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Economia

La Bce taglia ancora, lo spread ai minimi da tre anni

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La Banca centrale europea taglia i tassi di un altro quarto di punto, allentando il costo del denaro per la terza volta dall’inizio della fase espansiva avviata a giugno e facendo scendere lo spread ai minimi dal 2021. Ma nonostante una crescita più debole del previsto “l’area euro non va verso una recessione e siamo diretti verso un atterraggio morbido”, assicura la presidente Christine Lagarde. E così la Bce non s’impegna sulle mosse future. Intanto i mercati festeggiano, e già prima dell’annuncio lo spread Btp-Bund in apertura era ai minimi da novembre 2021, arrivando fino a 119 punti base. L’euro continua la discesa iniziata a fine settembre, toccando 1,0812 dollari, e anche le Borse corrono con Milano sopra 35.000 a +1,09%. A far decidere all’unanimità i governatori, riuniti ‘fuori porta’ nei pressi di Lubiana, in Slovenia, sono i “rischi al ribasso” sulle prospettive di crescita, ha spiegato Lagarde.

Un quadro economico in peggioramento, con gli ultimi indici Pmi “tutti nella stessa direzione” e con l’aggravante di rischi derivanti dalle guerre in Ucraina e Medio Oriente, della volatilità dei prezzi energetici, della crisi economica in Cina. I banchieri centrali hanno così portato il tasso sui depositi al 3,25%, quello sui prestiti principali al 3,40% e quello sui prestiti marginali al 3,65% dopo un’inflazione nell’area euro che “a sorpresa” – ha detto Lagarde – a settembre è scesa all’1,7%, sotto l’obiettivo Bce di medio termine del 2%. I prezzi dovrebbero tornare a salire temporaneamente, ma secondo indiscrezioni nelle loro aspettative ci sarebbe ora una stabilizzazione intorno al 2% nella prima metà del 2025 anziché alla fine dell’anno. Quello di oggi è il primo taglio ‘consecutivo’ (i precedenti erano arrivati a giugno e poi settembre) nell’attuale fase di riduzione dei tassi che, fino a qualche settimane fa, ci si aspettava procedesse con cadenza trimestrale. Non torna – invece – la ‘forward guidance’ con cui la Bce fino a qualche anno fa orientava le aspettative sul corso futuro dei tassi d’interesse. La Bce “continuerà a seguire un approccio guidato dai dati, in base al quale le decisioni vengono definite di volta in volta a ogni riunione” è la frase ribadita da Lagarde.

Sul dopo “vedremo” – si lascia sfuggire la presidente durante la conferenza stampa – “non abbiamo ancora ‘spezzato il collo’ all’inflazione, ma ci stiamo arrivando”. A frenare sulla forward guidance è la volontà della Bce di cautelarsi dai rischi che rimangono, con i prezzi che depurati da energia e settore alimentare viaggiano ancora al 2,7%. Una cautela che tiene conto anche della volatilità dei prezzi energetici, delle incertezze sulle prossime mosse della Fed e dei timori tedeschi: il presidente dell’istituto Ifo Clemens Fuest saluta con favore il taglio di oggi, ma “ci sono anche rischi al rialzo per l’inflazione, specie nei servizi. E’ giusto non impegnarsi ad ulteriori tagli”.

Gli investitori ragionano sul ‘dopo’ e si aspettano nuovi tagli già dalla prossima riunione del 12 dicembre. Fonti della Bce interpellate dalla Bloomberg lo danno come altamente probabile. “A meno di sorprese, il taglio di dicembre è quasi scontato. Il mercato, però ha iniziato a prezzare un taglio da 25 punti base ad ogni riunione fino a giugno; uno scenario a nostro avviso eccessivo visto che le pressioni inflattive potrebbero risultare più forti delle attese a inizio 2025”, commentano gli economisti di Mps. Sul ritmo e i tempi delle prossime decisioni avranno un peso le nuove proiezioni di crescita e inflazione al 2027, che la Bce pubblicherà a dicembre e che rifletteranno il peggioramento dell’economia. In particolare quella tedesca, probabilmente in recessione con importanti ramificazioni in altri Paesi fra cui l’Italia.

