Un’attesa durata due giorni, tra le voci più disparate che lo davano addirittura in fuga dal Paese. Alla fine, a tarda serata, Vladimir Putin si è rivolto in tv alla nazione per dire che il pericolo è passato, che gli ammutinati non sono riusciti a spaccare la Russia, che i tentativi “criminali” di creare disordine interno sono falliti e che il Paese è stato “salvato dalla distruzione” grazie alla fedeltà dei suoi militari e dei suoi servizi di sicurezza.
Un discorso di non più di cinque minuti, come quello di sabato mattina in cui il presidente aveva denunciato il “tradimento” mentre le milizie della Wagner si dirigevano verso Mosca. Abbastanza, questa volta, per assumersi il merito di avere evitato “un bagno di sangue”, perché “la rivolta sarebbe stata soffocata” comunque ma lui ha evitato di dare l’ordine di sparare sui rivoltosi prima che la marcia si fermasse a 200 chilometri dalla capitale grazie, ufficialmente, ad un accordo mediato dal presidente bielorusso Alexander Lukashenko.
Putin ha quindi assicurato che manterrà la parola data, offrendo ai miliziani della Wagner la possibilità di trasferirsi in Bielorussia senza dover essere processati, oppure di mettersi al servizio del ministero della Difesa. Nemmeno una parola invece sul loro capo, Yevgeny Prigozhin. “I neonazisti – ha scandito lo zar in abito e cravatta scuri con al fianco la bandiera russa – volevano che soldati russi uccidessero altri russi, che la nostra società si spaccasse, soffocasse nel sangue. Invece tutti i nostri militari, i nostri servizi speciali, sono riusciti a conservare la loro fedeltà al loro Paese, hanno salvato la Russia dalla distruzione”.
Subito dopo il discorso Putin si è riunito con i capi delle agenzie di sicurezza e con il ministro della Difesa Serghei Shoigu, il nemico numero uno di Prigozhin. Due giorni dopo il tentativo di ammutinamento, dunque, la Russia cerca di mostrare che tutto è tornato alla normalità. Le misure di sicurezza speciali a Mosca sono state revocate e lo stesso Shoigu era riapparso in video in mattinata, mostrato dalla televisione durante una visita alle truppe al fronte. Anche se alcuni importanti blogger russi che seguono le vicende del conflitto in Ucraina hanno detto che la visita sarebbe avvenuta venerdì, quindi un giorno prima della ribellione di Prigozhin, e avrebbe avuto in realtà come teatro la regione di confine russa di Belgorod, presa costantemente di mira dai bombardamenti ucraini.
Sugli schermi è apparso in mattinata anche il primo ministro Mikhail Mishustin intento a presiedere una riunione del governo. “La cosa principale in queste condizioni è garantire la sovranità e l’indipendenza del nostro Paese, la sicurezza e il benessere dei nostri cittadini”, ha affermato il premier, invitando a stringersi tutti “intorno al presidente”. A confermare il suo sostegno è stata anche la Cina. Ribadendo di considerare quanto avvenuto nei giorni scorsi un affare interno della Russia, Pechino ha affermato di credere che Mosca “possa mantenere la stabilità nazionale e raggiungere sviluppo e prosperità”.
Quanto invece all’atteggiamento assunto di fronte alla crisi dai Paesi “non amici”, vale a dire quelli occidentali, il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha espresso giudizi diversi. L’ambasciatrice americana a Mosca Lynn Tracy, ha fatto sapere Lavrov, si è subito premurata di contattare il ministero degli Esteri per assicurare che gli Stati Uniti non avevano nulla a che vedere con l’ammutinamento e per sincerarsi che le armi nucleari russe fossero “in ordine”, cioè che non finissero nelle mani sbagliate in caso di una guerra civile.
E Joe Biden ha ribadito oggi che la situazione in Russia è parte della lotta all’interno del sistema russo e gli Usa hanno messo in chiaro che non sono coinvolti. E comunque, ha chiarito il presidente, indipendentemente da quello che accade in Russia, gli Stati Uniti continueranno a sostenere l’Ucraina.