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L’America si ferma. Biden, ‘l’11/9 non ci ha piegato’

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  “Oggi ricordiamo le 2.977 vite preziose strappateci l’11 settembre e riflettiamo su tutto ciò che andò perduto nel fuoco e nella cenere quella mattina. La stessa storia americana cambiò quel giorno di 22 anni fa, ma quello che non poteva cambiare – e non cambierà – è il carattere di questa nazione”: Joe Biden ha dato il la su X alle commemorazioni del 22mo anniversario degli attentati di Al-Qaida, prima di diventare il primo presidente americano a celebrarlo nella remota Alaska, in una base militare ad Anchorage. Una scelta dettata dai tempi del ritorno dalla sua tappa in Vietnam dopo il G20, ma che evidenzia come l’impatto di quel tragico giorno continui ad essere sentito in ogni angolo del Paese. Anche quest’anno infatti tutta l’America si è fermata per ricordare quegli attacchi con cerimonie, veglie, fiaccolate, minuti di silenzio, tra memoriali, caserme di pompieri, municipi, campus universitari. Senza dimenticare i rintocchi delle campane nel momento degli attacchi e la rituale, straziante lettura dei nomi delle vittime, di cui oltre 2.600 a New York, dove le Torri Gemelle furono colpite da due dei quattro aerei dirottati.

A rappresentare il governo, in mezzo al sindaco Eric Adams e alla governatrice Kathy Hochul, c’era la vicepresidente Kamala Harris, che tuttavia non ha detto una parola. Il cerimoniale non prevedeva discorsi di leader politici per lasciare il podio ai famigliari delle vittime, ma la scelta ha suscitato più di qualche perplessità. La first lady Jill ha deposto invece una corona al Pentagono, dove morirono 125 persone, mentre il second gentleman Douglas Emhoff ha partecipato ad una commemorazione a Shanksville, Pennsylvania, dove i passeggeri del volo United Airlines 93 – venuti a sapere degli attacchi al Word Trade Center – affrontarono i terroristi e fecero precipitare l’aereo che doveva abbattersi sul Capitol. “L’11 settembre è stato uno dei giorni più bui nella nostra storia ma ha anche mostrato la nostra straordinaria resilienza come americani”, ha sottolineato il segretario di Stato Antony Blinken, ricordando quel giorno come “il peggior attacco contro la patria nella storia della nostra nazione” e l’impegno a continuare la lotta al terrorismo. “Non dimenticheremo mai”, ha assicurato Donald Trump sul suo social Truth in un video di due minuti dove – con sfondo e toni quasi già presidenziali – ha ricordato “l’orrore” e “l’angoscia” dell’11 settembre nel giorno del 22mo anniversario, battendo sul tempo i suoi rivali repubblicani nella corsa alla Casa Bianca.

Di sicuro non dimenticheranno famigliari e amici delle quasi 3.000 vittime e gli oltre 6.000 rimasti feriti o ammalatisi a distanza di tempo, in una lista che continua ad allungarsi. A distanza di 22 anni infatti si continua a morire: il corpo dei vigili del fuoco ha aggiunto 43 nuovi nomi al suo World Trade Center Memorial Wall, facendo salire a 341 il numero dei pompieri, dei paramedici e dei civili deceduti per malattie post 11-9, solo due in meno rispetto a quello dei vigili del fuoco che persero la vita dando la scalata alle Twin Towers il giorno dell’attentato. Come se non bastasse, di circa 1.100 morti non sono ancora stati identificati i resti: alla vigilia della ricorrenza le autorità di New York hanno dato un nome ad altre due vittime, un uomo e una donna, i cui nomi non sono stati resi pubblici su richiesta delle famiglie, ma i test avanzati del Dna procedono con difficoltà. Tre giorni fa intanto la Casa Bianca ha respinto alcune delle condizioni chieste dai legali di Khalid Sheikh Mohammed, braccio destro di Osama bin Laden considerato l’architetto delle stragi, e di altri quattro detenuti a Guantanamo accusati di aver cospirato per l’attacco agli Usa. L’accordo proposto, aspramente criticato dai familiari delle vittime, prevedeva l’ammissione di colpevolezza e il carcere a vita in cambio di assicurazioni sul fatto che i cinque non sarebbero stati messi in isolamento e avrebbero ricevuto cure per i traumi subiti dalle torture sotto la custodia della Cia.

