Proviamo a scrivere un articolo sulla emergenza sanitaria in atto nel nostro Paese asettico. Mettiamo da parte emozioni, sensazioni e persino idee (talvolta pure i giornalisti ne hanno qualcuna). Leggete i dati della tabella sopra. Sono i dati ufficiali della tragedia in atto. Quei numeri sono dolori, morti, sentimenti, emozioni. Metteteli da parte. Provate a togliere da questa tabella i dati della Lombardia dove ci sono più della metà dei morti del Paese, molto meno della metà dei guariti e quasi la metà del totale dei contagiati in Italia. In Lombardia c’è stato un massacro. Questa parola – “massacro” -, non è un termine giornalistico. Non è un mio epiteto per offendere le autorità sanitarie e politiche della Regione Lombardia.
Giunta Regionale della Lombardia. Il presidente Attilio Fontana e l’assessore al Welfare Giulio Gallera registi delle attività di contrasto al Covid 19
Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha definito quanto accaduto e quanto sta ancora accadendo in Lombardia nelle Residenze sanitarie assistenziali “un massacro”. Proprio questa parola ha usato: “massacro”.
Con centinaia, probabilmente migliaia di morti nelle sole case di cura. In Lombardia, nelle case di cura, dove ci sono gli anziani, la Regione ha mandato anche i pazienti covid 19 dimessi dagli ospedali formalmente guariti a osservare i 14 giorni di quarantena prima del ritorno a casa e dunque in società da “immunizzati”. È probabile (c’è una inchiesta in corso) che queste persone avessero ancora una carica virale importante e forse non andavano trasferiti nelle Rsa assieme a persone fragili.
La sede della Regione Lombardia – il Pirellone. La gestione della crisi sanitaria è sotto la lente di ingrandimento della Procura di Milano
Solo nel Pio Albergo Trivulzio, 28 anni dopo l’inizio di Tangentopoli col mariuolo Mario Chiesa, hanno perso la vita 143 anziani. Un massacro, appunto. Nelle case di cura lombarde sono migliaia i morti. Davanti a questo dato tragico la Lombardia chiede al governo di dare il via libera alle attività produttive dal 4 maggio. Sì, certo, nel rispetto di quattro condizioni: distanza di un metro tra le persone, obbligo di mascherina per tutti, obbligo di smart working per le attività che lo possono prevedere e test sierologici, che inizieranno dal 21 aprile. Insomma la Lombardia ricca e produttiva e dall’efficiente sistema sanitario chiede di riavviare i motori dell’economia. Perchè? Forse perché le cose vanno meglio? Quale che sia il motivo, questo è l’appello che arriva dalla Lombardia. La giunta regionale della Lombardia, col presidente Attilio Fontana, ha già un piano operativo per tornare alla “normalità” con ogni precauzione che vorranno disporre gli scienziati per convivere con questo virus fino al vaccino e alla immunizzazione della popolazione.
L’ex Governatore della Lombardia. Roberto Formigoni condannato al carcere per aver “privatizzato” la sanità lombarda
Nel frattempo che arriviamo al 4 maggio, data in cui prevedibilmente e presumibilmente il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (sentito il Comitato Tecnico Scientifico) avvierà la fase due, saranno passati circa due mesi in cui nel Sud del Paese abbiamo fermato tutto (anzi hanno bloccato tutto), bloccato ogni attività come al Nord. Ma ci siamo mai chiesti che cosa è accaduto al Sud in questi due mesi? Al Sud c’è stato un rispetto sacro delle regole. Salvo, certamente, qualche idiota o deprivato mentale prontamente ripreso dalle telecamere e immesso nel frullatore mediatico main stream italico col solito colorito addendum di stereotipi, pregiudizi e luogocomunismi. Ma quali sono i reali problemi sanitari provocati dal covid 19 al Sud? Qual è stata l’incidenza del contagio? Quale è stato il tasso di mortalità? Come vi ho detto dapprìncipio, non fidatevi delle chiacchiere anche giornalistiche: guardate i numeri del contagio. Fate voi stessi un po’ di conti. Sicilia (181), Calabria (71), Puglia (288), Campania (278), Basilicata (21) e Molise (15): se sommate i numeri dei decessi registrati in tutte le regioni del Sud aggiornati alle ore 18 del 15 aprile, arriverete a 854 persone morte in conseguenza di covid 19. Spesso questo virus si è innestato su patologie pregresse già gravi. Spessissimo questo virus ha ucciso persone fragili, molto anziane. Sia chiaro, nessuno minimizza 854 morti. Sono dati tragici, perchè parliamo di vite umane perse, ma quasi imputabili ad una influenza. E l’influenza non è mai banale, è una patologia seria che va sempre curata in maniera seria. E però 854 morti in tutte le regioni del sud sono meno dell’8% delle vittime registrate nella sola Lombardia e sarebbe il 4 per cento del totale nazionale.
