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Kirill non andrà in Kazakistan, salta incontro con Papa

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Il Patriarca di Mosca Kirill non si rechera’ in Kazakistan per il Congresso dei Leader delle Religioni Mondiali del 14-15 settembre, e di conseguenza non incontrera’ li’ “a margine” Papa Francesco, la cui visita e’ in programma dal 13 al 15 settembre. Lo ha riferito a Ria Novosti il capo del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, il metropolita Antonij di Volokolamsk. I tempi per un incontro tra il Papa e il Patriarca russo non sarebbero dunque ancora maturi. Ed oggi Antonji ha anche incontrato il Nunzio apostolico a Mosca, monsignor Giovanni D’Aniello, forse per comunicare questo. Tutto sembrava pronto e lo stesso Antonij era stato in Vaticano per incontrare il Papa all’inizio di agosto. Ma oggi spiega che, dopo che il Vaticano aveva sospeso “pubblicamente” e “unilateralmente” i preparativi per l’incontro tra il Papa e Kirill (dopo quello dell’Avana nel 2016) che doveva tenersi a Gerusalemme a giugno, non ci sono piu’ stati “contatti ufficiali” per un nuovo momento di confronto. Il metropolita parla anche di “grande sorpresa” del Patriarcato per l’atteggiamento del Vaticano, glissando sul fatto che dal 24 febbraio la Russia ha invaso l’Ucraina e che il Papa da allora lancia appelli perche’ tutto questo finisca. Anche oggi, a sei mesi dall’inizio della guerra, il Papa e’ tornato a pregare per l’Ucraina: “Rinnovo il mio invito ad implorare al Signore la pace per l’amato popolo ucraino che da sei mesi, oggi, patisce l’orrore della guerra”, ha detto il Pontefice alla fine dell’udienza generale in Vaticano alla quale hanno preso parte gruppi di profughi ucraini, soprattutto ragazzi e giovani, accompagnati da Caritas. Il Pontefice ha auspicato che “si intraprendano passi concreti per mettere fine alla guerra e scongiurare il disastro nucleare a Zaporizhzhia”. Ha pregato per i prigionieri e per i tanti bambini rimasti orfani, “bambini ucraini e bambini russi perche’ l’orfanita’ non ha nazionalita’”. Ma a gran voce ha chiesto a “tutte le parti” di operare per la pace. “Penso a tanta crudelta’”, a “tanti innocenti che stanno pagando la pazzia, la pazzia di tutte le parti, perche’ la guerra e’ una pazzia” e “nessuno in guerra puo’ dire: ‘no, io non sono pazzo'”. Poi ha pregato per Darya Dugina, la figlia dell’ideologo russo rimasta vittima di un attentato: “Penso ad una povera ragazza volata in aria per una bomba che era sotto il sedile della macchina a Mosca. Gli innocenti pagano la guerra”. Parole che hanno suscitato la protesta dell’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede Andrii Yurash: “Il discorso di oggi del Papa e’ stato deludente e mi ha fatto pensare a molte cose: non si puo’ parlare con le stesse categorie di aggressore e vittima, stupratore e stuprato”. Quanto al fatto che il Papa abbia citato l’omicidio di Dugina, l’ambasciatore aggiunge: “Come e’ possibile citare una degli ideologi dell’imperialismo russo come vittima innocente?”. Parole dure che arrivano qualche settimana dopo l’incontro avuto in Vaticano con lo stesso Pontefice che ha manifestato la volonta’ di una visita a Kiev ma per la quale ancora non c’e’ una data. Ora salta invece l’incontro con Kirill. Il Patriarca di Mosca non aveva mai confermato la sua presenzain Kazakistan ma era stata data per certa dagli organizzatori dell’evento. Andra’ al suo posto una delegazione del Patriarcato.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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