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Kiev celebra l’indipendenza, Mosca verso referendum farsa

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L’Ucraina ha celebrato i 31 anni della sua indipendenza in tono minore, per il timore di un attacco eclatante dei russi, ma il messaggio lanciato al nemico e’ stato tutt’altro che dimesso. “Ci batteremo fino alla fine, senza nessun compromesso”, ha scandito il presidente Volodymyr Zelensky rivolgendosi alla nazione. Incassando il rinnovato sostegno di tutti i leader occidentali, a partire da Boris Johnson, che e’ volato a Kiev a sorpresa. La tanto temuta provocazione russa, almeno sulla capitale, non c’e’ stata, ma da Washington sono arrivati segnali che potrebbero aprire le porte ad un’ulteriore inasprimento del conflitto: Mosca starebbe infatti pianificando un “referendum farsa” nel Donetsk e nel Lugansk, e potrebbe annunciarlo gia’ in settimana. Il centro di Kiev, nella giornata dell’anniversario che e’ coincisa con il sesto mese di guerra, non ha ospitato la tradizionale parata militare, per motivi di sicurezza, perche’ le autorita’ hanno vietato gli assembramenti pubblici. Le celebrazioni hanno avuto comunque un significato importante, di cui Zelensky si e’ fatto portavoce. “Per noi – ha assicurato il presidente in un video-intervento con il monumento per l’indipendenza sullo sfondo – l’Ucraina e’ l’intera Ucraina, tutte e 25 le regioni, senza concessioni o compromessi. Non importa che esercito abbiate, cio’ che conta e’ la nostra terra e lotteremo per questo fino alla fine”. La sfida a Vladimir Putin, quindi, e’ lanciata, anche per i territori che lo zar ritiene irrinunciabili, come la Crimea e il Donbass. Tanto che a Mosca, secondo il portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, si sta lavorando ad un “referendum farsa” nel Donetsk e nel Lugansk. Una replica del voto organizzato in Crimea nel 2014, che ne sanci’ l’annessione alla Russia. La festa dell’indipendenza per Zelensky e’ stata l’occasione per ricevere il rinnovato sostegno dei principali alleati della Nato, da Joe Biden a Emmanuel Macron e Olaf Scholz, per l’Italia da Sergio Mattarella e Mario Draghi (il capo dello Stato ha definito “legittima la resistenza” di Kiev “alla brutale aggressione russa”). Boris Johnson si e’ spinto oltre, facendo visita al collega in mimetica. Il premier britannico dimissionario, unico leader a volare in Ucraina per tre volte dall’inizio della guerra, ha assicurato che anche chi gli succedera’ a Downing Street restera’ al fianco di Kiev. “Credo che l’Ucraina possa vincere e che vincera’”, ha affermato, promettendo altri aiuti militari da 56 milioni di dollari, che includono droni di ultima generazione e sistemi per il lancio di missili. Ben piu’ ingente il nuovo pacchetto di aiuti stanziato dagli Stati Uniti: quasi 3 miliardi di dollari. “La piu’ grossa tranche di assistenza alla sicurezza finora fornita”, ha ricordato Biden. A Kiev la giornata e’ trascorsa senza attacchi, anche se nella capitale hanno risuonato diverse volte le sirene d’allarme. A Mosca i media hanno scelto di non dare troppo risalto all’anniversario, insistendo piuttosto sulle accuse al nemico di “crimini” contro i civili. Tutto il contrario di quanto stanno facendo i russi, e’ la versione del ministro della Difesa Serghiei Shoigu, secondo cui “l’offensiva e’ stata rallentata di proposito per evitare vittime” tra la popolazione, conducendo attacchi “di precisione” su “infrastrutture militari”. Le bombe russe in ogni caso hanno continuano a cadere. Sul sud, sul Donbass, da Kharkiv e Dnipro, fino a Zaporizhzhia. Le autorita’ locali ucraine hanno denunciato che sono state colpite le infrastrutture della citta’ che ospita la centrale nucleare e un dipendente dell’impianto sarebbe stato ucciso da un colpo di mortaio mentre era a bordo di un taxi. La situazione tesa intorno alla piu’ grande centrale d’Europa e’ stata tra i temi alcentro di una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Zelensky nel suo discorso da remoto ha affermato che i raid del nemico su Zaporizhzhia “mettono l’Europa sotto la minaccia delle radiazioni e Mosca deve porre fine” al ricatto nucleare. L’ambasciatore russo al Palazzo di Vetro, Vassily Nebenzia, ha ribaltato l’accusa, sostenendo che alcuni attacchi sono stati condotti con armi americane. Le speranze a questo punto sono piu’ che mai legate ad un’ispezione a breve dell’Aiea, dopo il via libera di Putin. Secondo il direttore dell’agenzia atomica internazionale, Rafael Grossi, la visita sarebbe “imminente”.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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