Collegati con noi

Esteri

La ‘guerra santa’ di Lula e Bolsonaro per il Brasile

Pubblicato

del

Evangelici contro cattolici. La feroce disputa tra il presidente di destra Jair Bolsonaro (Pl) e il leader di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva (Pt) per il palazzo del Planalto, in vista del ballottaggio di domenica, passa anche dalla ‘guerra santa’ tra gli elettorati cristiani, in una sfida all’ultimo voto che secondo gli analisti “è ancora aperta e “non esclude” colpi di scena dell’ultim’ora. Nonostante l’ex presidente continui a essere in testa nei sondaggi (nell’ultimo di Datafolha ha il 49% contro il 44% di Bolsonaro) c’è un margine di errore di circa il 2%, e gli osservatori guardano all’ultimo duello tv tra i due candidati come “all’ultima chance per il presidente di destra di ribaltare la situazione”. Secondo un recente sondaggio di Quaest, Bolsonaro ha in pugno il 61% dei suffragi tra i seguaci evangelici, contro il 31% di Lula. Una situazione inversa tra i fedeli cattolici, dove il leader del Pt risulta in testa col 54% dei consensi, contro il 37% del suo avversario. Suffragi che pesano, visto che su oltre 150 milioni di elettori, circa il 50% si definisce cattolico e il 31% evangelico. E proprio “tra gli evangelici c’è la sensazione che il voto non sia una decisione individuale, ma piuttosto una sorta di scelta identitaria collettiva”, spiega l’antropologa Jacqueline Moraes Teixeira, docente del Dipartimento di Sociologia presso l’Università di Brasilia. “Per questo motivo tra gli evangelici, più legati al conservatorismo e alla destra cristiana, la paura che l’instaurarsi del comunismo metta al bando le comunità religiose pesa molto di più che tra i cattolici”. Oltre al fatto che Bolsonaro ha al suo fianco i principali pastori neo-pentecostali del Paese, come Silas Malafaia, capo dell’Assemblea di Dio Vittoria in Cristo, e il tycoon Edir Macedo, proprietario di tv Record (specializzata in telenovelas religiose molto seguite) e leader della Chiesa universale del Regno di Dio. Così non è un caso se le chiese evangeliche in tutto il Paese siano diventate i principali bastioni della campagna di Bolsonaro e palcoscenico per vendere la sua ricetta sui valori basati su Dio, patria e famiglia, diffondendo fake news sulle intenzione di Lula di chiudere tutti i templi, una volta alla testa del Brasile. D’altro canto, Teixeira ricorda che c’è un grande pubblico cattolico – i cosiddetti “carismatici” – che ha subito un “importante indottrinamento nel periodo in cui il Paese era attraversato dalla Teologia della Liberazione”, una tendenza apertamente progressista incentrata sulla difesa degli oppressi. Le stesse comunità ecclesiali di base, gruppi guidati dalla Teologia della Liberazione e diffusi in Brasile negli anni ’70 e ’80, sono stati importanti nella fondazione del Partito dei lavoratori (Pt) di Lula e nel processo di capillarizzazione della forza politica di sinistra sul territorio. “C’è una parte del cattolicesimo che si è concentrata sull’accoglienza dei più vulnerabili, che rende il loro voto più orientato su agende progressiste”, afferma l’antropologa. Vista la polarizzazione, Teixeira non esclude che un’eventuale vittoria di Lula possa portare ad atti di disobbedienza civile in vari segmenti della società, incluso tra gli evangelici “più vicini alle grandi chiese e ai leader che supportano Bolsonaro e puntano sul panico politico”.

Advertisement

Esteri

La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

Pubblicato

del

La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

Continua a leggere

Esteri

Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

Pubblicato

del

Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

Continua a leggere

Esteri

Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

Pubblicato

del

Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto