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La road map di Nordio, più magistrati per scarcerazioni

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“Soluzioni a breve e medio termine” che passano necessariamente su una maggiore copertura della pianta organica dei giudici di Sorveglianza e sulla modifica della custodia cautelare per evitare carcerazioni ingiustificate. E’ la road map che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha tracciato per tentare di affrontare l’emergenza carceri e in primo luogo il sovraffollamento dei detenuti all’interno degli istituti penitenziari. Elementi, proposte, che con ogni probabilità saranno al centro del possibile incontro con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, annunciato dallo stesso Nordio al termine dell’incontro di mercoledì a Palazzo Chigi a cui era presente anche il premier Meloni e avvenuto proprio nel giorno in cui la Camera ha dato il via libera al decreto Carceri. Il capo del dicastero di via Arenula dovrà formalizzare la richiesta al Quirinale e l’incontro potrebbe essere fissato nelle prossime settimane.

L’obiettivo è mettere in campo misure con le quali intervenire efficacemente su una situazione, soprattutto sul dramma dei suicidi, che ha raggiunto cifre drammatiche. Dall’inizio dell’anno sono oltre sessanta i detenuti che hanno deciso di togliersi la vita, circa venti in più rispetto allo stesso periodo del 2023: il 39,70 % erano in attesa di primo giudizio. Nordio punta, quindi, anche sul lavoro dei tribunali di Sorveglianza: ad oggi sono circa 100 mila le posizioni al vaglio dei giudici, solo per quanto riguarda i condannati in stato di libertà che devono espiare pene uguali o inferiori a 4 anni.

Il ministro proporrà al Csm di considerare la copertura di organico garantendo da parte del dicastero “agili e veloci procedure” per il completamento della pianta organica anche per gli amministrativi. Parallelamente si lavora ad una modifica della custodia cautelare in modo da prevedere che i detenuti tossicodipendenti scontino la pena in comunità. Dal canto loro i giudici di Sorveglianza, che sono 236 impiegati nei 29 tribunali, non negano di essere in difficoltà per l’enorme mole di lavoro a cui sono costretti a fare fronte. “La situazione può essere definita drammatica – afferma Giovanni Maria Pavarin che è stato a lungo responsabile del Coordinamento nazionale magistrati di Sorveglianza (Conams) -. Fare una stima di quanti siano i magistrati necessari per potere fare viaggiare la macchina in modo più spedito è impresa complessa ma sicuramente raggiungeremmo le tre cifre: servirebbero sulla carta almeno 1000 magistrati in più”. Una realtà complessa con criticità specifiche come nei distretti di Napoli, Milano ma anche Roma che è chiamata a decidere sul 41 bis.

Per Marcello Bortolato, presidente del tribunale di Sorveglianza di Firenze, “il decreto appena approvato non migliora minimamente la situazione e anzi è fattore di complicazioni. Il problema principale è la mancanza di personale amministrativo: nel mio distretto ho una percentuale di ‘vacanza’ tra gli amministrativi del 43,6%”.

Il magistrato aggiunge che la Sorveglianza è “la Cenerentola del processo: tutto si fa per arrivare alla sentenza ma poi poco interessa l’esecuzione della pena, che siano cioè celeri ed efficaci le procedure che la riguardano. Senza personale amministrativo siamo costretti a lavorare solo sull’emergenza. Altro discorso è quello legato alla mancanza di fondi: non rientrando nel Pnrr non disponiamo dell’Ufficio per il Processo. Siamo in difficoltà anche per avere le auto di servizio e la benzina per raggiungere le case circondariali, spesso in località remote, per fare i colloqui coi detenuti e, infine, scontiamo un’informatizzazione da anno zero”.

