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Kiev: sei ufficiali nordcoreani uccisi nel Donetsk

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Sei ufficiali della Corea del Nord sono stati uccisi in un attacco missilistico nel Donetsk occupato dai russi. A riferirlo sono state fonti dell’intelligence militare di Kiev a Interfax-Ucraina. Una notizia che rappresenta l’ennesima conferma di una collaborazione molto forte, non solo al livello logistico ma anche sul campo di battaglia, tra la Russia di Putin e il regime di Pyongyang.

Mentre il Financial Times evoca l’ipotesi di un ingresso di Kiev nella Nato se l’Ucraina cedesse territori a Mosca. Secondo Interfax-Ucraina, nel raid in Donetsk avvenuto il 3 ottobre scorso, altri tre militari nordcoreani sono rimasti feriti. Il Gur, il servizio di intelligence militare ucraino, aveva già riferito in precedenza dell’arrivo tra le file russe di un piccolo contingente di personale militare nordcoreano, in particolare un’unità di ingegneria, sottolineando “la cooperazione attiva tra Russia e Corea del Nord” nella guerra all’Ucraina. L’Ukrainska Pravda conferma che già a giugno era trapelata la notizia che Kim Jong-un aveva inviato forze del genio militare per partecipare ai “lavori di ricostruzione” nell’oblast del Donetsk occupato.

Ma il Pentagono all’epoca era già convinto che le truppe nordcoreane in Ucraina sarebbero diventate carne da cannone. Mentre l’intelligence occidentale avrebbe stimato che circa la metà dei circa tre milioni di proiettili di artiglieria utilizzati dalla Russia all’anno provengono dalla Corea del Nord. Sempre sul fronte militare e sempre nel Donetsk, fonti dell’aeronautica ucraina hanno diffuso la notizia che un aereo russo che stava lanciando bombe aeree guidate (Gab) sul territorio controllato dall’Ucraina sarebbe stato abbattuto per errore dalle stesse truppe russe.

Intanto, sul versante diplomatico, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato che parteciperà al vertice internazionale sulla difesa dell’Ucraina che si terrà il 12 ottobre a Ramstein, in Germania, al quale prenderanno parte tra gli altri il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e la premier Giorgia Meloni. In quell’occasione Zelensky ha fatto sapere che presenterà “misure chiare e concrete per una giusta fine alla guerra”. Una possibile soluzione negoziata del conflitto è anche il tema al centro di un pezzo del Financial Times. Secondo il quotidiano della City, la stessa Ucraina e i suoi alleati starebbero valutando un possibile compromesso che prevede l’ingresso di Kiev nella Nato in cambio di una soluzione diplomatica sui territori occupati dalla Russia.

L’Ft scrive che i diplomatici europei ritengono che ci dovrebbero essere significative garanzie di sicurezza in un’eventuale soluzione negoziata in cui la Russia abbia il controllo “de facto ma non de jure” dei territori ucraini attualmente occupati. L’ipotesi di cedere territori e guadagnare l’accesso all’Alleanza “potrebbe essere l’unica possibilità” ma, ha osservato un diplomatico occidentale, per Kiev questo è un tabù, almeno in pubblico. Per questo al centro del confronto ci sono la natura e i tempi delle garanzie di sicurezza di cui Kiev avrebbe bisogno per sostenere un accordo in questo senso. Un’intesa non è facile neanche fra gli alleati, con gli Stati Uniti fermi sulle dichiarazioni ufficiali di un “futuro ingresso nella Nato” nel timore che offrire garanzie di difesa collettiva sulla base dell’articolo 5 prima che la guerra sia finita rischi di trascinare gli Stati Uniti in un conflitto diretto con Mosca.

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Sinwar l’imprendibile, ma il cerchio si stringe

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Yahya Sinwar “è vivo” ma non nutre grandi speranze sul suo futuro a un anno dalle stragi compiute dai suoi uomini in Israele. Il leader di Hamas, isolato e annidato nella rete di tunnel a Gaza, punterebbe tutto sull’escalation del conflitto tra Tel Aviv, Beirut e Teheran per attenuare la morsa dell’esercito israeliano nella Striscia. Il quadro è stato tracciato dai responsabili dell’intelligence americana al New York Times: gli 007 sono convinti che Sinwar, rimasto l’unico in vita nella kill list dei responsabili degli attacchi del 7 ottobre, sarebbe consapevole che il “cerchio si stringe” e che non gli rimane molto tempo. Israele gli ha fatto terra bruciata intorno, eliminando innanzitutto la primula rossa e numero uno delle Brigate al-Qassam, il braccio armato di Hamas, Mohammed Deif – la mente del 7 ottobre – e il suo vice Marwan Issa; poi addirittura il capo politico Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran in circostanze da spy story ancora tutte da chiarire.