Ospedale Cotugno. Ambulanze ad alto contenimento biologico e operatori sanitari con dispositivi di protezione: nessun medico infetto a Napoli
Eppure, nonostante questi dati di mortalità, mi si passi il termine “risibili”, il Governo nazionale ha spento i motori alla economia già asfittica del Sud, ha chiuso ogni attività produttiva, fermato ogni servizio, chiuso in casa più della metà degli italiani che hanno accettato con spirito di sacrificio ogni decisione ed hanno dimostrato solidarietà, non a chiacchiere, a chi soffriva e soffre in questo momento. Ma davanti a questi dati di contesto che sono numeri, non opinioni personali di un giornalista, forse occorre cominciare a porsi qualche domanda. Siamo sicuri che la sanità della Lombardia è stata efficiente ed efficace come i media main stream hanno provato in questi anni e questi mesi ad avvalorare? Chi vi scrive ha più di un dubbio. La sanità lombarda negli ultimi 15 anni è stata privatizzata in massima parte, organizzata per l’ospedalizzazione di frotte di pazienti con patologie croniche che dovevano pesare in termini economici. Basta leggere le inchieste sulla sanità lombarda degli ultimi dieci anni per capirlo. Gli ospedali pubblici di quella regione, ridotti all’osso, spolpati, più che centri di contrasto del contagio sono stati focolai di infezione. Medici ed infermieri sono stati mandati al fronte a combattere il covid 19 senza alcun dispositivo di protezione. Sono stati mandati al “massacro”. Anche tra i camici bianchi ci sono decine di morti solo in Lombardia. All’ospedale Cotugno per malattie infettive di Napoli non c’è un solo medico o infermieri infetto. E sapete perchè? Perchè si occupano da 134 anni di malattie infettive.
Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.
La dieta mediterranea, molto più di un semplice regime alimentare, si è affermata come simbolo di identità culturale, sostenibilità ambientale e salute globale. Questo è stato il tema centrale dell’evento “Mediterranean Diet: A Living Heritage, Unleashing One Health”, tenutosi ieri presso la sede delle Nazioni Unite a New York, promosso dalle Missioni permanenti di Italia e Marocco in collaborazione con il Comune di Pollica e il supporto del Future Food Institute.
Un patrimonio culturale vivente
L’evento ha celebrato il 14º anniversario del riconoscimento della dieta mediterranea come patrimonio culturale immateriale dell’umanità da parte dell’Unesco. È stata un’occasione per riaffermare l’importanza di questo modello non solo dal punto di vista alimentare, ma anche come pilastro per lo sviluppo sostenibile e la promozione della salute.
Rappresentanti di istituzioni come la Fao, l’Unesco e il mondo accademico hanno sottolineato come la dieta mediterranea possa essere un faro per l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, affrontando temi come la riduzione dell’impatto ambientale e i benefici sulla salute umana.
L’impegno di Pollica e il modello cilentano
Pollica, capofila della rete delle Comunità Emblematiche Unesco, ha annunciato la sua candidatura a Città Creativa della Gastronomia Unesco. Stefano Pisani, sindaco di Pollica, ha spiegato: «Abbiamo dimostrato come il modello della dieta mediterranea possa tradursi in azioni pratiche, dall’urbanistica integrata al Master Plan Cilento Sud, fino a progetti innovativi come il Mediterranean Mind Lab».
Questi progetti, supportati dal Future Food Institute, consolidano il Cilento come cuore pulsante della dieta mediterranea, unendo tradizione e innovazione in un laboratorio internazionale di rigenerazione ecologica.
Presidi della Dieta Mediterranea nel mondo
Durante l’evento sono stati presentati i “Presidi della Dieta Mediterranea nel Mondo”, un’iniziativa volta a celebrare le eccellenze culturali e gastronomiche. Tra i primi riconoscimenti:
Pasquale Cozzolino, chef italiano noto a New York per i suoi ristoranti “Ribalta” e “Amo”.
Rossella Episcopo ed Emiliano Cammardella, promotori cilentani del progetto “Flora”.
Un’eredità per il futuro
Sara Roversi, presidente del Future Food Institute, ha ribadito: «La dieta mediterranea è un modello perfetto per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Il nostro impegno è trasformarlo in un’eredità viva e tangibile per il pianeta». Questo approccio conferma come la dieta mediterranea non sia solo un patrimonio culturale, ma una risorsa per il futuro del pianeta.
Discutere della sentenza della Corte penale internazionale sull’arresto di Benjamin Netanyahu al tavolo del G7 e provare a concertare assieme agli alleati una linea comune. Nelle stesse ore in cui 4 soldati italiani restano feriti nella base Unifil in Libano dopo un lancio di missili di Hezbollah, il governo cerca di gestire il nodo della decisione dell’Aja sul leader israeliano – e sul suo ex ministro della Difesa Gallant – coinvolgendo i partner europei e occidentali. E’ l’input che Giorgia Meloni affida ad Antonio Tajani (che tra l’altro rivendica su questi temi il ruolo di palazzo Chigi e della Farnesina) dopo le divisioni emerse nell’esecutivo che di certo non le avranno fatto piacere, anzi.
Le fughe in avanti dei ministri irritano palazzo Chigi che, invece, sui dossier delicati vorrebbe che il governo si esprimesse con un’unica voce. Ecco perchè di fronte al susseguirsi di dichiarazioni la premier, in vista del vertice di maggioranza convocato per lunedì, decide intanto di mettere nero su bianco quella che deve essere la linea di tutto il governo. La premessa è che sulla sentenza della corte dell’Aja vadano fatti degli approfondimenti per capirne le motivazioni che, sottolinea, “dovrebbero essere sempre oggettive e non di natura politica”.
Ma “un punto resta fermo per questo governo: non ci può essere una equivalenza tra le responsabilità dello Stato di Israele e l’organizzazione terroristica Hamas”. Una presa di posizione che ha come obiettivo anche quello di mettere a tacere i distinguo e le voci in libertà nella compagine. Accanto alla posizione prudente di Antonio Tajani, c’era stata infatti la dichiarazione più netta di Guido Crosetto. Il ministro della Difesa, pur criticando il pronunciamento della Cpi, aveva aggiunto: “La sentenza andrà rispettata”. Ma soprattutto, a pesare è quanto detto da Matteo Salvini. Il leader della Lega è quello che si è spinto più avanti, arrivando ad invitare il premier israeliano in Italia dandogli il “benvenuto” perchè, avvisa, “i criminali di guerra sono altri”.
Parole che pesano negli equilibri internazionali alla vigilia del G7 dei ministri degli Esteri in programma a Fiuggi lunedì. Non è un caso infatti (forse anche dopo contatti con Chigi) che il leader della Lega cerchi poi di ammorbidire i toni invocando la condivisione delle decisioni: “Troveremo una sintesi – confida Salvini – il problema è a livello internazionale”. Chi sceglie di non esprimersi è la Santa Sede. Il Vaticano si affida alle laconiche parole del segretario di Stato Pietro Parolin: “Abbiamo preso nota di quanto avvenuto, ma quello che a noi interessa è che si ponga fine alla guerra”. Intanto, le dichiarazioni dei ministri e dei leader della maggioranza finiscono sotto il fuoco di fila delle opposizioni che vanno all’attacco.
Ma le tensioni sulla politica estera sono solo l’ultimo punto che si aggiunge ad una lista di nodi che Meloni dovrà sciogliere con i due alleati di governo nel vertice in programma per lunedì 25, prima della riunione del Consiglio dei ministri. Il ‘caso’ Netanyahu sarà uno dei temi che i tre leader del centrodestra dovranno discutere, ma altrettanto dirimenti, sono le decisioni da prendere sul versante interno. La sconfitta alle regionali ha alzato il livello dello scontro e, di conseguenza, le richieste di Lega e Forza Italia da inserire nella legge di Bilancio. Ufficialmente tra i partiti di maggioranza regna la concordia: “Ci incontreremo e risolveremo i problemi nel miglior modo possibile”, è la convinzione di Tajani a cui fa eco il vicepremier leghista: “Siamo in sintonia su tutto”.
Ma il taglio dell’Irpef, la flat tax per i dipendenti e la riduzione del canone Rai sono tre temi su cui da giorni è in atto un vero e proprio braccio di ferro. E la mancanza di un accordo ha fatto slittare alla prossima settimana le votazioni sul decreto fiscale. Alle richieste dei partiti si aggiungono i desiderata dei ministri. Un elenco impossibile da realizzare (visti i fondi a disposizione) su cui la premier dovrà dire una parola definitiva. In stand by invece resta la decisione sul successore di Raffaele Fitto.L’idea della presidente del Consiglio pare sia quella di tenere le deleghe a palazzo Chigi fino a gennaio, scavallando quindi la sessione di bilancio. Nessuna fretta anche anche perchè, raccontano nella maggioranza, per la prossima settimana è attesa anche la decisione dei giudici se rinviare o meno a giudizio la ministra per il Turismo Daniela Santanchè.
