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Cronache

La famiglia di Saman a processo, i genitori latitanti

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Sono stati rinviati a giudizio tutti e cinque gli imputati accusati di aver ammazzato Saman Abbas, la 18enne pachistana scomparsa a fine aprile di un anno fa da Novellara, nella Bassa Reggiana, e mai ritrovata. A processo andranno lo zio Danish Hasnain, i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq (tutti e tre in carcere, dove resteranno) oltre al padre Shabbar e alla madre Nazia Shaheen tuttora latitanti presumibilmente in patria. La prima udienza del dibattimento e’ stata fissata per il 10 febbraio 2023. Non era un esito scontato quello dell’udienza preliminare in tribunale a Reggio Emilia, soprattutto a carico dei genitori ai quali non e’ mai stato notificato alcun atto. Proprio per questo l’avvocato Simone Servillo, difensore dei genitori di Saman, aveva chiesto di stralciare la loro posizione avanzando un’istanza al fine di annullare il decreto di latitanza, rigettata pero’ dal gup Dario De Luca. E lo stesso legale fuori dall’aula si e’ scagliato contro “l’autorita’ inquirente italiana”, affermando che “i processi contro chi non sa, non andrebbero portati avanti”. Infine ha aggiunto: “Trovo sconcertante che non ci si sia impegnati fino in fondo per fare le notifiche come Dio comanda. Vi e’ certezza che si trovino nel villaggio di origine in Pakistan, un Paese col quale mi pare ci sia stata collaborazione”. E lancia poi un appello: “non son mai riuscito a entrare in contatto coi miei assistiti, spero leggano o sentano queste mie parole. In tal caso li tranquillizzo perche’ la loro posizione e’ difendibile. Quello di oggi e’ un esito aspettato, che ci dara’ pero’ occasione di difenderci in maniera sostanziale e spero definitiva nell’ambito di un contesto fondato sul contraddittorio consentendoci una vera difesa”. I familiari alla sbarra dovranno rispondere di omicidio, sequestro di persona e soppressione di cadavere, ipotesi di reato, in concorso tra loro, formulate dal sostituto procuratore Laura Galli titolare del fascicolo d’inchiesta e che ha coordinato le indagini affidate ai carabinieri. Gli inquirenti hanno diversi filmati delle telecamere di videosorveglianza dell’azienda dove lavorava la famiglia, che mostrano come i genitori avrebbero consegnato la figlia allo zio – ritenuto l’esecutore materiale del delitto – nonche’ la testimonianza del fratello minorenne che incolpa lo stesso zio e intercettazioni telefoniche che secondo la Procura proverebbero l’assassinio. Ma il corpo di Saman e la presunta arma con la quale sarebbe stata uccisa, non sono mai stati ritrovati. Ed e’ su questo che fanno leva le difese. “La tesi della pubblica accusa si basa su presunzioni, un’ipotesi investigativa basata su semplici sospetti”, ha detto Domenico Noris Bucchi, avvocato di Danish. In aula e’ stata anche la volta delle richieste di costituzione di parti civili. Cinque quelle che si sono presentate, tutte accolte. In primis il fratello, ancora minorenne di Saman. Poi vi sono l’associazione Penelope e l’Unione dei Comuni della Bassa Reggiana che ingloba il servizio unificato dei servizi sociali che tratto’ le segnalazioni sulla 18enne. E lo stesso Comune di Novellara, con la sindaca Elena Carletti presente in udienza. “Per la comunita’ e’ ancora una ferita aperta. Questa costituzione tra le parti lese, e’ un atto doveroso e importante per pretendere piena chiarezza, verita’ e giustizia su un caso che ha scosso tutti noi”, ha detto. Per poi respingere gli attacchi sulle presunte negligenze sull’operato dei servizi sociali: “Abbiamo operato nei limiti delle nostre funzioni sociali, agendo al nostro meglio per salvaguardare la ragazza”. E infine, l’Ucoii – l’Unione delle comunita’ islamiche in Italia – che assume un significato simbolico importante dato che il movente dell’omicidio ipotizzato sarebbe il rifiuto da parte di Saman di un matrimonio combinato in patria con un cugino e il fidanzamento con un ragazzo connazionale, ma non accettato dalla famiglia nonche’ un modo di vivere troppo all’occidentale.

