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Le lacrime di Salah Abdeslam, ha causato 130 morti e 350 feriti ma ora chiede perdono

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“Vi chiedo di perdonarmi”. In occasione del suo ultimo interrogatorio al maxi-processo parigino per gli attacchi del 13 novembre 2015 che hanno causato 130 morti e 350 feriti tra lo Stade de France, il Bataclan e i locali del centro di Parigi, l’unico attentatore superstite del commando, Salah Abdeslam, si e’ “scusato” con le vittime e per la prima volta ha versato qualche lacrima dinanzi alla corte. Dopo aver tenuto la bocca cucita per lungo tempo, oggi il terrorista francese sorvegliato speciale nel carcere di Fleury-Me’rogis ha ripetuto la sua ultima versione dei fatti, gia’ illustrata nella precedente udienza di fine marzo. Vale a dire che nella notte degli attentati avrebbe dovuto farsi esplodere da kamikaze in un bar del 18/o arrondissement – lo stesso in cui sorgono Montmartre e la Basilica del Sacro Cuore – salvo poi “rinunciare” all’ultimo momento, vedendo tanti giovani come lui che si divertivano e gli assomigliavano. “Voglio presentare le mie condoglianze e le mie scuse a tutte le vittime”, ha dichiarato l’uomo di 32 anni intervenendo nell’aula bunker dell’Ile-de-laCite’, nel cuore di Parigi, in questi giorni dominata dalla cronaca politica legata al ballottaggio presidenziale del 24 aprile tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen. “So che c’e’ ancora dell’odio, oggi vi chiedo di detestarmi con moderazione”, ha detto con le lacrime sulle guance. “Vi chiedo di perdonarmi”, ha aggiunto davanti alla Corte d’assise speciale a conclusione del suo interrogatorio, iniziato mercoledi’. Alla domanda di una dei suoi legali se rimpiangesse di non essersi fatto esplodere, l’ex primula rossa ricercato numero 1 d’Europa prima della spettacolare cattura a Molenbeek, nell’agglomerato urbano di Bruxelles, il 18 marzo 2016, ha risposto: “Non lo rimpiango, non ho ucciso quelle persone e non sono morto”. E ancora: “Oggi vorrei dire che questa storia del 13 novembre si e’ scritta con il sangue delle vittime. E’ la loro storia e io ne faccio parte. Sono legati a me ed io sono legato a loro”. Durante l’udienza, Abdeslam si e’ messo a piangere parlando del dolore di sua madre e ha chiesto perdono anche agli altri tre imputati con lui, accusati di averlo aiutato durante la fuga: “Non volevo trascinarvi in tutto questo”. Se le mie scuse potessero “fare bene a una sola delle vittime, per me sarebbe una vittoria. E’ tutto quello che ho da dire”. Parole diverse da quelle che pronuncio’ all’inizio del maxi-processo, a settembre, quando invoco’ Allah come “unico Dio” e defini’ se stesso come “un combattente dello Stato islamico”. Quel giorno, Abdeslam arrivo’ fino contestare la legittimita’ della presenza in aula dei familiari delle vittime come parti civili: “I morti che ci sono stati in Siria e in Iraq potranno prendere la parola?”, disse rivolgendosi al giudice con aria di sfida mentre oggi il suo atteggiamento e’ ben diverso. “E’ una sorpresa”, ha reagito all’esterno del Palazzo di Giustizia, Georges Salines, papa’ di una delle novanta vittime del Bataclan, tra cui la ricercatrice veneziana Valeria Solesin. Il perdono “e’ importante che lo chieda… ci rifletteremo”, ha aggiunto. “Penso fosse sincero”, gli ha fatto eco Ce’dric, un superstite degli attacchi del 13 novembre mentre Ge’rard Chemla, avvocato di un centinaio di vittime, non e’ sembrato lasciarsi intenerire da un discorso che considera “costruito e affettato”. “Ha pianto per lui e per i suoi amici, non per le vittime”, ritiene il legale. A inizio giornata, un avvocato ha chiesto ad Abdeslam il modo in cui vorrebbe essere ricordato. “Non voglio essere ricordato – ha risposto lui -, voglio essere dimenticato per sempre, non ho scelto di essere colui che sono oggi”. Quello di Parigi e’ il processo dei record, con almeno 1.800 parti civili. Inizialmente previsto per una durata di nove mesi, e’ stato gia’ interrotto diverse volte a causa della pandemia da Covid-19.