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Statali in pensione a 70 anni, ma con un tetto

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I dipendenti pubblici potranno restare al lavoro fino a 70 anni per il tutoraggio o l’affiancamento dei nuovi assunti: a fronte del trattenimento in servizio di un dirigente – scelta non imposta per legge ma che spetterà alla singola amministrazione e alla volontà del singolo lavoratore – si rinuncerà all’assunzione di personale per lo stesso importo di spesa, ma nel limite del 10% delle facoltà assunzionali, col beneficio di mantenere invariati costi del lavoro delle amministrazioni, e ridurre allo stesso tempo la spesa previdenziale. E’ quello che prevede una bozza di articolo da inserire nella manovra, allo studio del ministero della Pubblica amministrazione di intesa con il ministero dell’Economia.

Uno dei tasselli della legge di bilancio oggi oggetto, assieme al nuovo Piano strutturale di bilancio, di un vertice dei leader del centrodestra, riuniti per circa due ore a Palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “È stata ribadita la volontà di proseguire nel solco di una politica di bilancio seria ed equilibrata, confermare quanto di buono è stato fatto e verificare cosa di nuovo può essere attuato concentrando tutte le risorse a disposizione sulle priorità già indicate (famiglie, imprese, giovani e natalità), mettendo definitivamente la parola fine alla stagione dei bonus che hanno dimostrato non produrre alcun risultato”, recita la nota congiunta del centrodestra dopo il pranzo di lavoro con, oltre alla premier, i vicepremier Matteo Salvini (Lega) e Antonio Tajani (Forza Italia) e il capo politico di Noi moderati Maurizio Lupi.

Un confronto per fare il punto anzitutto sul ‘Psb’ da presentare a Bruxelles nelle prossime settimane, illustrato da Giorgetti anche in relazione alle tempistiche e complessità del nuovo meccanismo europeo introdotto dalla riforma del Patto di stabilità. E, a valle del piano, sulla manovra in merito alla quale, da Giorgetti, sarebbe arrivato ai leader dei partiti un invito alla prudenza di fronte al debito pubblico elevato. Niente ‘tesoretti’ da spendere, dunque, ma per dirla con le parole del vicepremier Antonio Tajani “una manovra che non sarà lacrime e sangue ma non dovremo nemmeno sperperare denaro pubblico”.

Le ipotesi sull’entità della legge di bilancio sono sulla forchetta 23-25 miliardi, anche se si tratta di cifre ritenute premature dal Mef prima della definizione del Psb che conterrà il quadro programmatico in grado di impattare sulle voci di bilancio del 2025. I tempi del Piano, del resto, sono imminenti: l’approvazione del Psb è prevista il 17 settembre, poi verrà reso pubblico, una circostanza che per il Governo equivale a rispettare di fatto la data, non tassativa peraltro e su cui già altri Paesi hanno annunciato uno slittamento, del 20 settembre. Poi ci sarà il passaggio parlamentare e da lì, nel giro di un paio di settimane, la notifica ufficiale a Bruxelles. Se è difficile, per ora, indicare numeri sull’impatto del prolungamento dell’età pensionabile nella p.a., la questione pensioni resta centrale nella messa a punto della legge di bilancio.

Rimane aperta la questione della flessibilità con una possibile stretta sui tempi di pensionamento anticipato ma anche quella della rivalutazione degli assegni rispetto all’inflazione. Da Massimo Garavaglia, presidente leghista della Commissione Finanze del Senato, arriva l’invito alla “massima attenzione alle proposte di rivalutazione delle pensioni minime. Un conto sono quelle basse ma con i contributi versati e un conto sono quelle sociali”, afferma.

Un’altra spinta alle risorse da trovare per la manovra arriva dalle entrate, con il +6,2% registrato nel periodo gennaio-luglio. E non si escludono sorprese in positivo dalla crescita – che potrebbe registrare miglioramenti dalla revisione periodica dell’Istat grazie, in particolare, agli effetti ritardati del superbonus – e poi dagli effetti sugli investimenti del taglio dei tassi Bce e dal buon andamento dell’export. Elementi che avvicinano gli obiettivi incentrati sulla conferma del taglio del cuneo e dell’Irpef a tre aliquote e ancora sul bonus per le mamme lavoratrici (che dovrebbe essere esteso alle autonome) e l’assegno unico (rivisto).