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Arresto di Sansal incendia i rapporti Francia-Algeria

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Si infiammano i rapporti già tesi tra la Francia e l’Algeria per la sorte di Boualem Sansal, lo scrittore algerino che da qualche mese ha ottenuto anche la nazionalità francese. Da sabato scorso, quando è stato arrestato all’aeroporto di Algeri, non si sa più nulla di lui. Settantacinque anni, da 25 impegnato da scrittore contro il potere di Algeri e i cedimenti all’integralismo islamico, potrebbe – secondo fonti algerine – essere processato per “violazione dell’unità nazionale e dell’integrità nazionale del Paese”. Preoccupati i familiari, gli amici, i sostenitori, mobilitata la stampa e il mondo degli intellettuali francesi, silenzioso il governo di Parigi con l’eccezione di Emmanuel Macron, che ieri sera ha espresso pubblicamente la sua forte preoccupazione.

L’arresto di uno degli intellettuali più critici contro il potere di Algeri ha inasprito i già tesi rapporti tra Francia ed Algeria, che avevano fatto toccare proprio nelle scorse settimane nuovi picchi per la visita di Macorn in Marocco e i toni di grande vicinanza col regno di Mohammed VI. Oggi anche l’editore francese Gallimard, che pubblica le opere di Boualem Sansal fin dall’uscita del suo libro più famoso, ‘Le serment des barbares’ (Il giuramento dei barbari), si è detto “molto preoccupato” e ha chiesto la “liberazione” dello scrittore. “Sgomento” ha espresso per l’arresto di Sansal anche la sua casa editrice italiana, Neri Pozza.

Dopo l’intensificarsi della pressione mediatica sulla sorte dello scrittore, l’Algeria è uscita oggi duramente allo scoperto attraverso la sua agenzia di stampa, accusando Parigi di essere covo di una lobby “anti-algerina” e “filo-sionista”. L’agenzia Aps conferma, nella sua presa di posizione, l’arresto di Sansal e attacca senza mezzi termini Parigi, la “Francia Macronito-sionista che si adombra per l’arresto di Sansal all’aeroporto di Algeri”. “La comica agitazione di una parte della classe politica e intellettuale francese sul caso di Boualem Sansal – scrive l’agenzia di stato – è un’ulteriore prova dell’esistenza di una corrente d’odio contro l’Algeria. Una lobby che non perde occasione per rimettere in discussione la sovranità algerina”. Si cita poi un elenco di personalità “anti-algerine e, fra l’altro, filo-sioniste” che agirebbe a Parigi, e del quale farebbero parte “Éric Zemmour, Mohamed Sifaoui, Marine Le Pen, Xavier Driencourt, Valérie Pécresse, Jack Lang e Nicolas Dupont-Aignan”.

Ad offendersi, secondo l’Aps, è uno stato che “non ha ancora dichiarato al mondo se ha la necessaria sovranità per poter arrestare Benyamin Netanyahu, qualora si trovasse all’aeroporto Charles de Gaulle!”. L’agenzia passa poi all’attacco diretto di Macron e di Sansal stesso: il presidente che “torna abbronzato da un viaggio in Brasile” scrive Aps, parla di “crimini contro l’umanità” in Algeria ricordando la colonizzazione francese “ma prende le difese di un negazionista, che rimette in discussione l’esistenza, l’indipendenza, la storia, la sovranità e le frontiere dell’Algeria!”, riferendosi a Sansal. Nel suo primo e più celebre libro, Sansal racconta la salita al potere degli integralisti che contribuì a far precipitare l’Algeria in una guerra civile negli anni Novanta. I libri di Sansal, editi in Francia, sono venduti liberamente in Algeria, ma l’autore è molto controverso nel suo Paese, in particolare dopo una sua visita in Israele nel 2014.