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Usa, Sinwar vuole trascinare Israele in una guerra più ampia

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– Il leader di Hamas Yahya Sinwar è diventato più fatalista dopo quasi un anno di guerra a Gaza ed è determinato a vedere Israele coinvolto in un più ampio conflitto regionale. Lo riporta il New York Times citando valutazioni dell’intelligence americana, secondo al quale Sinwar ritiene che non sopravvivrà alle guerra e questo ha ostacolato i negoziati per il rilascio degli ostaggi. Una guerra più ampia per Israele, secondo Sinwar, lo costringerebbe ad allentare la pressione su Gaza.

L’atteggiamento di Sinwar, aggiunge il New York Time citando fonti americane, si sarebbe inasprito nelle ultime settimane e i negoziatori statunitensi ritengono ora che Hamas non abbia intenzione di raggiungere un accordo con Israele. Anche il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha respinto le proposte nei negoziati e assunto posizioni che hanno complicato i colloqui. Secondo i funzionari americani Netanyahu sarebbe preoccupato soprattutto per la sua sopravvivenza politica e potrebbe non ritenere un cessate il fuoco a gaza nel suo interesse.

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Khamenei, le nazioni musulmane hanno un nemico comune

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Le nazioni musulmane hanno un “nemico comune” e devono “cingere una cintura di difesa” dall’Afghanistan allo Yemen e dall’Iran a Gaza e al Libano. Lo afferma il leader supremo iraniano Ali Khamenei mentre presiede le preghiere del venerdì in Iran per la prima volta in cinque anni. Lo riporta Sky News. La Guida Suprema ha aggiunto che l’attacco del 7 ottobre di Hamas contro Israele, “è stato un atto legittimo, così come l’attacco dell’Iran al Paese questa settimana”. Il raid missilistico è la “punizione minima” per i crimini di Israele, ha affermato Khamenei.

“Il brillante attacco dell’Iran – ha affermato la Guida Suprema citato dalla TV di Stato – è stata la minima punizione per i crimini senza precedenti del regime lupesco e assetato di sangue che è il cane rabbioso degli Stati Uniti nella regione. L’Iran continuerà ad adempiere al suo dovere né con fretta né con ritardo. I nostri responsabili politici e militari agiranno con logica e saggezza”.

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Colombia: Mancuso si scusa con le sue vittime davanti a Petro

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Salvatore Mancuso, l’ex leader delle Autodifese unite della Colombia (Auc), il più sanguinario gruppo paramilitare mai esistito nel Paese sudamericano nominato ‘gestore della pace’ da Gustavo Petro, ha chiesto oggi “perdono” alle sue vittime in un atto pubblico a Montería, la capitale del dipartimento di Cordoba, a cui ha partecipato il presidente colombiano.

“Non sapevo allora quello che so adesso: che in guerra non ci sono vincitori, siamo tutti perdenti e siamo qui nonostante le differenze ideologiche e politiche”, ha dichiarato Mancuso. Davanti a centinaia di contadini e vittime, l’ex leader paramilitare ha aggiunto di assumersi “la responsabilità di tanto dolore, sofferenza e lacrime; dell’esproprio di terre, dell’umiliazione a cui siete stati sottoposti a causa degli ordini che ho dato agli uomini e alle donne che erano sotto il mio comando nelle Auc”. Mancuso ha chiuso l’atto pubblico, in cui sono stati consegnati 11.700 ettari di terre alle sue vittime, dichiarando: “Dal profondo del mio cuore vi chiedo perdono”.

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