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Cronache

“Bomba Sinner”: un’invenzione giornalistica che alimenta il mito dei botti illegali

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La “bomba Sinner”, il nuovo ordigno di Capodanno sequestrato dai carabinieri in un appartamento di Pozzuoli, è solo l’ultima trovata di un fenomeno mediatico e sociale che va ben oltre la cronaca. Il nome, che richiama il tennista altoatesino Jannik Sinner, si unisce alla lunga lista di fuochi d’artificio illegali battezzati con appellativi accattivanti come “Maradona”, “Scudetto” o “Kvara”. Ma mentre questo genere di denominazioni richiama una sorta di “marketing” dei botti, è impossibile non notare come perpetui luoghi comuni pericolosi e pregiudizi su Napoli e il suo rapporto con l’illegalità.

La realtà dietro la “bomba Sinner”

Il nome non ha nulla a che vedere con il campione di tennis, ma sfrutta l’immaginario di esplosività associata al suo talento sportivo. La realtà, però, è ben diversa: si tratta di un ordigno pericoloso e illegale, capace di causare mutilazioni o peggio. L’ordigno, insieme ad altri 486 petardi illegali, è stato sequestrato dai carabinieri nell’abitazione di un 24enne incensurato a Pozzuoli, trasformata in una vera santabarbara. Materiale esplosivo per un totale di 50 chili era conservato in condizioni precarie, mettendo a rischio non solo l’incolumità del giovane, ma anche quella dei suoi vicini.

Un marketing pericoloso e la complicità dei media

La “bomba Sinner” e altri ordigni illegali sono promossi su piattaforme come Telegram, TikTok e Instagram, dove la vendita e distribuzione si sviluppano con logiche da e-commerce. I nomi accattivanti, però, non sono solo una trovata degli stessi produttori, ma trovano amplificazione nei media, che trasformano questi episodi in sensazionalismo, anziché sottolinearne i rischi. È qui che si insinua una responsabilità più ampia: invece di denunciare con forza il pericolo dei botti illegali, si finisce per rafforzarne la “fama”, perpetuando un’attrazione malsana verso questi prodotti.

Il perpetuarsi dei pregiudizi su Napoli

La narrazione che emerge da episodi come quello della “bomba Sinner” alimenta stereotipi radicati su Napoli e la Campania come luoghi di illegalità e anarchia diffusa. I nomi dei botti – da Maradona a Kvara – sono spesso legati a simboli locali, trasformando un problema grave in un racconto folkloristico che fa leva su luoghi comuni. In realtà, Napoli è una città con un tessuto sociale e culturale straordinario, che spesso lotta contro queste narrazioni riduttive. Collegare automaticamente l’illegalità a simboli della cultura partenopea non fa che danneggiare l’immagine di un territorio già troppo spesso vittima di pregiudizi.

Un problema nazionale, non locale

È importante sottolineare che il fenomeno dei botti illegali non è un problema esclusivamente napoletano. Gli ordigni sequestrati a Pozzuoli erano destinati anche al mercato tedesco, dimostrando che si tratta di un commercio organizzato su scala ben più ampia. Ridurre la questione a un “problema di Napoli” non solo ignora la complessità del fenomeno, ma ostacola una reale presa di coscienza e interventi efficaci.

L’urgenza di un cambiamento culturale

Il fenomeno dei botti illegali rappresenta un rischio concreto per la sicurezza pubblica e un problema culturale. Ogni anno, questi ordigni causano gravi ferite, amputazioni e persino vittime. Serve un cambio di paradigma: da una narrazione che esalta nomi e appellativi dei botti, si deve passare a una comunicazione che ne evidenzi i pericoli, senza alimentare inutili sensazionalismi.

