tutto opposte a quelle dei Socialisti che sono invece tornati a puntellare la loro linea rossa: “Nessuna collaborazione con Ecr” e “l’estrema destra”. Lo hanno ribadito riunendosi a porte chiuse prima dell’avvio del summit e lasciando parlare il capo negoziatore Olaf Scholz, voce anche dell’omologo e amico spagnolo Pedro Sanchez assente giustificato a Bruxelles per la morte del suocero. E poi, più apertamente, con le parole nette della leader del Pd, Elly Schlein, a ribadire il muro a “qualsiasi tipo di alleanza con l’Ecr di Giorgia Meloni e con Id di Marine Le Pen e Matteo Salvini”.

L’unica via per allargare la maggioranza, è stata l’indicazione della dem, è rivolgersi ad “altre famiglie democratiche come i Verdi europei, con cui ci sono tanti obiettivi condivisi come la difesa del Green Deal”. Chiuse le porte della girandola d’incontri tra famiglie politiche però i riflettori si sono spostati sulla scena del Consiglio europeo. Dove – dopo il blitz dei giorni scorsi dagli espliciti intenti anti-sovranisti pilotato insieme ad Emmanuel Macron per definire la rosa dei nomi – i toni di Scholz sono stati più concilianti nei confronti di Ventisette Paesi “tutti ugualmente importanti” per tutelare l’intesa.

Un accordo che, ha rimarcato anche il liberale Mark Rutte, è stato chiuso dai gruppi di maggioranza per i quali la presenza di Ecr è “inaccettabile”, senza però alcuna volontà di “escludere” l’Italia. Alla fine la premier – nonostante l’approccio “costruttivo” descritto da alcune fonti Ue – non ha cambiato idea. Al pari del però dato già per “irrecuperabile” Viktor Orban.

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Polemiche su assunzioni in Rai: damilismo e controversie scuotono l’azienda di viale Mazzini

Le recenti assunzioni in Rai hanno scatenato polemiche e accusazioni di familismo, sollevando dubbi sulla trasparenza dei processi di selezione interna. Questo articolo esplora le controversie emerse intorno alle nomine di Ferdinando Colloca e Matteo Tarquini, evidenziando le reazioni delle opposizioni politiche e dei sindacati.

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Le recenti nomine di Ferdinando Colloca e Matteo Tarquini in Rai hanno sollevato una serie di polemiche e critiche, alimentando dibattiti sulla gestione e la trasparenza dell’azienda radiotelevisiva pubblica italiana.

Ferdinando Colloca, noto come esponente di Casapound di Ostia e già coinvolto in un’inchiesta per affari con il clan Spada, è stato selezionato all’interno di una controversa procedura gestita da Adecco. Questo ha suscitato lamentele da parte dei sindacati, che avrebbero preferito una selezione interna più rigorosa. Nonostante le proteste, Colloca è stato assegnato alla direzione DayTime di Angelo Mellone, sebbene il diretto interessato abbia negato di aver avuto un ruolo decisionale nella sua assunzione. Inoltre, sia Ferdinando che suo fratello Salvatore sono stati impiegati in Rai prima dell’insediamento del nuovo consiglio di amministrazione a guida centrodestra, sollevando interrogativi sulla continuità delle politiche di gestione aziendale.

La seconda nomina controversa riguarda Matteo Tarquini, il cui padre Giovanni ha avuto Roberto Sergio come testimone di nozze nel 1990. Tarquini, esperto in applicazioni web e visual radio, è stato assunto a un livello di funzionario nella Rai, suscitando dubbi sulla base della sua esperienza e qualifiche relative alla posizione assegnata. La sua carriera in Rai, iniziata quattro anni fa, ha visto il suo ingresso durante il periodo in cui Sergio era già direttore di Rai Radio, aggiungendo un ulteriore strato di critiche sull’influenza personale nelle decisioni di assunzione.

Le reazioni politiche non sono tardate ad arrivare. Sandro Ruotolo, europarlamentare e responsabile dell’Informazione nel Partito Democratico, ha criticato aspramente l’azienda, accusandola di trasformarsi in un “suq” anziché mantenere un ambiente professionale e meritocratico. Angelo Bonelli, del partito Ambientalista Verdi, ha annunciato un’interrogazione parlamentare in commissione di Vigilanza Rai, mentre Maria Elena Boschi di Italia Viva ha promesso di indagare a fondo sulla questione. Il presidente di Fnsi, Vittorio Di Trapani, ha condannato le presunte pratiche nepotistiche, sottolineando un ritorno a metodi di gestione tipici della “vecchia politica”.

Nonostante le prime indagini interne attivate da Roberto Sergio per proteggere l’azienda e il suo ruolo, le interrogazioni e le critiche continuano a crescere, ponendo la Rai al centro di un acceso dibattito pubblico sulla governance e l’etica aziendale.

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Bonus fino a 200 euro per gli elettrodomestici green

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Un contributo del 30% del costo di acquisto degli elettrodomestici ‘green’ nel triennio 2023-2025, con un massimo di 100 euro per ciascun apparecchio, elevato a 200 euro per le famiglie con un Isee sotto i 25.000 euro. La commissione Attività produttive della Camera cerca di stringere sull’esame del progetto di legge che propone di introdurre nuovi incentivi per l’acquisto di elettrodomestici a grande efficienze energetica, con contestuale riciclo degli apparecchi obsoleti.

La proposta, avanzata dalla Lega, ha il triplice obiettivo di abbassare le bollette delle famiglie grazie ad elettrodomestici più efficienti, favorire il recupero di quelli non più utilizzabili, dare slancio al settore dell’elettronica e degli elettrodomestici, in sofferenza negli ultimi anni. Le audizioni informali sul progetto dovrebbero concludersi nei prossimi giorni, per poi permettere di chiudere l’esame del provvedimento, da parte della X commissione di Montecitorio, prima dell’estate.

Dopo Confesercenti, che ha chiesto di estendere il contributo alle imprese, Aires (l’associazione che riunisce aziende e gruppi distributivi specializzati di elettrodomestici ed elettronica di consumo, aderente a Confcommercio) ha espresso apprezzamento per la misura proposta, auspicando però che gli incentivi “possano essere più significativi” in termini economici. Ma è proprio il tema della coperture il nodo principale da sciogliere. L’atto chiede di istituire, nello stato di previsione del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, un fondo con una dotazione di 400 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025. “Sto avendo delle interlocuzioni col ministero dell’Economia e delle Finanze per vedere di trovare le risorse.

Sono moderatamente ottimista” ha detto il presidente della commissione, Alberto Luigi Gusmeroli, nonché primo firmatario del progetto di legge. “Ma possiamo fare anche cifre più contenute per far partire” gli incentivi, ha aggiunto. Intanto nella proposta, si specifica che il contributo è attribuito per l’acquisto di elettrodomestici di classe energetica non inferiore alla classe A per le lavatrici e lavasciuga; alla classe C per le lavastoviglie; alla classe D per i frigoriferi e i congelatori. Il contributo del 30% – sempre fino a un massimo di 200 euro per le famiglie con Isee più basso – verrebbe inoltre reso fruibile per l’acquisto di un solo elettrodomestico per ciascuna delle categorie energetiche elencate.

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Ustica, Quirinale: falsa notizia su apposizione segreto

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In riferimento ai post pubblicati sui social riguardanti una presunta apposizione del segreto di Stato sulle vicende di Ustica da parte del Presidente della Repubblica, l’Ufficio Stampa del Quirinale comunica quanto segue: « La notizia è palesemente falsa. Il Presidente della Repubblica non ha alcuna competenza sul segreto di Stato. Il Presidente Mattarella non ha mai pronunciato le parole che gli vengono attribuite. E’ ignobile e vergognoso far circolare sul web tali menzogne. Il contenuto dei post e dei relativi commenti sono stati segnalati alle autorità competenti per accertare se sussistano estremi di reato”.

L’ufficio stampa del Quirinale si riferisce ad un post di Matteo Gracis su Facebook, ricondiviso da altri utenti, che commenta le parole pronunciate da Mattarella il 27 giugno scorso, in occasione del 44/mo anniversario della strage di Ustica: “manca la verità, paesi amici collaborino”. “Questo “signore” è lo stesso che nel giugno del 2020 ha prorogato di 8 anni il segreto di stato proprio sui documenti relativi al caso Ustica e sapete con quale motivazione? Riporto testuali parole: ‘La verità farebbe male all’Italia’, scrive Gracis nel post.

– La polizia postale ha attivato delle verifiche sul post contro il Presidente della Repubblica a proposito della strage di Ustica, condiviso più volte sui social. La Polizia Postale, dopo la segnalazione del Quirinale, ha subito attivato approfondimenti sull’account e sul post e sugli utenti che lo hanno rilanciato.

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