Se il Covid 19 ha colpito meno severamente l’Africa rispetto al resto del mondo, due crisi maggiori minacciano di sconvolgere il futuro del Continente, nell’immediato e a lungo termine. La prima riguarda le immunizzazioni, e quindi l’afflusso ma soprattutto la somministrazione dei vaccini. La seconda riguarda il finanziamento della ripresa post-pandemica.
Soffermiamoci su quest’ultimo. Poche cifre ci dicono l’essenziale. Nel 2020, secondo fonti OCDE, gli aiuti internazionali bilaterali sono stati pari a 26 miliardi di euro. Che vuol dire? Vuol dire che non siamo di fronte a una grande cifra, anzitutto, e che la generosità dei donatori resta penosamente tirata. Per di più, l’aiuto pubblico allo sviluppo è diminuito dell’1% rispetto all’anno precedente. D.i.m.i.n.u.i.t.o. -leggete bene!- nell’anno dell’impatto grave della pandemia sulle società africane, che hanno potuto garantire la vivibilità delle popolazioni solo grazie a confinamenti severi e a quarantene interminabili. Politiche disanità pubblicache, del resto, discendono da quel “Covid Consensus” imposto dall’ordine internazionale e che esprime l’ennesima lettura neo-coloniale della globalizzazione, come ha messo in luce lo studioso inglese Toby Green in un libro molto istruttivo pubblicato lo scorso aprile (The Covid Consensus. The New Politics of Global Inequality).
Nell’anno della pandemia, si sono persi almeno 30 milioni di impieghi nell’economia contabilizzata, mentre la soglia della povertà è stata nuovamente varcata da decine e decine di milioni di persone che negli anni scorsi erano riusciti a sfuggire all’indigenza estrema grazie alla crescita persistente di molti Paesi e ai motori ruggenti che hanno impresso movimenti virtuosi a tutto il continente, come il Sudafrica o l’Etiopia.
Va pur detto che l’aiuto complessivo del mondo ricco nei confronti di quello povero è aumentato del 3,5% nel 2020, attestandosi su una cifra pari a 160 miliardi di dollari. Ciò significa che 1/7 della popolazione fortunata del pianeta, che ha messo a disposizione della propria sopravvivenza e della propria ripresa qualcosa come 16.000 miliardi di dollari, ha destinato alla restante popolazione della Terra, la meno favorita, appena l’1% delle risorse per fronteggiare la catastrofe virale. Teniamo conto che neppure 1/10 di quel miserevole “aiuto” ha potuto essere destinato alle esigenze direttamente legate alla pandemia, concernenti le terapie mediche e la sanità pubblica.
Nel frattempo, la situazione sanitaria si aggrava. La malaria resta la grande sterminatrice del Continente. Le nicchie epidemiche di Ebola, pronte ad esplodere; la persistenza dell’AIDS. Ricompare il colera nel bacino del Congo, in particolarea seguito dei fatti di Goma.. La sanità rurale appare completamente smantellata non solo in remote zone di foresta pluviale, ma anche in aree densamente abitate.
Nel frattempo, la situazione umanitaria si aggrava. Nel solo Sahel, dove la pressione terroristica è oggi in violenta esplosione provocando moltitudini di rifugiati, privi d’ogni cosa, si stima che 29 milioni di persone hanno bisogno di aiuto umanitario. Zone vaste si stanno sgretolando sotto il profilo sociale ed ecologico: il bacino del Lago Ciad, afflitto da anni da un drammatico ritiro delle acque, contro cui si fa troppo poco; il delta interno del Niger, in Mali, con tutto il suo carico di storia, di tradizioni culturali, di saperi professionali. Chiudono migliaia di scuole, faticosamente impiantate negli scorsi due decenni: secondo la Fondazione Mo Ibrahim, almeno un milione di fanciulle avrebbero perso definitivamente la via della scuola. Più di un milione e mezzo di bambini affrontano in questo momento problemi di sottonutrizione e malnutrizione severa.
Passata l’emergenza, queste persone avranno bisogno di un sostegno per la ripresa di una vita ordinaria, una vita decente, una vita “umana”.
Troveremo un po’ di tempo per loro, un po’ delle risorse che ci teniamo così strette? Riusciremo a capire che tutto questo n.o.n. è retorica buonista, non è pietismo a buon mercato. E che i problemi dell’Africa non saranno più i problemi dell’Africa se non ce ne facciamo (un pò di più) carico e dunque, prima o poi, ci rimbalzeranno addosso?
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
“Pompei non può essere associata al turismo di massa, ma deve avere come obiettivo quello della qualità”. Gabriel Zuchtriegel stringe tra le mani il suo biglietto nominativo, quello che da oggi è obbligatorio per entrare negli scavi che dirige dal febbraio 2021. È una delle novità introdotte all’interno del parco archeologico. La più importante riguarda il numero chiuso per gli ingressi giornalieri, che non potranno mai superare quota 20mila. Nel periodo di maggiore afflusso (dal primo aprile al 31 ottobre), poi, saranno anche previste specifiche limitazioni a seconda delle fasce orarie: dalle 9 alle 12 massimo 15mila ingressi; altri 5mila da mezzogiorno alle 17.30. L’acquisto dei ticket è consentito sul posto e online. “Alla base – spiega ancora Zuchtriegel – ci sono soprattutto motivi di sicurezza, sia dei visitatori, sia di tutela del patrimonio. Partiamo in questo periodo di bassa stagione per sperimentare tale misura, i cui numeri saranno poi esaminati con calma in vista delle giornate di maggiore afflusso”.
Obiettivo è anche combattere il fenomeno del bagarinaggio, che portava i turisti ad acquistare biglietti rivenduti a prezzi maggiorati e con l’aggiunta di “servizi” già compresi nel costo abituale del ticket. Altro proposito è puntare a distribuire i visitatori anche sugli altri siti del parco (Boscoreale, Torre Annunziata, Villa dei Misteri, Civita Giuliana e Stabia). Gli scavi di Pompei introducono le novità del numero chiuso e del biglietto nominativo dopo un’estate da record, che ha fatto registrare flussi mai visti in passato, con oltre quattro milioni di visitatori e punte di oltre 36.000 presenze in occasione di una delle prime domeniche del mese (quelle a ingresso gratuito). Questa mattina Zuchtriegel ha deciso di seguire personalmente l’avvio del cambiamento insieme con Prefettura, vigili del fuoco e consulenti dei lavoratori insieme ai quali è stata ravvisata la necessità di prevedere una gestione in piena sicurezza del sito Unesco.
“Abbiamo avuto in autunno, estate e primavera – sottolinea ancora il direttore – giornate in cui il limite dei 20.000 ingressi è stato superato: ci siamo resi conto di dover garantire a tutti i visitatori una esperienza di qualità. Pompei non deve essere un sito per il turismo di massa. Abbiamo un territorio meraviglioso e ci impegneremo a canalizzare maggiormente i flussi, ma anche gli investimenti, la ricerca e la valorizzazione di questi luoghi. Questo non è una misura contro la crescita. Anzi, noi puntiamo sulla crescita”. Nessuna gara sui numeri, come avviene in particolare in occasione delle domeniche ad ingresso gratuito: “La nostra priorità è la sicurezza – conclude Zuchtriegel -. E in caso di emergenza, abbiamo pensato di assicurare uscite controllate ai visitatori. Attenzione, siamo orgogliosi dei dati che abbiamo raggiunto in questi anni: spesso eravamo al primo posto nelle giornate di ingressi gratuiti. Questa classifica è carina, ma logica ci impone di scegliere la conservazione del nostro patrimonio: non vorremmo mai che qualche classifica finisca per danneggiarlo”.
Calano i contagi da Covid-19 in Italia. Nella settimana dal 17 al 23 ottobre si registrano 8.660 nuovi casi rispetto ai 11.433 della rilevazione precedente mentre i decessi sono 116 a fronte di 117. Il maggior numero di nuovi casi è stato registrato in Lombardia (2.693), Veneto (1.206), Piemonte (998) e Lazio (928). Mentre continua la corsa della variante Xec. E’ quanto emerge dal bollettino aggiornato e dal monitoraggio settimanale a cura del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità. Nell’ultima settimana sono stati effettuati 89.792 tamponi, in calo rispetto ai 94.880 della precedente rilevazione, e scende anche il tasso di positività, da 12% a 9,6%.
L’indice di trasmissibilità (Rt) basato sui casi con ricovero ospedaliero, al 15 ottobre è pari a 0,84 rispetto a 1,06 del 9 ottobre. È in lieve diminuzione, in quasi tutte le regioni, l’incidenza settimanale: la più elevata è stata in Lombardia (27 casi per 100mila abitanti) e la più bassa in Sicilia (con 0,2 casi per 100mila abitanti). Al 23 ottobre, si legge, “l’occupazione dei posti letto in area medica è pari a 3,7%, stabile rispetto alla settimana precedente (3,8% al 16 ottobre). In lieve diminuzione l’occupazione dei posti letto in terapia intensiva, pari a 0,9% (76 ricoverati), rispetto alla settimana precedente (1,0% al 16 ottobre)”. In base ai dati di sequenziamento nell’ultimo mese si osserva la co-circolazione di differenti sotto-varianti di JN.1 attenzionate a livello internazionale, con una predominanza di KP.3.1.1. In crescita, inoltre, la proporzione di sequenziamenti attribuibili a Xec (17% nel mese di settembre contro il 5% del mese di agosto).
Dopo il calo delle ultime settimane, tornano a salire i contagi da Covid-19 in Italia. Dal 19 al 25 settembre sono stati 11.164 i nuovi positivi, rispetto agli 8.490 della settimana precedente, pari a un aumento di circa il 30%. La regione con più casi è la Lombardia (3.102), seguita dal Veneto (1.683) e Lazio (1.302). E a crescere sono anche i decessi settimanali, passati da 93 a 112. Stabile l’impatto sugli ospedali mentre cresce la variante Xec.
Questi i dati dell’ultimo bollettino settimanale pubblicato dal ministero della Salute e del monitoraggio a cura dell’Istituto superiore di Sanità. Ad aumentare sono stati anche i tamponi, passati dai 81.586 del 12-18 settembre a 85.030, mentre il tasso di positività è passato dal 10% al 13%. Stabile invece il numero di posti letto occupati da pazienti Covid nei reparti di area medica (pari a 3% con 1.885 ricoverati), così come quelli occupati in terapia intensiva (0,7% con 62 ricoverati). I tassi di ospedalizzazione e mortalità restano più elevati nelle fasce di età più alte.
L’indice di trasmissibilità (Rt) basato sui casi con ricovero, è pari a 0,9, in lieve aumento rispetto alla settimana precedente. Mentre l’incidenza è di 19 casi per 100mila abitanti, anche questa in aumento rispetto alla settimana precedente (14 casi per 100mila abitanti). L’incidenza più elevata è in Veneto (35 casi per 100mila abitanti) e la più bassa nelle Marche (1 per 100mila). In base ai dati di sequenziamento genetico, nell’ultimo mese circolano insieme differenti sotto-varianti di Jn.1 attenzionate a livello internazionale, con una predominanza di Kp.3.1.1 (68%). In crescita, e pari a circa il 5%, i sequenziamenti del lignaggio ricombinante Xec, appartenente alla famiglia Omicron.