E arrivano le reazioni della politica, con il ministro degli Esteri Antonio Tajani che scrive su X “bene la decisione della Bce di tagliare i tassi di interesse. Andiamo avanti con coraggio. E bene lo spread che scende a 120 punti. I mercati approvano la nostra manovra di bilancio”. Seguito dal presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri: “era la direzione di marcia che il ministro degli Esteri e Segretario nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani, aveva pubblicamente e più volte auspicato e sollecitato”.

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Orsini: nucleare scelta obbligata se Italia vuol competere

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“Con i nuovi reattori e le nuove tecnologie, rispetto alla scelta fatta con il referendum di 40 anni fa, noi, senza se e senza ma diciamo che l’Italia paga l’energia il 40% in più dei propri competitor, e questo è un elemento che incide negativamente sulla competitività. Il nucleare mi pare una scelta obbligata se vogliamo tornare competitivi nel medio lungo periodo”. Lo ha detto il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, intervistato da Myrta Merlino nel corso dell’assemblea generale di Confindustria Veneto Est, a Padova. Secondo Orsini, per tornare a produrre energia dal nucelre in Italia “nella migliore delle ipotesi servirà un decennio. Occorre però cambiare la narrazione sul nucleare e guardare con favore alla Newco fatta da Ansaldo, Leonardo ed Enel: vuol dire che l’Italia c’è”.

“Le industrie italiane ed europee sono quelle che emettono meno a livello mondiale – ha detto Orsini – in rapporto al Pil che produciamo che è il 15% secondo i dati Onu contribuiamo alle emissioni per un valore che secondo le stime è molto più basso, tra il 3 e il 5% delle emissioni mondiali. Ed allora mi pare difficile sostenere che dobbiamo sacrificare un intero comparto, importantissimo per l’economia europea, com’è quello dell’automotive per ridurre di un ulteriore 0,5%”.

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Economia della Ue con il fiato corto, euro ai minimi

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L’economia europea ha il fiato corto e a risentirne è l’euro che scivola ai minimi da due anni rispetto al dollaro di fronte alla doccia fredda degli indici Pmi, una misura del grado di fiducia dei responsabili agli acquisti delle imprese. Il biglietto verde, da parte sua, continua ad avanzare, e non solo rispetto alla moneta unica, sull’onda della vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. E lo stesso fa il Bitcoin, che prosegue il rally e supera i 99.300 dollari, ormai diretto verso la soglia dei 100.000 grazie alla sostegno del nuovo presidente americano alle criptovalute e all’idea di un regolamentazione più benevola. Il pmi composito dell’eurozona, finito a novembre a 48,1 (contro le attese che lo davano a 50), complice il calo inaspettato nei servizi più ancora che nell’industria manifatturiera, ha frenato le Borse del Vecchio Continente nella prima parte della giornata.

Non ha aiutato la revisione al ribasso del Pil della Germania, cresciuto nel terzo trimestre solo dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti. A far scattare le vendite sull’azionario hanno contribuito le scommesse del mercato su un taglio deciso dei tassi, di 50 punti base, alla prossima riunione Bce per dare ossigeno alle economie della zona euro in una scenario ormai di stagnazione: bassa crescita e inflazione non ancora sotto controllo. La prospettiva di tassi di interesse più bassi ha avuto l’effetto di far calare i rendimenti dei titoli di Stato a partire dal Bund tedesco, sceso al 2,23%. Quello dell’Oat francese è diminuito al 3% e del Btp italiano al 3,5%. Lo spread si è allargato intanto sopra i 126 punti base.