La “bomba Sinner” non è solo un ordigno pericoloso: è un simbolo di come il sensazionalismo e la superficialità possano alimentare pregiudizi e ignorare il vero problema. Napoli merita una narrazione diversa, che metta in evidenza la lotta quotidiana di tanti cittadini contro l’illegalità, piuttosto che ridurla a un cliché. Allo stesso tempo, occorre un impegno collettivo per contrastare la produzione e la diffusione di fuochi illegali, puntando su una cultura della sicurezza e della responsabilità.

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Rischio disagi nel weekend per lo sciopero dei treni

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Treni a rischio per chi viaggia nel weekend. Scatta stasera alle 21 lo sciopero nazionale di 24 ore nel trasporto ferroviario, fino alla stessa ora di domenica, proclamato dai sindacati autonomi. La protesta coinvolgerà “tutto il personale delle aziende che operano nel settore ferroviario”, informa il sindacato di base Usb e quindi Fs, Italo e Trenord. Fs già da ieri ha avvertito che “lo sciopero potrebbe avere un impatto significativo sulla circolazione ferroviaria e comportare cancellazioni totali e parziali di Frecce, Intercity e treni del Regionale di Trenitalia”, con gli effetti, in termini di cancellazioni e ritardi, che “potranno verificarsi anche prima e protrarsi oltre l’orario di termine della protesta sindacale”. Il gruppo invita, quindi, i passeggeri “a informarsi prima di recarsi in stazione e, se possibile, a riprogrammare il viaggio”.

L’agitazione di questo weekend “si colloca dentro la vertenza per il rinnovo contrattuale nazionale delle attività Ferroviarie, portato avanti da un fronte ampio di sigle di base” spiega l’Usb. Ma dopo questo stop i treni non saranno coinvolti dallo sciopero generale di Cgil e Uil in programma venerdì 29 novembre. A parte il trasporto ferroviario, lo sciopero coinvolgerà, infatti, tutto il resto del personale dei trasporti: aereo, marittimo, bus, tram, filobus. Sullo sciopero generale indetto dalla Cgil e dalla Uil per il 29 novembre “abbiamo rispettato tutte le norme e le leggi che ci sono”, ripete intanto il leader della Cgil, Maurizio Landini, a margine della tappa di Bologna della terza marcia mondiale per la pace.

“Invito tutti i lavoratori a esserci”, è l’appello del segretario generale, che spiega come si sia deciso di “esentare i ferrovieri semplicemente perché c’è uno sciopero già oggi e domani, quindi non era possibile proclamarlo e abbiamo rispettato quella regola. Per il resto, abbiamo rispettato le norme e le leggi che ci sono”. “Ai lavoratori di tutte le altre categorie e settori chiediamo di partecipare, perché la condizione che ci ha portato allo sciopero parte da cose molto precise. Landini il 29 sarà alla manifestazione a Bologna. Nella stessa giornata il leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri, sarà invece a Napoli.

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A Napoli si lancia da auto in corsa per sfuggire ad abusi

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E’ salita su un’auto pensando fosse il taxi che stava aspettando per tornare a casa ma una volta a bordo il conducente ha iniziato a molestarla e quando lei ha reagito l’ha schiaffeggiata e le ha sottratto il cellulare. Così la ragazza, nel tentativo di fuggire alle violenze, ha aperto la portiera e si è lanciata dall’auto in movimento. E’ accaduto la notte scorsa, in via Fratelli Grimm alla periferia di Napoli, nel quartiere di Ponticelli. La Polizia di Stato ha arrestato un 38enne del Casertano per rapina e violenza sessuale.

E’ stato un cittadino a chiamare la polizia e a raccontare che una donna si era lanciata da un’auto in corsa. I poliziotti, giunti immediatamente sul posto, hanno accertato che la vittima era salita a bordo in corso Umberto. Grazie alle descrizioni del veicolo e dell’aggressore, gli agenti del Commissariato Vasto-Arenaccia, hanno rintracciato in via Brin il responsabile che, dopo essere stato identificato e trovato in possesso degli effetti personali della vittima, è stato arrestato; inoltre, nel veicolo, gli operatori hanno rinvenuto diversi documenti di riconoscimento intestati ad altre persone, di cui l’uomo non ha saputo giustificare la provenienza; il 38enne è stato anche denunciato per ricettazione.

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