La fase è complessa. Siamo nel pieno della sessione bilancio, con una manovra complicata quest’anno dai vincoli delle nuove regole Ue. Mentre fuori incombono le “incertezze” dello scenario internazionale. E’ in questo contesto, spiega il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha preso forma una legge di bilancio che chiede “sacrifici”. Ma per crescere e tenere i conti in ordine “serve il contributo di tutti”, è l’appello del ministro, che rivendica anche i successi dell’approccio prudente del governo: lo spread si è dimezzato e due agenzie di rating hanno rivisto al rialzo l’outlook. E non è escluso che lo stesso possa fare anche Moody’s (arriva con un Baa3, il primo livello dell’investment grade, e un outlook stabile), che chiude in serata il ciclo di revisioni sul rating, iniziato a metà ottobre con le valutazioni di Fitch, S&P e Dbrs.
Cresce intanto l’attesa per il vertice di lunedì tra la premier Giorgia Meloni e i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, chiamato a sciogliere anche diversi nodi sulla manovra. A partire dal canone Rai, che tiene in stallo il decreto fisco in Senato e riaccende lo scontro tra Lega e FI. Per via Bellerio la conferma della riduzione del canone Rai da 90 a 70 euro “è una priorità” e siamo determinati a portarla avanti “fino in fondo”, mette in chiaro il capogruppo in Senato Massimiliano Romeo. Ma gli azzurri non ci stanno: il taglio è una scelta “ridicola”, commenta Tajani. E’ giusto il confronto, ma c’è un problema di coperture, aggiunge Mauro D’Attis, deputato di Fi e uno dei relatori della manovra.
I partiti della maggioranza intanto rivendicano ciascuno le proprie bandierine. Che trovano posto negli emendamenti super-segnalati alla manovra (circa 220 in un elenco che circola tra i parlamentari): le proposte di FDI vanno dal contributo di 500 euro l’anno per gli under14 al silenzio-assenso per i fondi pensione; la Lega insiste dall’allargamento della flat tax ai fondi al Ponte; FI va dal taglio dell’Irpef alla web tax. Ma i leader sfoderano ottimismo in vista del vertice: “Siamo assolutamente in sintonia su tutto”, dice Salvini; trovare un accordo non sarà difficile, assicura Tajani. Giorgetti intanto lancia un appello a fare ciascuno la propria parte. E lo fa parlando in videocollegamento con l’assemblea annuale dell’Anci: parole che suonano come una risposta alle critiche e preoccupazioni espresse dall’Associazione dei Comuni per i tagli previsti in manovra.
“Non posso non riconoscere che le sfide con cui vi confrontate quotidianamente richiedono sempre maggiori risorse”, ma il mio ruolo “mi impone” soluzioni che concilino “le esigenze locali” con gli “obiettivi complessivi del paese”, spiega. E così, anche se gli enti territoriali sono riusciti a tenere i conti “sotto controllo”, tutti sono chiamati a contribuire, anche le amministrazioni locali. La riduzione delle risorse per gli investimenti pubblici disposta dalla manovra è dettata dal bisogno di “dare priorità all’utilizzo delle somme previste nell’ambito del Pnrr e del Fondo di sviluppo e coesione”, spiega il ministro, che apre: “Possiamo e dobbiamo continuare a collaborare”. Un invito subito raccolto dal neopresidente Gaetano Manfredi dell’Anci. Presenteremo al governo “un’agenda con le priorità”, annuncia, con l’auspicio che la manovra “migliori” in Parlamento. I
l contesto comunque è di “grande incertezza”, evidenzia Giorgetti: le misure contenute in manovra possono dare una mano, ma per “realizzare la crescita che abbiamo previsto nel 2025” sarà cruciale “promuovere la domanda”. Servono sono poi la “stabilità politica” e la “prudenza” nella gestione dei conti portati avanti in questi due anni di governo, è la ricetta del titolare del Mef: ingredienti di una “credibilità” che sta dando frutti e se coltivata ulteriormente può contribuire a migliorare deficit e debito. Giorgetti difende la manovra anche sul fronte sempre caldo della sanità: le risorse sono aumentate, 12 miliardi in più in tre anni. Numeri, chiosa, che “certificano la falsità delle narrazioni strumentali”.