Le Borse europee hanno invece rialzato la testa nell’ultima parte della seduta sulla scia di Wall Street, spinto dal Pmi composito negli Stati Uniti, arrivato a 55,3 meglio delle stime a conferma di un’economia in crescita. A fine giornata il maggior rialzo lo ha messo a segno Londra (+1,38%) indifferente agli indici Pmi del Regno Unito, anch’essi in flessione. Ha fatto tutto sommato bene anche la Borsa di Francoforte (+0,92%) malgrado i brutti dati Pmi e il Pil deludente. Parigi ha registrato un guadagno finale dello 0,52% malgrado anche nella seconda maggiore economia dell’eurozona gli indici Pmi siano stati sotto le attese. Meglio intonata Piazza Affari (+0,6%) malgrado abbiamo perso terreno le banche, in sintonia con i big del credito spagnoli Santander e Bbva penalizzati dalla decisione del governo di Madrid di aumentare la tassa sugli extraprofitti. Con l’effetto di far segnare alla Borsa del Paese solo un timido +0,39%.

L’euro in serata si è confermato debole col cambio sul dollaro a 1,042, ai minimi da novembre 2022. Che la Bce si prepari a nuovi tagli dei tassi d’interesse nei prossimi mesi, di fronte a un target d’inflazione al 2% che dovrebbe essere raggiunto a metà 2025, lo ha detto anche il presidente della Bundesbank Joachim Nagel, spiegando che i dati Pmi di oggi confermano lo scenario di stagnazione dell’economia tedesca. Nel complesso, visti i Pmi, difficilmente la situazione avrebbe potuto rivelarsi peggiore, è l’opinione condivisa dagli analisti secondo cui il settore manifatturiero dell’eurozona sta affondando sempre più nella recessione. Dopo due mesi in lieve crescita anche il settore dei servizi inizia poi a essere in difficoltà. E non c’è troppo da stupirsi considerato la confusione politica delle maggiori economie dell’area: il governo francese si muove su un terreno instabile e la Germania è alle prese con le elezioni anticipate. A tutto questo si aggiunge Donald Trump e la minaccia concreta di nuovi dazi sulle importazioni. Alle aziende europee non resta che navigare a vista.

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Moody’s, Pil Italia sotto 1%, impegnativa spesa Pnrr

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La crescita dell’Italia si mantiene moderata e quest’anno sarà sotto l’1%, con un deficit in calo al 4,6% e un debito che invece sale. L’analisi di Moody’s (nella foto Imagoeconomica in evidenza) mostra come i fondi del Pnrr continuano a sostenere le prospettive dell’Italia. Ma per il Belpaese sarà “impegnativo” spendere tutte le risorse disponibili dal programma entro il 2026 anche perché la spesa è stata finora inferiore al previsto. “Tassi di interessi elevati e un potenziale di crescita di circa lo 0,8% richiederanno un ampio aggiustamento fiscale per raggiungere e mantenere avanzi primari in grado di stabilizzare il debito”, afferma Moody’s annunciando il completamente della revisione del rating dell’Italia che, precisa, “non è un’azione sul rating e non è un’indicazione” sulle future decisioni sul rating. L’Italia ha al momento un rating Baa3 con outlook stabile.

“In un contesto di tassi di interesse più elevati, l’aumento del potenziale di crescita e gli avanzi primari saranno fondamentali per evitare un significativo aumento del debito”, aggiunge Moody’s spiegando come la riduzione del deficit – al 3,5% nel 2025 e al 3% nel 2026 – “non sarà sufficiente” per un calo del rapporto debito-pil in seguito agli effetti del Superbonus. L’agenzia prevede che il debito italiano salirà al 139,7% del pil nel 2024 dal 134,8% del 2023 e continuerà a salire fino al 2027 a oltre il 143%. I risultati ottenuti dall’Italia nell’attuazione del Pnrr sono “contrastanti”: l’Italia è stato il primo paese dell’Ue a chiedere le ultime tranche di finaziamento e “prevediamo che la settima tranche sarà richiesta entro la fine del 2024. Tuttavia la spesa di queste risorse è stata inferiore al previsto e la spesa totale dei fondi disponibili entro la fine del 2026 sarà impegnativa”, mette in evidenza ancora Moody’s. L’agenzia potrebbe alzare il rating nel caso di fossero prove di una crescita sostanzialmente più forte: “un miglioramento del potenziale di crescita contribuirebbe a mettere il debito su una chiara traiettoria discendente”. Il rating invece potrebbe essere rivisto al ribasso se “anticipassimo un significativo indebolimento della forza economica e di bilancio dell’Italia”.

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