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Il porno attore italo egiziano Sharif nel carcere di Giza, rischia 3 anni di carcere

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E’ un appello accorato quello che arriva dall’Egitto dalla madre di Elanain Sharif, quarantaquattrenne nato in quel Paese ma cittadino italiano, fermato al suo arrivo in aeroporto al Cairo. “Sono molto preoccupata perché mio figlio sta male. Aiutatemi, lui ha bisogno di me e io di lui. Non so cosa fare” ha detto la donna con un audio diffuso tramite il legale che l’assiste, l’avvocato Alessandro Russo. E proprio per accertate le condizioni in cui è detenuto, le autorità italiane hanno già chiesto a quelle egiziane di poter effettuare una visita in carcere, alla quale dovrebbe partecipare anche la donna, e sono in attesa di una risposta. Sharif è accusato di produzione e diffusione di materiale pornografico.

Si tratta di reato, secondo la normativa egiziana, punibile con una pena da 6 mesi a tre anni. Il capo di imputazione è stato comunicato dal Procuratore egiziano al legale del 44enne e in base al codice penale egiziano, un qualunque cittadino di quel paese che commette un reato, anche fuori dall’Egitto, può essere perseguito. Un principio giuridico analogo a quello previsto dal nostro ordinamento. L’ex attore porno è stato già ascoltato dal procuratore che ha convalidato il fermo per 14 giorni, disponendo che il caso sia nuovamente riesaminato il 26 novembre. Le Autorità egiziane stanno infatti attendendo il risultato della perizia tecnica sul materiale presente online. Dopo il fermo all’aeroporto, il 9 novembre, l’uomo si trova ora nel carcere di Giza. “E’ stato messo in carcere appena siamo arrivati in aeroporto” ha detto ancora la madre di Sharif dall’Egitto.

“Non posso sapere come sta – ha aggiunto – perché non riesco a parlarci e sono molto preoccupata”. Sono in particolare le sue condizioni di salute a preoccuparla perché, ha spiegato, “mio figlio ha subito tre interventi alla schiena, l’ultimo 30 giorni fa a Londra”. Dal giorno in cui è stato bloccato la madre ha incontrato un paio di volte il figlio. “La prima – ha detto il legale – il giorno dopo a quello in cui era stato preso in consegna dalle autorità, in carcere al Cairo e poi dopo cinque o sei giorni trasferito dove è ora e l’ha visto sempre per un paio di minuti”. Sharif e la madre erano atterrati al Cairo provenienti dall’Umbria. Vive, infatti, da alcuni anni a Terni mentre la madre è residente a Foligno ed è sposata con un italiano.

“In aeroporto è stato tenuto a lungo negli uffici della polizia e poi la madre lo ha visto uscire con le manette ai polsi – aveva ricordato ieri il legale – Le procedure di arresto sono state fatte utilizzando solo il passaporto egiziano, quello dell’Italia gli è stato restituito alcuni giorni dopo”. L’avvocato Russo ha poi spiegato che la madre si trova ancora in Egitto “assieme al fratello, che lavora nella polizia egiziana, e spera di avere notizie di un suo rilascio”. Con la donna, e con gli avvocati italiano ed egiziano e le autorità del Cairo, sono in contatto fin dall’inizio della vicenda sia l’ambasciata italiana sia la Farnesina.

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Brasile: la Corte trova la maggioranza, Robinho resta in carcere

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La Corte suprema ha raggiunto la maggioranza dei giudici per rigettare gli appelli e mantenere in carcere l’ex calciatore Robinho. L’atleta è detenuto in Brasile dal 22 marzo e sta scontando una condanna a nove anni per uno stupro di gruppo commesso in Italia nel 2013. Finora sei giudici hanno votato per respingere la richiesta di scarcerazione di Robinho. Si tratta del relatore del caso Luiz Fux, oltre ai giudici Edson Fachin, Luís Roberto Barroso, Cristiano Zanin, Cármen Lúcia e Alexandre de Moraes. Solo Gilmar Mendes ha votato a favore. Il processo si conclude il 26 novembre.

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