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Stallo Rai, Meloni tratta con Pd-M5s sul presidente

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Per la partita delle nomine Rai serve un altro tempo supplementare, quindici giorni per risolvere lo stallo. Non è chiusa neanche quella sul candidato del centrodestra in Liguria, anche se l’ipotesi di puntare sul leghista Edoardo Rixi resta la più concreta. Il vertice dei leader di centrodestra si è concentrato sulla manovra, e ha lasciato aperti questi due dossier, nodi che Giorgia Meloni intende sciogliere quanto prima per affrontare con meno incognite un autunno delicato, preceduto da settimane di fibrillazioni estive fra Lega e Forza Italia e infine dalle turbolenze per il caso Sangiuliano-Boccia. Bisogna proseguire all’insegna della compattezza, evitando fughe in avanti e passi falsi, l’input che la premier rilancia agli alleati, dopo averlo già sottolineato la settimana scorsa all’esecutivo di Fratelli d’Italia e, prima ancora, in Consiglio dei ministri.

Nelle sue intenzioni dovranno essere più frequenti pranzi di lavoro come questo, con i vicepremier Matteo Salvini (Lega) e Antonio Tajani (FI), e il leader di Noi moderati Maurizio Lupi, a cui questa volta si è aggiunto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, per illustrare agli alleati “la situazione dei conti pubblici ad oggi e le nuove procedure di bilancio alla luce del nuovo Patto europeo”. Non ufficialmente all’ordine del giorno, la questione Rai è stata trattata nelle due ore di riunione. Da quanto filtra, è destinata a slittare il voto di Camera e Senato sui consiglieri di amministrazione della tv pubblica, previsto per questa settimana. Il 26 settembre potrebbe essere il nuovo orizzonte.

Meloni, insomma, prende tempo per cercare di risolvere il puzzle, da una parte trattando con gli alleati, dall’altra con le opposizioni, che chiedono un presidente di garanzia anziché Simona Agnes, in quota FI. Si parla di profili come quelli di Gianni Minoli, Ferruccio De Bortoli (però si sarebbe già detto indisponibile), Walter Veltroni e Milena Gabanelli, nome su cui ci sarebbe l’apprezzamento soprattutto del M5s. FI, però, per ora non cede su questo fronte, come avrebbe chiarito anche Tajani al vertice. La premier alle opposizioni avrebbe proposto di accettare il ticket Agnes presidente e Giampaolo Rossi ad, con l’accordo blindato di includere le loro proposte nella futura riforma della governance Rai.

Finora, però, non è arrivata una risposta positiva. L’alternativa sul tavolo sarebbe procedere con la votazione dei consiglieri in Parlamento, affidando poi la presidenza pro-tempore al più anziano in attesa dell’accordo in commissione di Vigilanza. Ma anche questa ipotesi per ora non decolla. Se alla fine FI rinunciasse ad Agnes (con una compensazione nel giro di nomine dei dirigenti Rai), e si trovasse una convergenza su un presidente di area dem, il Pd rinuncerebbe a nominare un suo consigliere d’amministrazione. E lo stesso farebbe il Movimento se invece la scelta cadesse su un profilo da loro proposto. In questo scenario incerto, si osservano con attenzione anche le mosse di Matteo Renzi, con la maggioranza che spera si smarchi dalle altre opposizioni in chiave anti-M5s.

Servirà ancora qualche giorno per sciogliere i dubbi del centrodestra sulla Liguria. “Nel centrodestra siamo una squadra e se me lo chiede la premier mi candido”, ha spiegato sabato sera Rixi, fedelissimo di Salvini e suo vice al ministero delle Infrastrutture. La Lega spinge per questa soluzione, ma vuole che non passi come una candidatura leghista, bensì come una scelta su cui metta il cappello Meloni in primis.