Ma l’elenco di comandanti di Hamas eliminati è ancora più lungo: l’ultimo è stato il successore di Deif e Issa, Sayyed Attaullah Ali, ucciso nelle ultime ore in un raid nel nord del Libano. Secondo gli analisti americani, al momento non ci sarebbe spazio per una tregua, mediata con il rilascio degli ostaggi: “L’atteggiamento di Sinwar si è inasprito nelle ultime settimane e i negoziatori americani ora credono che Hamas non abbia intenzione di raggiungere un accordo con Israele”, scrive il Nyt citando le sue fonti. Del resto, stima l’intelligence Usa, sull’altro fronte il premier israeliano Benyamin Netanyahu “è concentrato soprattutto sulla sua sopravvivenza politica” e potrebbe considerare un cessate il fuoco contrario ai suoi interessi.

A Washington si ipotizza che “Sinwar sia diventato sempre più rassegnato mentre le forze israeliane gli danno la caccia”: Israele e gli Stati Uniti hanno investito ingenti quantità di risorse per scovarlo. La Cia ha creato un’unità speciale e il Pentagono ha dato direttive ai suoi operativi per contribuire alle ricerche degli israeliani. Da tempo il capo di Hamas si è affidato ad una rete di comunicazione verbale, utilizzando membri dell’organizzazione per fare spola con i comandi militari. Quindi nessun telefono, neppure satellitare, per eludere le ricerche dei sofisticati radar forniti dagli Usa, anche grazie alla fitta rete di tunnel a Gaza che gli ha permesso in questi mesi di muoversi in relativa tranquillità, talvolta anche all’aria aperta. Alcune sue tracce sono state trovate nel tunnel di Tel Sultan, dove sono stati rinvenuti i cadaveri di sei ostaggi israeliani, mentre un bombardamento su un complesso sotterraneo dove si riteneva potesse nascondersi si sarebbe risolto con un nulla di fatto. Il corpo di Sinwar non c’era, hanno riferito i media di Tel Aviv. Da allora nessun segno di vita, ma neppure di morte.

Il ricercato numero uno al mondo potrebbe tornare a far sentire la sua voce in occasione dell’anniversario del 7 ottobre, sulle orme del bin Laden annidato nelle grotte afghane, sfidando i cacciatori del Mossad e della Cia in un ultimo sberleffo: convinto ormai che il messaggio di Teheran per lui sia che “non arriverà la cavalleria” iraniana a salvarlo, e che la sua sorte, prima o dopo, sia ormai segnata.

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Usa, Sinwar vuole trascinare Israele in una guerra più ampia

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– Il leader di Hamas Yahya Sinwar è diventato più fatalista dopo quasi un anno di guerra a Gaza ed è determinato a vedere Israele coinvolto in un più ampio conflitto regionale. Lo riporta il New York Times citando valutazioni dell’intelligence americana, secondo al quale Sinwar ritiene che non sopravvivrà alle guerra e questo ha ostacolato i negoziati per il rilascio degli ostaggi. Una guerra più ampia per Israele, secondo Sinwar, lo costringerebbe ad allentare la pressione su Gaza.

L’atteggiamento di Sinwar, aggiunge il New York Time citando fonti americane, si sarebbe inasprito nelle ultime settimane e i negoziatori statunitensi ritengono ora che Hamas non abbia intenzione di raggiungere un accordo con Israele. Anche il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha respinto le proposte nei negoziati e assunto posizioni che hanno complicato i colloqui. Secondo i funzionari americani Netanyahu sarebbe preoccupato soprattutto per la sua sopravvivenza politica e potrebbe non ritenere un cessate il fuoco a gaza nel suo interesse.

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Khamenei, le nazioni musulmane hanno un nemico comune

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Le nazioni musulmane hanno un “nemico comune” e devono “cingere una cintura di difesa” dall’Afghanistan allo Yemen e dall’Iran a Gaza e al Libano. Lo afferma il leader supremo iraniano Ali Khamenei mentre presiede le preghiere del venerdì in Iran per la prima volta in cinque anni. Lo riporta Sky News. La Guida Suprema ha aggiunto che l’attacco del 7 ottobre di Hamas contro Israele, “è stato un atto legittimo, così come l’attacco dell’Iran al Paese questa settimana”. Il raid missilistico è la “punizione minima” per i crimini di Israele, ha affermato Khamenei.

“Il brillante attacco dell’Iran – ha affermato la Guida Suprema citato dalla TV di Stato – è stata la minima punizione per i crimini senza precedenti del regime lupesco e assetato di sangue che è il cane rabbioso degli Stati Uniti nella regione. L’Iran continuerà ad adempiere al suo dovere né con fretta né con ritardo. I nostri responsabili politici e militari agiranno con logica e saggezza”.

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