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Giuli si insedia al ministero, ma prima vede la premier Meloni

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Ci sono i tanti dossier divenuti caldissimi in una manciata di giorni ad attenderlo sulla scrivania del Collegio Romano, ma Alessandro Giuli, come primo appuntamento nell’agenda di governo da neo-ministro, aveva scritto oggi ‘palazzo Chigi’. Il responsabile della Cultura si presenta poco prima delle 15 nel palazzo del governo dove ha un lungo colloquio con la premier Giorgia Meloni. Un “incontro istituzionale” viene definito il colloquio, durato circa un’ora e mezza. Di una sua presenza nella sede del ministero, invece, non era ancora stata data traccia. Giuli si palesa al portone del Collegio Romano poco prima delle sei: ma ai cronisti che lo attendevano dalla mattina lì davanti nessuna risposta. “Ci sarà modo di parlare di tantissime cose al momento opportuno. Buon lavoro, ci vediamo presto” il suo rapido saluto.

Dal giorno della nomina, d’altra parte, il nuovo ministro ha fatto della discrezione il suo mantra, evitando dichiarazioni, annunci, e persino apparizioni, salvo quella alla Mostra di Venezia lontano dal red carpet e dove ha mantenuto ben serrata la bocca. In silenzio, dunque, sta sbrogliando la questione principale da risolvere, quella dell’organizzazione del G7 della Cultura a Napoli che certamente sarà stato uno degli oggetti di confronto anche nella riunione nella sede del governo. In forse la tappa di Pompei, dove potrebbe svolgersi solo una breve visita. Si sta, intanto, definendo anche la partita della sua successione al museo Maxxi pure se, anche lì, i tempi potrebbero allungarsi un po’ più del previsto. Era infatti attesa per oggi l’indicazione del facente funzione del Presidente in attesa della nomina del successore di Giuli, con la cooptazione del componente più anziano del Cda della Fondazione.

E cioè il medico odontoiatra Raffaella Docimo che però avrebbe fatto un passo indietro, dopo le polemiche sul curriculm da alcuni definito inadeguato, a favore della giornalista Emanuela Bruni. Servirà comunque un passaggio in consiglio di amministrazione e, allo stato, pur se imminente, il cda non è ancora stato convocato. Dopo le proteste di qualche star del cinema, degli operatori, addetti e lavoratori del settore, dei sindacati e delle opposizioni rimane in sospeso anche la questione delle nomine nella commissione “selettivi”, quella che deve scegliere i film a cui concedere una buona fetta di tax credit. I nomi sono stati indicati da Gennaro Sangiuliano prima di lasciare il ministero che ha anche firmato il decreto di nomina che sarebbe però ancora al vaglio degli organi di controllo.

E dunque se Giuli volesse potrebbe ancora metterci mano. Paolo Mereghetti, Valerio Caprara, Giacomo Ciammaglichella, Pier Luigi Manieri, Massimo Galimberti, Pasqualino Damiani, Valerio Toniolo, Manuela Maccaroni, Francesco Specchia, Luigi Mascheroni e Stefano Zecchi sono i nomi che risultano indicati da Sangiuliano. Tra questi quello di Maccaroni sarebbe anche il nome prescelto dalla Regione Lazio per la nomina nel Cda della Festa del cinema di Roma: la presidente dell’Osservatorio per la parità di genere del ministero della Cultura, giurista e cassazionista, sarebbe stata giudicata dal presidente della regione Lazio, Francesco Rocca, adeguata alle competenze richieste. E a proposito di nomine sono arrivate oggi al Ministero una ventina di persone per firmare il loro nuovo contratto di lavoro: sono i vincitori per scorrimento di un concorso per funzionari amministrativi da cui hanno attinto diversi ministeri.

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